Istituto meme: il caso nadalini
UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
"SCIENCES CRIMINOLOGIQUES"
IL CASO NADALINI
Un caso ancora aperto
Dott.ssa Chiara Bucchignoli
Bruxelles, June 2009
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
DOTT.SSA CHIARA BUCCHIGNOLI – SST IN SCIENCES CRIMINOLOGIQUES - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009
Indice dei Contenuti
1. Il fatto ………………………………………………………….……. pag. 10
Il fatto come descritto dal rapporto dei Carabinieri di Modena
1.1 I protagonisti …………………………………………………. pag. 13
Matteo Nadalini ………………………………………….……. pag. 13
Paola Mantovani …………………………………………………. pag. 15
Roberto Nadalini …………………………………………………. pag. 16
Chi sono i consulenti ………………………………………….…. pag. 17
2. Le indagini e le relazioni degli esperti ……………………………. pag. 20
o 2.1 Gli accertamenti biologico dattiloscopici ……………………. pag. 20
- 2.1.1 La perizia biologico dattiloscopica
– Carabinieri del RIS di Parma …………………………………. pag. 20
- 2.1.2 La perizia biologica – Prof. Tagliabracci ………………. pag. 30 - 2.1.3 La perizia biologica – Prof.ssa Giovannucci Uzielli ……. pag. 33
o 2.2 Gli accertamenti medico legali ………………………………. pag. 34
- 2.2.1 La perizia medico legale
- Prof. De Fazio e Dott.ssa Fregni ………………………….…. pag.34
- 2.2.2 La perizia medico-legale - Prof. Baima Bollone ………. pag. 48
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2.3 Gli accertamenti tossicologici …………………………………. pag. 51
- 2.3.1 La perizia tossicologica – Dott.ssa Licata e Dott.ssa Montagna
- 2.3.2 La relazione del Prof. Bertolini …………………………. pag. 54
2.4 Gli accertamenti psicologici …………………………………… pag. 55
La perizia psicologica – Prof. Ferracuti …………………………… pag. 55
3. Il processo ……………………………………………………………. pag. 60
- 3.1 Le indagini preliminari ……………………………………. pag. 60 - 3.2 L'Udienza Preliminare ……………………………………. pag. 66 - 3.3 Il Giudizio presso la Corte Costituzionale ………………… pag. 68 - 3.4 Il Giudizio di merito e la sentenza di primo grado ………. pag. 69 - 3.5 Il Giudizio di Appello ……………………………………. pag. 70 - 3.6 Il Giudizio in Cassazione …………………………………. pag. 75
4. Autismo ………………………………………………………………. pag. 79
- 4.1 Lo studio dell'autismo ……………………………………. pag. 82 - 4.2 I deficit ……………………………………………………. pag. 89 - 4.3 L'autismo in età adulta e le cause organiche ……………… pag. 94
5. Profili criminologici …………………………………………………. pag. 97
- 5.1 Il sopralluogo dei Carabinieri ……………………………. pag. 97 - 5.2 Il sopralluogo del RIS ……………………………………. pag. 99
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- 5.3 Gli oggetti repertati ………………………………………. pag. 100 - 5.4 Le consulenze tecniche …………………………………. pag. 102 - 5.5 Unidirezionalità delle indagini …………………………. pag. 103 - 5.6 Mancata iscrizione nel registro degli indagati …………… pag. 105
6. Il processo mediatico ………………………………………………. pag. 107
7. Conclusioni e ringraziamenti ………………………………………. pag. 112
8. Bibliografia …………………………………………………………. pag. 114
9. Sitografia ……………………………………………………………. pag. 114
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Il pensiero comune vuole che una donna nasca dotata di istinto materno, dotata di una
naturale predisposizione all'amore verso le creature che mette al mondo, amore
incondizionato, senza confini e senza limitazioni. La donna deve essere madre perchè
questo è il ruolo che la natura le ha dato, e l'atto in sé di procreare costituisce il
momento di maggior completezza della sua esistenza.
Nella realtà della vita di ogni giorno la donna è un essere al pari dell'uomo, che può
desiderare di non essere madre, può desiderare di trovare appagamento raggiungendo
obiettivi diversi, può non sentirsi o non essere in grado di crescere un figlio. Quello
stesso istinto materno che forzatamente si vuole vedere nella donna è lo stesso istinto
che dovrebbe possedere l'uomo, che però la società non gli attribuisce e non gli
Le donne diventano madri anche in circostanze difficili, possono dover affrontare
gravidanze non desiderate e, diversamente dall'uomo, non possono prendere le
distanze dall'atto della procreazione, non possono distogliere l'attenzione dalla
creatura che cresce dentro il loro stesso corpo.
Si vedono quindi fisicamente trasformate, vedono le proprie abitudini cambiare,
sentono la responsabilità di una nuova vita che pesa sulle loro spalle. Se per lo più
restano sole, perchè le coppie di dividono e perchè nella grande maggioranza dei casi i
figli rimangono all'unica persona che desidera occuparsene a tempo pieno, devono
gestire la maternità e tutte le difficoltà che ad essa si accompagnano senza l'aiuto di un
E a ciò spesso e volentieri possono seguire momenti di debolezza, un senso di
impotenza accompagnato dalla paura di non riuscire, di non essere in grado di portare
avanti quel compito che la natura ci ha dato e che quindi dovrebbe essere nostro senza
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difficoltà, mentre invece sembra così arduo. Per questo motivo si parla di depressione
post partum, per questo motivo esistono in Francia cliniche che si occupano della
Madre, non del bambino, per i primi 15 giorni seguenti il parto, diversamente
dall'Italia dove appena dopo 3 giorni la nuova famiglia viene abbandonata a sé stessa.
Per lo stesso motivo il sistema sanitario francese provvede a fornire assistenza mensile
alle donne presso la propria abitazione, con puericultrici e ostetriche che fanno loro
visita e le assistono nei primi passi come madre. Nel nostro paese la madre è lasciata a
sé stessa, venendo a mancare negli ultimi anni anche l'appoggio delle altre donne del
nucleo familiare che fino agli anni '50-'60 costituivano un aiuto e un sostegno per le
ragazze giovani, una fonte di esperienza da cui attingere dal momento in cui si
diventava madre per tutto il periodo di crescita del figlio.
Oggi tutto questo manca, oggi la donna è considerata capace e indipendente, deve
saper gestire la nascita di un figlio, deve poterlo fare da sola, e sopratutto non deve
ammettere a sé stessa e agli altri quando c'è un problema, quando non è in grado,
quando il figlio che magari ha tanto voluto diventa un peso, quando per un attimo non
lo desidera o vorrebbe che la sua vita non fosse cambiata in tal misura. Ammettere,
anche solo per un momento, tutto questo vorrebbe dire essere una cattiva madre, non
rispettare lo stereotipo che ogni persona ha chiaro in mente, vorrebbe dire non
possedere quell'istinto materno al quale non è permesso sbagliare, non è permesso
neppure fermarsi a riflettere.
Questi sono probabilmente i motivi per cui non è facile accettare il pensiero che una
donna possa arrivare a fare del male a suo figlio, questo forse è il motivo per cui non si
può ammettere che si tratterebbe di un comportamento umano, un comportamento che
ha origine dalla natura.
Gli animali per difendere la propria specie uccidono gli esemplari più deboli, per non
bloccare la sua fertilità e la sua possibilità di accoppiarsi nuovamente la femmina può
sopprimere i cuccioli, così come li può sopprimere quando non è in grado di
occuparsene. Questo è ciò che ci insegna la natura ma che l'uomo fa fatica ad accettare
perchè lo percepisce come un atto lontano da sé, lontano dalla propria capacità di
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comprensione. Perché una donna non può, se sana di mente e capace di intendere e di
volere, anche solo pensare di uccidere la propria creatura, meno che meno arrivare a
Invece le donne, come gli uomini, anche se sane di mente, anche se sono persone
normali che vivono in condizioni agiate, anche se non influenzate dall'uso di droghe o
di alcool, possono uccidere, e possono uccidere il proprio figlio. Per i motivi più
svariati, perché sopraffatte da un momento di debolezza, per la solitudine, per la
rabbia, per l'incapacità di affrontare un malessere interiore che è solo loro, per il
bisogno di proteggere il figlio da un mondo che ritengono malvagio, perchè il bambino
non è perfetto, perchè non si ritengono in grado di occuparsene.
Una madre che uccide il proprio figlio è prima di tutto una disgrazia, per una vita
spezzata e per un'altra esistenza destinata a convivere con questo atto mostruoso,
atroce e senza possibilità di riparazione. Questo è il motivo per cui spesso le indagini
sulle madri autrici di questo tipo di reato sono difficili, perchè la mente umana si
dissocia dall'atto compiuto, cancella e nega il ricordo del dolore procurato e non
accetta che ciò sia successo, per una sorta di auto protezione, perchè nessuna mente
sana potrebbe affrontare il pensiero di aver compiuto un gesto così estremo e
sopravvivere, andare avanti.
Questo negazionismo estremo è la sola arma di difesa che la mente umana possa
utilizzare in casi come questo, quando il dolore sarebbe troppo grande da affrontare e
superare. Per questo una madre figlicida ammette di aver ucciso il figlio, perchè sa che
nessun altro potrebbe averlo fatto, ma non ricorda di essere stata lei, non ricorda l'atto
in sé, neppure sforzandosi.
Una madre che uccide è vista dall'opinione pubblica come un mostro, un soggetto da
condannare senza possibilità di appello, un essere irrecuperabile che non merita aiuto o
comprensione, perchè capace di un omicidio orrendo e senza pietà.
Invece una madre che uccide è prima di tutto una sconfitta della società, di quella rete
di rapporti e di legami che non è stata in grado di proteggerla e sostenerla nel momento
in cui era più debole. E' una sconfitta del compagno, della famiglia, delle amiche e dei
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colleghi. E' una colpa per i medici che l'hanno visitata e non si sono accorti del suo
dolore, è una colpa dei vicini di casa che hanno ignorato le sue richieste di aiuto.
E' difficile accostarsi a un caso di, ancora presunto, figlicidio. Difficile non
condannare, difficile non farsi influenzare dai propri sentimenti e dalle opinioni
personali. Ciascuno di noi ha dei pregiudizi, è una condizione innata e imprescindibile,
si vede e si analizza la realtà dal proprio punto di vista, che si basa sulla fusione della
propria forma mentis con le esperienze di vita di ciascuno di noi.
Ciò che è importante se si vuole avere a che fare con il crimine con occhio critico e
imparziale è che alla fine del percorso il nostro risultato sia lo zero, sia un punto di
incontro tra il nostro personale modo di vedere la situazione e l'analisi dettagliata e
imparziale del caso, dei suoi risvolti psicologici, delle sue conseguenze. Ciò che
importa è non negare il proprio io ma far sì che esso aiuti a cogliere dei particolari, e
sforzarsi di aprire la mente a ciò che non conosciamo e non ci appartiene.
Andare oltre la banale condanna dell'evento può aiutare a capire cosa è successo e
perchè, può aiutare a comprendere cosa si sarebbe potuto fare per non arrivare a tanto
e quali sono gli strumenti e le possibilità per migliorare questo tarlo della nostra
società che è l'omicidio, ancora peggio e a danno del proprio figlio. Riuscire a
sganciarsi dalla negazione del fatto, dal rifiuto di comprendere e di giustificare aiuta
noi stessi e aiuta il nostro prossimo, ci dà la capacità, per il futuro di non lasciar
passare inosservati dei segnali, che possono venire anche da molto vicino.
Purtroppo la verità delle cose appartiene solo a chi le ha compiute, purtroppo in molte
occasioni, per un criminologo, un avvocato, un carabiniere, non sarà dato sapere se
una persona è realmente colpevole di un reato, a prescindere dalla sentenza che
pronuncerà il Tribunale. Perché la realtà processuale può essere diversa dalla realtà dei
fatti, perchè le procedure e le formalità di un giudizio spesso cozzano con l'esigenza di
fare chiarezza, di dare prova delle responsabilità. Ma la giustizia è anche questo, è
garanzia che a volte si confonde con la burocrazia, è lungaggine che si scontra con la
certezza della pena.
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Per questo motivo il solo modo di giudicare con coscienza e valutare con integrità è
quello di farlo senza lasciarsi influenzare dagli altri, senza lasciarsi coinvolgere dai
media, dall'opinione pubblica, dal comune sentire. L'unico modo è considerare tutte le
ipotesi e tutte le opzioni, anche quelle che al momento appaiono meno fondate, e dare
a tutte lo stesso peso e la stessa validità, fino al momento in cui vengono confutate.
L'unico modo è non aggrapparsi a un'idea, non farla propria ignorando qualsiasi
dimostrazione contraria, qualsiasi elemento che la smonterebbe. Per essere critici e
possibilmente imparziali bisogna saper abbandonare un'idea e accoglierne un'altra,
senza chiusura o rigetto, immettendosi in un percorso di crescita personale e
Questo è quanto deve essere richiesto a qualsiasi operatore nel campo della giustizia e
della sicurezza. In particolare quando si tratta di forze dell'ordine, che sono le prime
ad arrivare su una scena del crimine e a raccogliere elementi per le indagini su un caso
di omicidio, deve essere pretesa la massima apertura mentale e il massimo distacco,
dalla situazione e dai suoi protagonisti, perchè non si possa rischiare di indirizzare le
indagini in base a un pensiero e a un giudizio che poi può dimostrarsi errato.
Non così pare che sia successo nel caso di Paola Mantovani e di suo figlio Matteo.
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CAPITOLO 1
La sera del 12 settembre 2001 una pattuglia del Comando Provinciale dei Carabinieri
di Modena insieme a quello di Carpi e di Soliera interviene, in seguito ad una chiamata
al 112 registrata intorno alle ore 21.30, in località Limidi di Soliera, dove si segnala
essersi svolta una rapina ai danni della famiglia Nadalini con atti intesi a causare la
morte della sig.ra Mantovani Paola e del figlio Nadalini Matteo, con conseguenze
letali solo per quest'ultimo.
Sul luogo è già intervenuto il personale sanitario del servizio di soccorso pubblico
"118", personale del Comando della Polizia Municipale di Modena e di Soliera.
La sig.ra Paola dichiara che era in casa in attesa del ritorno del marito Roberto, il quale
si era diretto nella vicina città di Carpi per comprare il gelato per la famiglia, quando
qualcuno aveva suonato al campanello di casa. Lei, ritenendo si trattasse del marito,
aveva azionato l'apertura automatica del cancello di casa e si era avvicinata
all'ingresso, venendo sorpresa da due sconosciuti con il volto coperto da
passamontagna che la spingevano verso l'interno. Uno di essi, armato di pistola e
calzante alle mani guanti di lattice, la prendeva per la nuca e la spingeva in direzione
delle camere da letto chiedendole di tirare fuori i soldi.
Prima di arrivare alla camera da letto veniva obbligata dallo sconosciuto armato di
pistola a dirigersi in cucina e a prelevare un sacchetto di plastica per la raccolta dei
rifiuti. Una volta arrivati in camera da letto provvedeva personalmente a svuotare un
cassetto del comò e l'anta centrale dell'armadio dal vestiario, poi apriva la cassaforte e
riversava il contenuto, oggetti in oro e un portafoglio, sul letto.
A questo punto lo sconosciuto la avvolgeva, dalla testa fino al bacino, con del nastro
adesivo, bendandole occhi, orecchie e bocca nella quale viene inserito un fazzoletto
preso tra gli abiti contenuti nel cassetto del comò. Le braccia vengono fissate lungo i
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Mentre la accompagnavano all'esterno dell'abitazione si accorge che alle sue spalle
veniva aperta la porta della camera del figlio Matteo. Una volta arrivati a bordo della
piscina lo sconosciuto la colpiva alla testa con un vaso di vetro prelevato
dall'abitazione e, dopo averle legato anche gli arti inferiori con il nastro adesivo, la
faceva cadere nella piscina, nella parte dove l'acqua è profonda 1,20 metri.
A fatica Paola dichiara di essere riuscita a raggiungere il punto meno profondo della
piscina e a cercare di richiamare l'attenzione di qualcuno, vedendo poi arrivare il
marito e alcuni vicini di casa che le liberavano la bocca in modo che potesse dare
l'allarme su Matteo.
Il marito Roberto asserisce di essere uscito di casa intorno alle ore 20.00 su esplicita
richiesta della moglie, e di essersi recato a Carpi per acquistare del gelato. Fatto ritorno
dopo circa 25 – 30 minuti mentre parcheggia l'auto sul retro della casa nota un paio di
ciabatte lasciate per terra davanti ad un capanno-ripostiglio e sente dei lamenti
soffocati dal gorgoglio dell'acqua della piscina. A quel punto la vicina dirimpettaia,
dal balcone della sua abitazione, gli grida che Paola è caduta in piscina.
Si dirige quindi verso la piscina, vede la moglie e la soccorre, notando subito che ha
mani e piedi legati, e dopo averle tolto il bavaglio viene avvertito di correre da Matteo
che forse è in pericolo.
Si reca quindi immediatamente in casa, nella camera di Matteo, e lo trova disteso sul
letto, con la testa infilata in un sacchetto di plastica, con le mani legate dietro la
schiena e i piedi bloccati e tenuti tirati verso la mani da nastro adesivo del tipo da
Provvede immediatamente a strappare il sacchetto rendendosi però subito conto che la
lingua è già estroflessa. Nel tentativo di liberarlo nota anche come intorno al collo era
stato avvolto del nastro adesivo per tenere chiuso il sacchetto, che taglia con un paio di
forbici. Oltre al nastro trova serrata intorno al collo anche una cinghia per pantaloni,
nascosta sotto il nastro stesso.
Tenta inutilmente di rianimare il figlio ma dopo qualche minuto si rende conto che sia
la respirazione bocca a bocca che il massaggio cardiaco risultano vani quindi chiama il
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In sede di sopralluogo vengono rinvenuti abiti e oggetti in oro sul pavimento e sul letto
della camera da letto, presumibilmente estratti dagli armadi e dalla cassaforte nell'atto
di ricercare il denaro. Si ritrova anche un portafoglio dal quale sono stati estratti le
poche centinaia di dollari Usa e di banconote in valuta italiana sottratte insieme ad una
collana con ciondolo di diamante.
Sul bordo della piscina sono stati rinvenuti vari spezzoni di nastro adesivo, un
rocchetto presumibilmente dello stesso nastro, un paio di guanti in lattice, un vaso
portafiori in vetro, un fazzoletto da naso sul lato della piscina in cui l'acqua è meno
profonda e uno sul bordo della piscina in corrispondenza del punto dove erano presenti
il vaso, i guanti e il rocchetto di nastro.
Nella fase di ricerca di altri elementi di prova si verifica che non ci sono manomissioni
della rete metallica e delle siepi poste a delimitare la proprietà tali da far presupporre
una fuga dei malviventi. Nell'area cortiliva della villetta confinante con la proprietà
della famiglia Nadalini si rinviene un sacchetto di colore azzurro che si accerta
contenere quanto denunciato come rapinato dai due autori del delitto: banconote di
vario taglio pari a Lire 245.000, banconote di vario taglio in dollari Usa e una collana.
All'interno del cassonetto per la raccolta dei rifiuti organici viene ritrovata una tuta di
colore blu scuro che la signora Paola asserisce appartenga al figlio Matteo e che lei
stessa dichiara di aver buttato poco prima dell'aggressione perchè troppo piccola.
Nel cestello per la raccolta dei rifiuti della cucina vengono rinvenute varie confezioni
- Tavor in compresse parzialmente utilizzata. - Haldol gocce in soluzione orale. - Neuroton in capsule, vuota.
Nel corso di un successivo sopralluogo, effettuato da parte del Reparto Investigazioni
Scientifiche di Parma il giorno successivo, vengono rinvenuti:
- un paio di guanti in lattice verosimilmente già utilizzati, contenuti in una cesta
di vimini nel mobile prensile della cucina;
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- una busta di plastica contenente 11 paia di guanti non ancora utilizzati, posta
nello stesso cesto di vimini.
Al fine di acquisire ulteriori informazioni vengono messe agli atti le dichiarazioni delle
persone accorse sul luogo e dei soggetti che a vario titolo sono informati dei fatti.
1.1 I protagonisti
Matteo Nadalini
Nasce a Mirandola il 19/03/1987 con parto a termine.
Intorno ai 3 anni inizia a manifestare problemi di socializzazione con i coetanei
nonché difficoltà di esprimersi. Inizialmente si ipotizza un problema di tipo ortofonico,
in seguito gli psicologi e ortofonisti che avevano in cura il ragazzo informano i
genitori che si tratta di un problema psicologico. La madre racconta che Matteo
emetteva suoni incomprensibili, ed essendo in grado di capire perfettamente gli altri si
arrabbiava quando essi non capivano, e per questo motivo non socializzava.
Matteo viene quindi condotto da un neuropsichiatra infantile il quale pone diagnosi di
autismo, a parere dei genitori senza approfondire la condizione clinica. Tale diagnosi
colpì molto anche la famiglia perché al contrario di quanto pensavano dell'autismo
Matteo non rifiutava la presenza degli altri, anzi la cercava.
Seguì un periodo di musicoterapia, interrotto per un'incomprensione con lo psichiatra
di Matteo che non prospettava alla famiglia possibili miglioramenti nella sua
Al momento dell'iscrizione alla scuola elementare il bambino mostra difficoltà di
inserimento, ma non problemi di apprendimento. Contestualmente viene seguito da un
altro psicologo il quale parla di "un bambino che non ha sviluppato una propria
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personalità". Sempre la madre riferisce infatti che Matteo non parlava mai di sé in
prima persona ma in seconda persona, confondendo sé stesso con gli altri.
Nel frattempo a scuola erano migliorate le capacità di Matteo di farsi capire e di
comunicare, nonostante gli manchino ancora alcune consonanti. Ha un buon rapporto
con le insegnanti e con i compagni di classe.
Durante la terza elementare però, al ritorno da un viaggio a Cuba con i genitori, inizia
a diventare violento, strappa i capelli, dava spinte e si sporca con le sue stesse feci.
I genitori si rivolgono quindi alla Clinica Pediatrica del Policlinico di Modena dove
Matteo viene sottoposto ad una serie di esami che non aveva mai svolto prima (esami
del sangue, encefalogramma ecc,) per concludere che si trattava di "stati d'ansia
Un secondo psicologo diagnostica invece un disturbo dello sviluppo e consiglia un
periodo di psicoterapia. Dopo alcuni mesi di terapia però si presentò la necessità di
rivolgersi ad un altro specialista con il quale l'assistenza si portò avanti per circa 4
Durante questo periodo Matteo alternava momenti in cui stava bene (si lavava, si
vestiva, rideva) ad altri momenti di crisi in cui tirava i capelli, lanciava i quaderni e ne
strappava i fogli, era smaniato e sconvolto. Dopo questi episodi era colto da forti sensi
di colpa e chiedeva scusa alla madre per il suo comportamento.
Intorno al 2000 capita però un episodio che convince i genitori ad interrompere la
terapia. Matteo durante tali sedute di terapia era solito giocare con la colla, su
indicazione della psicologa. Un giorno però tornando verso casa dopo la seduta, inizia
a lamentarsi e a urlare perchè ha il braccio completamente ricoperto di colla, tanto che
la madre e la nonna devono immergerlo nella vasca da bagno e pulirlo con una
spazzola per togliere tutti i residui di colla.
In quell'occasione Matteo diventò molto violento, spintonando le due donne fino a
farle cadere a terra. I mesi successivi videro il ripresentarsi di episodi di questo tenore,
mai conclusi con vere e proprie percosse ma al più con afferramenti dei capelli fino a
strapparli. In questi momenti il padre era l'unica persona che riusciva a farlo calmare.
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In seguito Matteo viene curato solo mediante terapia farmacologica ma ciò non
migliora le sue condizioni, diventa sempre più violento butta a terra le cose, scappa e
continua a tirare i capelli alla madre e alla nonna. Per calmarlo la dottoressa che lo ha
in cura prescrive il Tavor, ma ciò non fa altro che intontirlo.
A marzo del 2001 i genitori si rivolgono all'ennesimo specialista il quale riferisce per
la prima volta di una problematica correlata ai neurotrasmettitori, un deficit quindi
di tipo genetico. Il collega che prende in cura Matteo gli prescrive Belivon e Zoloft per
agire sugli atteggiamenti ossessivo compulsivi in modo da limitare e contenere gli
episodi violenti.
Dopo un primo periodo di miglioramento si ripresentano momenti di nervosismo.
Il 24 maggio del 2001 mentre Matteo è in casa i genitori notano in lui strani
movimenti. La madre controlla le confezioni dei farmaci solitamente assunti da Matteo
(Depakin e Talofen), conservati in un mobile della cucina non chiuso a chiave, e li
trova entrambi vuoti. I genitori contattano quindi il medico di famiglia e il 118 ma al
momento dell'arrivo dell'ambulanza Matteo è già in coma, perciò interviene
Al Policlinico di Modena la diagnosi di ammissione è di intossicazione acuta da
psicofarmaci. Matteo viene quindi trasferito al reparto di rianimazione in attesa che si
risvegli dallo stato di coma.
Quando viene dimesso la diagnosi riporta "disturbo pervasivo dello sviluppo" cod.
Paola Mantovani
Nasce a Mirandola il 5 settembre 1962, figlia unica. Il padre è deceduto nel 1998
all'età di 73 anni per le complicazioni di una condizione diabetica e ipertensiva. La sua
malattia degenerativa durò 17 anni. La madre, di 77 anni, è vivente e in buona salute.
Paola ha vissuto un'infanzia felice in una famiglia serena, il suo rendimento scolastico
è sempre stato ottimo. In adolescenza sorgono i primi conflitti con i genitori che non le
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danno sufficiente libertà. Si diploma in ragioneria e il 20 settembre del 1981 sposa
Roberto Nadalini, dopo circa un anno di fidanzamento inizialmente di nascosto dalle
rispettive famiglie.
Dopo il matrimonio Paola Mantovani lavora per circa un anno come segretaria in una
ditta fornitrice dell'azienda di profilati del marito, poi rimane disoccupata per circa 3
mesi prima di andare a lavorare presso una ditta assicurativa per un anno. Al momento
dell'arresto lavora come contabile presso una vetreria.
Si accerterà nel corso delle indagini che ha intrattenuto relazioni extra-coniugali.
Roberto Nadalini
Imprenditore metalmeccanico, ha un impresa insieme allo zio e al fratello con due
operai, conduce una vita ritirata fatta di casa e lavoro.
Durante tutta la vicenda resterà accanto alla moglie sostenendo sempre la sua
innocenza e dichiarandosi molto innamorato di lei.
La famiglia Nadalini al momento del fatto vive nella villetta in cui è stato commesso
l'omicidio insieme alla madre di Paola Mantovani, che occupa un appartamento
indipendente al primo piano dell'abitazione.
La sig.ra Ada la sera del fatto era in casa intenta a guardare la televisione e dichiara di
non essersi accorta di nulla fino al momento dell'arrivo di Roberto e dei primi soccorsi
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I Consulenti
Gli specialisti che si alternano nell'analisi del caso sono numerosi e specializzati in
discipline diverse, nominati nei diversi momenti del processo dal Pubblico Ministero e
In prima istanza, nell'immediatezza del fatto, il PM nomina:
- Cap. Grammatico Francesco (RIS), Pizzamiglio Marco (RIS) e Davide May (RIS).
Sottopone loro il seguente quesito: determinare le caratteristiche genetiche del
materiale biologico presente sugli oggetti sottoposti a sequestro, procedendo a
comparazione di esclusione con i campioni biologici di confronto delle persone
costituenti il nucleo famigliare; individuare e comparare le impronte papillari
provenienti dal luogo del fatto criminoso e dagli oggetti sottoposti a sequestro
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- Prof. Francesco De Fazio e Dott.ssa Fabrizia Fregni (Medicina legale Università di
Il quesito posto dal PM è il seguente:
indagare la causa della morte di Nadalini Matteo, i mezzi che l'hanno prodotta,
il tempo in cui è avvenuta, ogni altra circostanza rilevante;
esaminare i liquidi biologici verificando la presenza e consistenza di principi
chimici e farmacologici in relazione alla terapia in atto;
indagare le lesioni subite da Mantovani Paola
determinare infine la genesi e la funzione dei segni prodotti da unghia sul collo
di Nadalini Matteo, presumibilmente dovuti all'atto di liberazione ad opera del
- Prof.ssa Maria Montagna e dott.ssa Manuela Licata. Quesito: determinazione del
dosaggio di farmaci aventi effetti ipnotici e sedativi assunti da Nadalini Matteo
nell'epoca precedente la sua morte e al raffronto con le prescrizioni effettuate dai
Nelle successive fasi delle indagini preliminari prima il GUP e la difesa procedono alla
nomina di ulteriori consulenti:
- Prof. Pierluigi Baima Bollone, Ordinario di Medicina Legale dell'Università di
- Prof.ssa Maria Luisa Giovannucci Uzielli del Dipartimento di Genetica e Medicina
Molecolare dell'Università di Firenze.
- Prof. Adriano Tagliabracci dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università degli
Studi di Ancona e Dott.ssa Susi Pelotti dell'Istituto di Medicina Legale
dell'Università degli Studi di Bologna.
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- Prof. Bertolini, Ordinario di Farmacologia presso l'Università di Modena e Reggio
Emilia e Direttore della Struttura complessa di Tossicologia e Farmacologia Clinica
del Policlinico di Modena.
- Prof. Ferracuti del Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica
dell'Università La Sapienza di Roma.
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CAPITOLO 2
LE INDAGINI E LE RELAZIONI DEGLI ESPERTI
Dal momento dell'avvio delle indagini i periti nominati nei diversi momenti
processuali hanno elaborato e depositato le loro relazioni, dai contenuti e dalle
conclusioni delle quali si è sviluppato il dibattito sulla vicenda e si sono fondate le
decisioni dei Giudici. La più importante, per il peso che ha avuto nelle determinazioni
dei magistrati inquirenti, è senza dubbio la relazione biologico – dattiloscopica redatta
dal Ris di Parma.
2.1 Gli accertamenti biologico-dattiloscopici
2.1.1 La relazione tecnica del RIS inerente gli accertamenti biologico
dattiloscopici, depositata in data 15/10/2001, inerente i reperti rinvenuti in data
13/09/2001 dal Nucleo operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Modena
e in data 14/09/2001 dal Reparto Investigazioni Scientifiche di Parma.
I reperti analizzati sono i seguenti:
o Nel cortile della villetta sono stati rinvenuti: due fazzoletti di stoffa ipoteticamente
utilizzati per occludere la bocca di Paola Mantovani; porzioni di nastro adesivo per
pacchi; rotolo di nastro adesivo per pacchi; un paio di guanti in lattice; un vaso di
cristallo; un paio di scarpe estive da donna.
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o Nel cortile della villetta confinante: un sacchetto in cellophane di colore celeste
contenente la refurtiva.
o In un cassonetto nei pressi dell'abitazione della famiglia Nadalini: una felpa e un
paio di pantaloni di colore blu, che Paola Mantovani riconosce essere appartenuti a
Matteo e buttati perchè ormai troppo stretti.
o All'interno della cucina, nell'abitazione della famiglia: 3 confezioni di medicinali
e due bollettini per pagamenti postali rinvenuti nella pattumiera; un paio di guanti
in lattice sfusi e una busta contenente altri guanti apparentemente nuovi.
o Nella camera della vittima: due forbici e una siringa monouso senza ago rinvenute
sul comodino; una forbice sul pavimento; un asciugamano di colore blu posto sul
tappeto ai piedi del letto; due adesivi dattiloscopici.
o Nel vano d'ingresso della villetta: un asciugamano di colore grigio rinvenuto sul
o Presso l'istituto di Medicina Legale sono stati acquisiti: alcuni frammenti di nastro
adesivo di colore marrone asseritamente utilizzati per legare Nadalini Matteo e
prelevati dal corpo della vittima; una borsa di plastica celeste con attaccati
frammenti di nastro adesivo di colore marrone rinvenuta sul capo della vittima.
Al fine di operare il necessario confronto sono stati acquisiti campioni di materiale
biologico (un mozzicone di sigaretta fumato da Nadalini Roberto e un mozzicone
fumato da Mantovani Paola) oltre a impronte digitali post mortem di Nadalini Matteo.
Accertamenti biologici
I reperti biologici, in particolare i frammenti di nastro adesivo, sono stati ispezionati
dai Carabinieri del RIS in condizioni di oscurità mediante la schermatura con filtri
gialli e l'utilizzo della lampada Spex Crime-Scope.
Tale strumento è in grado di rilevare tracce biologiche latenti mediante un
irradiamento con un fascio di luce monocromatica a diverse lunghezze d'onda. Le
tracce biologiche, sudore o saliva, risaltano per una diversa luminescenza rispetto a
quella del substrato circostante.
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Sono state rinvenute zone di luminescenza sui lembi di nastro adesivo ritrovati a bordo
piscina e addosso alla vittima, in particolare sul nastro posto sotto il sacchetto che ne
avvolgeva il capo e su alcuni lembi rimasti attaccati a un guanto in lattice.
Zone luminose sono state individuate anche sul rotolo di nastro adesivo e su un
frammento di scotch ad esso adeso. Infine piccole luminescenze diffuse sulla
superficie dei guanti rinvenuti in piscina e su quelli sfusi rinvenuti in cucina. Su tali
lembi di nastro i Carabinieri del RIS hanno poi proceduto alla rilevazione di tracce di
natura salivare mediante il kit BNP Amylase in grado di mettere in evidenza l'attività
della amilasi, enzima presente nella saliva.
Successivamente le porzioni di nastro e di guanti sono state sottoposte all'estrazione e
alla tipizzazione del DNA utilizzando un kit di marcatori genetici.
Sulla base dei risultati il RIS ha stabilito quanto segue:
Le tracce di saliva presenti sul lembo del rotolo di nastro adesivo, sul frammento
di nastro ad esso attaccato, sulla porzione di nastro adeso a uno dei guanti, su
alcuni lembi rinvenuti ai bordi della piscina e su un lembo dei frammenti rinvenuti
sulla vittima appartengono ad una persona di sesso femminile dal profilo biologico
compatibile con quello di Mantovani Paola.
Le tracce ritrovate su lembi di nastro rinvenuti vicino alla piscina appartengono in
parte a Mantovani Paola e in parte ad altro individuo ignoto di sesso maschile, poi
identificato nel vicino di casa che ha soccorso la donna.
Le tracce sui frammenti di nastro utilizzato per immobilizzare la vittima hanno
consentito di ottenere un profilo genotipico maschile riconducibile a Nadalini
Le tracce rinvenute sul nastro attaccato al sacchetto di plastica utilizzato per
soffocare la vittima hanno permesso di ricavare due profili: uno riconducibile a
Nadalini Matteo e un altro misto, riconducibile in parte a Nadalini Matteo e in
parte a Mantovani Paola.
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Le tamponature effettuate sulle superfici dei guanti in lattice rinvenuti ai bordi
della piscina hanno indicato la presenza di due profili: uno riconducibile a
Mantovani Paola e un secondo profilo misto, in parte appartenente a Nadalini
Matteo e in parte a Mantovani Paola. Bisogna sottolineare come residui cellulari
di Nadalini Matteo fossero presenti per lo più sulla superficie esterna dei guanti, e
in bassa concentrazione, mentre il profilo di Mantovani Paola è riscontrabile nella
superficie interna dei guanti, come se li avesse indossati per un certo periodo e il
figlio avesse avuto solo un breve contatto con essi.
Infine le tamponature effettuate sui guanti rinvenuti sfusi in cucina hanno fornito
un unico profilo riconducibile a Mantovani Paola.
E' necessario specificare come per i profili misti non sempre tutti i marcatori testati
hanno fornito una chiara interpretazione dei genotipi per entrambe le persone ritenute
compatibili, questo perché le proporzioni con cui le quantità di residui cellulari e
quindi di materiale genetico appartenente alle due persone si sono sovrapposte è
variabile da reperto a reperto.
Accertamenti dattiloscopici
Al fine di comprendere le analisi dattiloscopiche effettuate sui reperti di questo caso è
necessario fare una premessa sulle metodologie di analisi delle impronte papillari.
Le impronte sono modificazioni e/o alterazioni dello stato superficiale del corpo a
seguito del contatto con un altro corpo. Le impronte papillari in particolare sono
dovute dal deposito del sudore e delle contaminazioni presenti nell'ambiente esterno
sulle creste papillari presenti sulla superficie del derma, e si distinguono in:
- digitali: la riproduzione dei disegni prodotti dalle creste papillari dei polpastrelli;
- palmari: riproduzione dei disegni del palmo della mano;
- plantari: riproduzione dei disegni della pianta del piede.
Lo sviluppo delle linee papillari si manifesta già dalla decima settimana di vita di ogni
essere umano e rimarrà invariato per tutta la sua esistenza.
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Ci sono quattro figure fondamentali nei disegni papillari:
Un'altra classificazione vede le tipicità delle impronte suddivisibili in:
- Arco: le linee vanno come onde da un lato all'altro. - Arco a tenda: come l'arco ma
con un bastone crescente nel
- Cappio: le linee partono da un
lato e rientrano nel mezzo
dello stesso lato.
- Doppio cappio: come il
cappio ma con due cappi
interni che vanno in direzioni opposte.
- Occhio di pavone: come il cappio ma con un piccolo cerchio nel punto di
- Spirale: le linee formano una spirale. - Misto: composto con varie figure.
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Oltre a tali disegni di base si intersecano una serie di minuzie e di combinazioni tra
loro, fino ad arrivare al disegno completo di un impronta, diverso per ogni essere
Sul luogo del reato le impronte possono essere visibili (in questo caso la tecnica di
repertazione è semplicemente la fotografia) o latenti. Nel secondo caso sarà necessario
procedere alla evidenziazione dell'impronta sul substrato su cui si trova e alla loro
asportazione per mezzo di adesivi dattiloscopici.
Per meglio evidenziare l'impronta è necessario innanzitutto utilizzare una
illuminazione radente per mezzo di semplici punti luce oppure di intensificatori di luce
basati sulla tecnica della riflessione della luce ultravioletta.
Si procede poi alla evidenziazione tramite polveri, che aderiscono alla parte umida o
grassa dell'impronta (la più utilizzata è la Argentoratum, polvere di alluminio) oppure
attraverso la sospensione di microparticelle di polvere in ambiente umido, per
immersione o per nebulizzazione.
In Italia per l'attribuzione di un'impronta digitale ad una data persona è necessaria la
corrispondenza di almeno 16 punti caratteristici uguali per forma e posizione.
Nel caso Nadalini i reperti aventi superfici lisce e non porose sono stati introdotti in
una camera di reazione all'interno della quale è stata fatta fumigare una quantità di
estere di cianoacrilato, per circa 15 minuti alla temperatura di 21-23°C, con umidità
Il cianoacrilato è un reagente chimico che evidenzia con colore bianco le creste
papillari. Data la sua reattività in presenza di tracce d'acqua, è impiegato in ambito
forense per rilevare impronte digitali. Vaporizzato sull'impronta, l'umidità che questa
reca ne provoca la polimerizzazione formando un calco solido dell'impronta.
Successivamente tali superfici sono state trattate con Ardrox, colorante luminescente
giallo utilizzato insieme al cianoacrilato al fine di contrastare le impressioni rilevate
dalla reazione di polimerizzazione.
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I reperti con superfici lisce sono invece stati trattati con soluzione alcolica a base di
ninidrina, un tracciante chimico che reagisce con gli amminoacidi delle secrezioni
eccrine delle quali sono composte le impronte ed evidenzia con colore rosso le creste
Le impronte rilevate sono poi state fotografate digitalmente.
Sulla confezione di Haldol 2 è stata rilevata un'impronta digitale utile. Sul bollettino
postale "Futur Glass" 2 sono state rilevate due impronte palmari utili. Sul bollettino
"Bertacchini Graziano" un doppio contatto digitale verosimilmente simultaneo.
Sull'adesivo dattiloscopico è stata rilevata un'impronta digitale con utilità
Queste sole impronte ritenute utili sono state esaltate su reperti non ritenuti
particolarmente significativi per la ricostruzione della dinamica delittuosa, per questo
motivo non si è proceduto all'acquisizione di documentazione dattiloscopica dei
componenti del nucleo familiare per le comparazioni di rito.
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Fig. 1 Frammento digitale presente sulla confezione di Haldol 2.
Fig. 2 Frammento palmare "a"presente nel bollettino postale Futur Glass 2.
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Fig. 3 Frammento palmare "b" presente sul bollettino postale Futur Glass 2.
Fig. 4 Frammenti digitali "a" e "b" presenti sul bollettino postale Bertacchini Graziano.
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Fig. 5 Frammenti digitale presente sull'adesivo dattiloscopico.
Gli stessi guanti sui quali sono state rilevate impronte di saliva e di sudore non sono
stati fonte utile per la assunzione di impronte papillare, vista la difficoltà di lavorare su
questi reperti per la particolare plastica di cui erano composti.
Inoltre è stata riscontrata la totale assenza di impronte su reperti quali i frammenti di
nastro adesivo o il vaso in cristallo rinvenuto ai bordi della piscina. Tale fatto fa
presumere che chi ha maneggiato gli oggetti calzasse un paio di guanti.
2.1.2. La relazione dei periti nominati dal GIP in sede di Incidente Probatorio
Sono il prof. Adriano Tagliabracci dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università
degli Studi di Ancona e la dott.ssa Susi Pelotti dell'Istituto di Medicina Legale
dell'Università degli Studi di Bologna ad essere nominati periti del GIP al fine di
rispondere ai seguenti quesiti:
- verificare se lo stato e la modalità di conservazione dei reperti abbia consentito
una loro attuale valutazione i fini delle analisi indicate;
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- in caso di esito positivo di questa verifica rilevare i profili genetici rilevabili sui
- indicare la denominazione di tutti i polimorfismi del DNA rilevati; - comparare i profili con quelli già rilevati; - evidenziare ulteriori profili riscontrabili non riconducibili ai soggetti già
repertati (Mantovani Paola, Nadalini Roberto e i vicini di casa della coppia).
Per portare avanti questa analisi il GIP presuppone che si proceda anche ad una
verifica di quanto compiuto dai RIS e ad una valutazione delle eventuali lacune o
carenze nelle procedure applicate o nella documentazione prodotta.
Le operazioni peritali hanno inizio il 15 gennaio 2003 presso l'Università di Ancona.
Vengono analizzati 34 prelievi sui reperti studiati in prima battuta dai Carabinieri del
RIS di Parma, tra questi solo 11 sono considerati positivi alle indagini di
identificazione individuale, che corrispondono a due paia di guanti e al sacchetto.
I consulenti, nelle conclusioni alla relazione tecnica consegnata al GIP, precisano
innanzitutto come le tecniche di amplificazione del DNA abbiano rivoluzionato il
campo della genetica forense, portando negli ultimi anni uno sviluppo e un
miglioramento notevole delle metodologie di studio del Dna.
In particolare ad oggi risulta possibile rintracciare e repertare tracce di Dna anche da
quantità esigue di materiale biologico, o da materiale estraibile degradato. Per far ciò
occorre in ogni caso l'applicazione di parametri ben precisi, valutati a livello
internazionale per rendere trasparente e affidabile il risultato dell'analisi.
In campo forense è quindi consigliabile utilizzare marcatori DNA studiati in tutto il
loro polimorfismo, a basso tasso di mutazione e di cui si conoscono le frequenze di
distribuzione degli alleli nelle diverse popolazioni. Sono preferiti i polimorfismi di
lunghezza detti STRs (short tandem repeats) o microsatelliti, da studiare mediante
reazioni multiplex, amplificazione di più marcatori nella stessa provetta. Dall'analisi
del polimorfismo di questi marcatori viene ricostruito il profilo genetico della traccia o
del campione di riferimento.
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In merito al primo quesito si rileva innanzitutto che i reperti da esaminare non
contengono sangue o materiale biologico che possa essere alterato dalla conservazione
col passare del tempo. Resta inteso però che sorgono problemi causati dalla
reiterazione dell'indagine sui campioni in quanto, a seconda anche dell'idoneità delle
tecniche applicate, dal primo operatore che effettua un'asportazione di materiale fino
all'ultimo che si ritrova a studiarlo cambia la quantità analizzabile e quindi anche la
possibilità di ottenere risultati interessanti.
In questo caso il recupero di materiale ha interessato o zone contigue a quelle
analizzate dal RIS o le stesse zone dove non era stato completamente asportato il
materiale. I risultati ottenuti sono gioco forza minori di quelli ottenibili in prima
Per quanto riguarda i profili genetici rilevati il prof. Tagliabracci conclude che non
sono stati riscontrati profili genetici dai lembi finali di nastro adesivo che avvolgeva il
corpo di Paola Mantovani e dal pezzo di nastro attaccato a uno dei guanti in lattice
ritrovato ai bordi della piscina, così come da quello rinvenuto sul cappuccio posto al
Sono stati invece rilevati profili su due paia di guanti: il primo ritrovato sul bordo della
piscina ha dato luogo a profili individuali appartenenti a soggetto di sesso maschile;
sono stati inoltre ottenuti risultati positivi ma con profilo misto per alcuni loci su altri
tre prelievi; il secondo paio di guanti, rinvenuto sopra il televisore, ha dato luogo a sei
profili genetici individuali che, tramite il test dell'amelogenina, identificano tutti un
soggetto di sesso femminile.
Infine i prelievi effettuati sul sacchetto che ricopriva il capo di Matteo hanno dato un
risultato positivo isolato, anche questo riconducibile a un soggetto di sesso femminile.
Sul primo paio di guanti si riscontra un profilo equiparabile a quello di Matteo
Nadalini. Sul secondo paio un profilo compatibile con quello di Paola Mantovani
mentre sul sacchetto viene riscontrato un profilo parziale con alleli identici a quelli del
profilo di Mantovani Paola e con alcuni loci che presentano più di due alleli.
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Non è stato quindi necessario procedere alla tipizzazione degli altri eventuali profili
non rilevati in un primo momento dai consulenti del PM. I risultati ottenuti dai
consulenti del GIP corrispondono quindi a quanto ottenuto dai Carabinieri del RIS.
2.1.3. La relazione del perito della difesa
Interviene quale consulente di parte della difesa in merito agli accertamenti biologico -
dattiloscopici la prof.ssa Maria Luisa Giovannucci Uzielli del Dipartimento di
Genetica e Medicina Molecolare dell'Università di Firenze.
Analizzando i reperti studiati dal prof. Tagliabracci la consulente evidenzia
innanzitutto come sul primo reperto non siano riscontrabili altri profili se non quello di
Nadalini Matteo.
In altri prelievi sullo stesso reperto si riscontra un profilo misto, tra i cui alleli ve n'è
uno che non appartiene alla madre di Matteo, non appartiene al ragazzo e neppure al
vicino di casa che è intervenuto a soccorrere Matteo. Ci si chiede quindi a chi possa
appartenere questo profilo non riconducibile a nessuno dei soggetti preventivamente
In tutti campioni analizzati il polimorfismo della amelogenina indica chiaramente la
presenza anche di un profilo maschile, che era già stato rilevato dei Ris ma
completamente ignorato nell'interpretazione dei risultati. Perchè?
Sul secondo paio di guanti è chiara la definizione del profilo di Paola Mantovani come
sul sacchetto sono presenti entrambi i profili.
In conclusione la prof.ssa Giovannucci Uzielli sostiene che non vengono mai presi in
considerazione gli alleli che non appartengono né a Matteo né alla madre Paola o al
vicino di casa. Per certi versi si può dire che l'interpretazione ignora a priori la non-
compatibilità di alcuni profili individuati, e ben chiari anche nella consulenza del RIS,
con i profili di Paola Mantovani. Viceversa dovrebbe essere presa in seria
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considerazione la presenza di alleli del tutto estranei alle persone che hanno prestato
soccorso a Matteo e alla madre sul luogo del delitto.
In alcuni casi inoltre si tende ad attribuire a Paola Mantovani anche alleli comuni con
il figlio Matteo, utilizzando tecniche di laboratorio che non permettono una
valutazione quantitativa capace di discernere tra presenza di una doppia copia degli
Purtroppo l'analisi dei periti non è riuscita a dare risultati soddisfacenti per ragioni
intrinseche ai reperti stessi. Dai tracciati ottenuti dai RIS sono evidenti altre situazioni
analoghe di profili genetici che potrebbero portare ad individui estranei al nucleo
familiare di Matteo ma non è possibile, per mancanza di materiale, procedere ad
un'analisi più accurata.
2.2 Gli accertamenti medico-legali
2.2.1 La relazione tecnica del Prof. De Fazio e della Dott.ssa Fregni
o Note preliminari sulle indagini medico legali svolte nell'ambio del Proc.
Pen. 4440/01 depositata in data 15/10/2001.
Nel corso della prima indagine necroscopica è stata evidenziata la presenza sul collo
del ragazzo di lesioni traumatiche in superficie, in parte riferibili all'effetto di
compressione dato dalla cintura, rimossa al momento dei primi tentativi di soccorso, e
in parte in forma di lesioni escoriate compatibili con unghiature.
Il quadro anatomo - patologico è in tutto e per tutto coincidente con una morte
asfittica. Non sono state rilevate lesioni traumatiche o fenomeni di infiltrazione
emorragica a livello dei tessuti profondi del collo.
Ciò fa pensare che Nadalini Matteo sia deceduto per un'asfissia meccanica non
correlata ad effetto di compressione ab-estrinseco delle vie aeree, quale si potrebbe
ipotizzare considerando lo strangolamento mediante la cintura o lo strozzamento
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indicato dai segni di unghiatura, bensì in rapporto ad un meccanismo combinato di
soffocamento e di spazio confinato, il quale si verifica nel caso in cui il capo sia
completamente avvolto da mezzi impermeabili.
I medici legali hanno inoltre provveduto a prelevare frammenti di tessuti, liquidi
biologici e frammenti dei principali organi, ciò al fine di verificare la presenza e la
quantità di sostanze stupefacenti nell'organismo.
Non sono stati accertati il peso e la statura del ragazzo.
Durante il sopralluogo nell'abitazione del ragazzo, nell'immediatezza dell'omicidio,
erano state trascritte le ricette inerenti le sostanze farmacologiche che venivano
somministrate a Matteo in esito alla prescrizione del suo medico psichiatra. Nel corso
di una prima analisi, effettuata dalla dott.ssa Licata responsabile del laboratorio di
tossicologia forense presso la Sezione di Medicina Legale del Policlinico di Modena,
emerge che in linea di massima i farmaci indicati in tali ricette sono tutti presenti
nell'organismo del ragazzo in concentrazione terapeutica. Ciò ad eccezione del
farmaco Talofen, che presenterebbe una concentrazione maggiore rispetto a quanto
indicato in ricetta.
Per confermare tale dato risulta tuttavia necessario verificare la corretta trascrizione
della ricetta nonché le successive modifiche al dosaggio che possono essere
intervenute in forma non scritta.
Per quanto riguarda il quesito inerente i danni subiti dalla sig.ra Mantovani e l'origine
dei segni di unghiatura sul collo del ragazzo si è provveduto ad effettuare un incontro
successivo con i sigg.ri Nadalini, svoltosi il 19 settembre presso la sezione di Medicina
In questa occasione i medici rilevano che Paola Mantovani riporta minime lesioni
traumatiche di superficie, localizzate:
- al cuoio capelluto, in regione parieto-occipitale paramediana destra;
- al volto, in regione mentoniera paramediana sinistra;
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- all'arto superiore destro, sull'avambraccio;
- alla mano destra, alla superficie dorsale dell'articolazione del secondo dito;
- all'arto superiore sinistro, alla faccia posteriore del gomito.
Nel corso della visita viene altresì rilevato che la signora presenta unghie delle mani
lunghe tranne le unghie del III e V dito della mano destra le quali paiono come
recentemente tagliate.
Infine si è proceduto a un sommario esame delle mani del sig. Nadalini Roberto il
quale mostra unghie molto corte e riferisce peraltro di averle tagliate recentemente.
o Relazione tecnica medico legale per il P.M. sulle cause della morte di
Nadalini Matteo
Al sopralluogo la sera del fatto partecipò anche la dott.ssa Fregni per i preliminari
rilievi medico legali. Ad una prima analisi, effettuata intorno alle ore 00.30 del
12.09.2001, il cadavere presentava: rigidità cadaverica in fase di iniziale
instaurazione, ipostasi di media intensità, di colorito rosso vinoso, presenti alle
regioni declivi dorsali e completamente migrabili alla digitopressione; temperatura
corporea nettamente positiva rispetto a quella ambientale e assenza di fenomeni
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Dal punto di vista medico legale il cadavere presentava lesioni traumatiche di
superficie unicamente localizzate al collo e costituite da aree violacee di natura
verosimilmente ecchimotica, di cui alcune in forma di striature a prevalente direzione
trasversale mentre una, localizzata in regione latero cervicale destra, in forma di linea
curva chiusa a delimitare un'area di cute di forma vagamente ovalare.
Si rilevava inoltre una intensa cianosi del volto e delle regioni antero-superiori del
torace con disposizione cosiddetta "a mantellina".
Erano presenti legature a carico di entrambi i polsi con nastro adesivo di colore
nocciola del tipo da pacchi così descrivibili:
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- al polso destro la legatura era sovrapposta alla parte terminale della manica della
giacca del pigiama ed era costituita da un avvolgimento completo del polso;
- al polso sinistro la legatura risultava applicata direttamente sulla cute del polso ed era
composta da un unico avvolgimento completo.
All'interno della camera da letto in cui veniva ritrovato il cadavere erano inoltre
repertati ulteriori frammenti di nastro adesivo con caratteristiche analoghe a quello
usato per legare i polsi del ragazzo. Fra questi un frammento costituito da due tratti
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asimmetrici tra loro in parte sovrapposti, riferibile all'imbavagliatura che in origine
occludeva le vie respiratorie. Altri frammenti erano applicati ad un sacchetto di
cellophane di colore
azzurro che, in base alle
dichiarazioni, costitutiva
una sorta di cappuccio
che avvolgeva il capo del
Tutti questi frammenti
sono stati repertati e
consegnati a personale
In corso di sopralluogo si
è proceduto inoltre ad
acquisire una cintura in cuoio di colore nero che risultava essere applicata al collo del
ragazzo. Oltre a ciò sono state altresì acquisite svariate confezioni di medicinali che
venivano quotidianamente somministrate al minore per il trattamento della patologia di
cui era affetto, nonché una ricetta della dottoressa che aveva in cura il ragazzo
riportante la terapia da somministragli.
L'autopsia vera e propria viene compiuta il giorno 14 settembre presso l'Obitorio
Comunale di Modena annesso alla Sezione di Medicina Legale del Dipartimento di
Scienze Morfologiche e Medico Legali dell'Università di Modena.
Il corpo riporta una regolare progressione della rigidità cadaverica, dal punto di vista
traumatologico si osserva la presenza di complessi lesivi di superficie tutti localizzati
In regione cervicale antero-laterale destra si rileva la presenza di un'area
ecchimiotica che pare riprodurre a stampo il tratto libero della parte di cuoio
ripiegata a trattenere la fibbia della cintura.
Sulla superficie antero-laterale destra una lesione escoriata a forma di V che pare
compatibile con una lesione per effetto della pressione e dello scorrimento sulla
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cute della porzione distale della cintura caratterizzata dalla presenza della fibbia
In regione cervicale anteriore paramediana sinistra, all'altezza del cosiddetto
pomo di Adamo, una linea escoriativa a decorso curvilineo che pare suggerire una
lesione da unghiatura.
Circa a 1,5 cm dalla lesione precedente si osserva una ulteriore lesione escoriata di
dimensioni inferiori sempre riconducibile ad unghiatura.
Nel riepilogare le considerazioni finali sul caso i medici innanzitutto riportano che al
momento del primo sopralluogo la notte del 12 settembre il ragazzo risultava essere
pressochè completamente liberato da tutti i mezzi che, da dichiarazioni, risultavano
essergli applicate al collo e al capo. Rimanevano le legature ai polsi, caratterizzate da
avvolgimenti di nastro adesivo separate l'una dall'altra, quindi non intese a collegare i
polsi tra loro nè a legarli agli arti inferiori, come invece pareva descritto nelle
dichiarazioni del padre che per primo aveva effettuato i soccorsi.
Tenuto quindi conto di tutte le modificazioni conseguite ai tentativi di rianimazione
del giovane (si noti soprattutto come sia stato spostato dal letto sul quale è stato
ritrovato dal padre al pavimento della camera), le prime considerazioni derivanti dalle
dichiarazioni dei familiari e dal sopralluogo della dott.ssa Fregni portano subito a
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pensare che il ragazzo sia deceduto per un'asfissia. Le successive indagini
necroscopiche hanno confermato questa ipotesi, in quanto le condizioni del soggetto
erano caratterizzate da intensa cianosi del volto, marcata fluidità del sangue con
congestione ematica pluriviscerale, presenza di petecchie a livello subpleurico e di
falda di versamento liquido di colorito croceo a livello del sacco pericardico.
Alcuni elementi in una prima fase delle indagini hanno portato a pensare che la causa
della morte potesse essere uno strangolamento attuato con la cintura di cuoio
direttamente applicata sulla cute, viste le lesioni traumatiche di superficie presenti sul
collo, oppure uno strozzamento, visti i segni di unghiatura presenti sempre sul collo.
Tuttavia le lesioni suddette si sono rivelate troppo superficiali per essere indicative di
una effettiva compressione delle vie aeree superiori. Inoltre in fase autoptica si è
rivelata una totale assenza di lesività traumatica sia a carico delle vie aeree che delle
principali strutture ad esse circostanti, nonché la mancanza di versamenti emorragici.
Resta quindi come ipotesi maggiormente fondata la morte asfittica provocata
dall'avvolgimento del capo del ragazzo in un sacchetto di cellophane trattenuto al
collo mediante nastro adesivo. I meccanismi che si sono venuti a creare sono
contestualmente quello della soffocazione per occlusione diretta degli orifizi
respiratori e quello dello "spazio confinato".
Il meccanismo della soffocazione si realizza direttamente qualora l'applicazione del
mezzo impermeabile avvenga mediante avvolgimento stretto del capo con occlusione
diretta da parte dello stesso mezzo sia delle narici che della bocca. Tale meccanismo
può tuttavia intervenire anche dove il mezzo occludente sia più ampio, meno stretto
intorno al capo, ma che genera comunque il fenomeno della asfissia insieme
all'attrazione verso gli orifizi respiratori del mezzo occludente nell'atto
dell'inspirazione.
Per quanto attiene invece la creazione di uno spazio confinato si tratta di una modalità
di morte asfittica (altrimenti detta confinamento) che si realizza mediante isolamento
di una o più persone in ambienti in cui sia fortemente limitata la presenza di ossigeno.
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Nel caso in cui il capo di un soggetto sia completamente avvolto da un involucro quale
un sacchetto di plastica si viene a realizzare il confinamento di una parte del corpo,
sede in particolare degli orifizi atti a respirare.
Quindi in questa occasione entrambi i meccanismi sono intervenuti in combinazione,
non potendo prevalere l'uno sull'altro. Inoltre bisogna escludere che altri mezzi che
risultavano avvolgere il capo del ragazzo abbiano determinato effetti compressivi
I medici legali, non conoscendo d'altra parte la esatta modalità di avvolgimento della
cintura al collo del ragazzo, rilevano comunque lesioni cutanee certamente determinate
dalla stessa, vista l'impronta a stampo determinata dalla sua ripiegatura interna che
suggerisce una sua applicazione in verticale. La cintura in tale applicazione
difficilmente realizza un effetto di compressione sulle vie aeree principali del collo, a
differenza invece di quella in orizzontale tipica dello strangolamento.
Al più l'utilizzo della cintura con avvolgimento in verticale avrebbe potuto
determinare una morte di tipo riflesso, allorquando una brusca compressione avesse
scatenato reazioni quali un arresto circolatorio.
Nonostante questa sia l'ipotesi più accreditata restano da spiegare alcune lesioni
escoriate curvilinee, qualificabili come unghiature, determinate dalla pressione che si
realizza nel corso di un afferramento specie laddove le unghie sono di una certa
Resta da considerare però la localizzazione monolaterale di tali segni, nonché la
assoluta mancanza di lesioni a livello dei tessuti sottostanti che farebbe pensare ad una
manovra non direttamente finalizzata a nuocere al ragazzo bensì a liberarlo dai vari
mezzi di costrizione che gli impedivano di respirare nel tentativo di rianimarlo. Queste
manipolazioni avrebbero quindi potuto causare accidentalmente tali segni.
Quanto a quest'ultimo aspetto è stato inoltre rilevato come non siano stati rinvenuti sul
corpo del ragazzo segni di lesività da difesa. Ciò fa pensare che egli si trovasse in
condizioni tali da non poter reagire al suo aggressore, aspetto confermato anche dalla
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complessità delle legature e degli avvolgimenti che gli sono stati imposti prima di
provocarne la morte. Tale "imbavagliatura" non era certamente praticabile in caso di
soggetto vigile e reattivo, o se non altro avrebbe provocato sulle mani segni provocati
dal tentativo di difendersi. In sede di indagini necroscopiche oltretutto non sono state
rilevate lesioni al capo provocate nel tentativo di stordire il soggetto.
Non ci sono infine lesioni traumatiche al volto o alla superficie interna delle labbra che
possano far pensare a un tentativo di soffocazione mediante occlusione manuale, o
tramite oggetti quali un cuscino, degli orifizi respiratori. Rimane invece ipotizzabile
una condizione di assopimento sensorio del ragazzo, probabilmente correlato alla
terapia farmacologica che gli era stata prescritta per il trattamento del grave disturbo
dello sviluppo di cui soffriva.
o Relazione tecnica medico legale circa i segni di unghiatura rilevati sul
cadavere di Nadalini Matteo.
In merito alla genesi e alla funzioni dei segni ritrovati sul collo di Matteo,
presumibilmente provocati da unghiature, è stato richiesto all'equipe di medici legali
di valutare la riconducibilità di tali segni alle operazioni di liberazione del ragazzo
messe in atto dal padre nel momento del suo ritrovamento. Successivamente il P.M. ha
conferito ulteriore analogo incarico ai periti richiedendo l'eventuale riconducibilità di
tali di tali segni alle unghie di Paola Mantovani.
Per rispondere a tale quesito i medici hanno innanzitutto provveduto ad esaminare le
foto del corpo del ragazzo acquisite durante le indagini necroscopiche, hanno poi
acquisito campioni di unghiature del sig. Nadalini Roberto e della sig,ra Mantovani per
poi analizzarli comparativamente con le immagini delle lesioni.
Preliminarmente è da rilevare come, nonostante nelle immagini digitali sia stata
accostata una striscetta metrica alle lesioni, data la loro esiguità dimensionale e la
scarsa definizione delle estremità è apparso difficile darne una misurazione.
L'unghiatura di maggiori dimensioni è della lunghezza di 8 mm.
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I campioni acquisiti dal padre sono stati assunti su un supporto costituito da una grossa
candela in cera sulla l'uomo ha apposto le impronte mediante pressione dell'estremo
distale del polpastrello, in particolare del margine libero ungueale effettuato con
entrambe le mani sui due lati opposti della candela.
Non essendo il risultato ottimale al momento della rilevazione delle impronte della
madre si è provveduto a cercare un supporto più idoneo e tale è apparso un materiale a
base di silicone a polimerizzazione per condensazione utilizzato in ambito
odontoiatrico per acquisire le impronte dentarie.
Tale materiale è stato modellato in forma di piastrella dello spessore di circa 5 mm ed
è stato applicato per rivestire una superficie curvilinea costituita dal collo di un
manichino di polistirolo, in modo da riprodurre il più fedelmente possibili la superficie
del collo del ragazzo.
Una volta presa l'impronta del margine libero ungueale il materiale è stato fatto
essiccare in aria a temperatura ambiente fino a divenire indeformabile.
Per procedere alla comparazione si è optato per l'analisi mediante elaborazione
elettronica delle immagini. Le fotografie del ragazzo sono state consegnate a un
funzionario tecnico presso il Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti
dell'Università di Modena, insieme alla candela e a 7 calchi, 4 riportanti le impronte
della sig.ra Mantovani e 3 riferibili ad analoghe impronte prelevate da tre soggetti di
sesso femminile diversi dalla sig.ra Mantovani. Non è stata resa nota al tecnico
l'attribuzione dei diversi calchi in modo da non incorrere in inferenze di tipo
Il tecnico ha acquisito complessivamente 88 immagini dei calchi che gli sono stati
consegnati, di ognuna di tali immagini è stata misurata la lunghezza mediante scala
millimetrica applicata sul calco, con un margine di errore, dovuto anche alle
condizioni di illuminazione, di più o meno 0,7 mm.
Delle stesse unghiature è stata analizzata altresì la curvatura.
La stessa metodologia di indagine è stata tentata anche per i campioni del sig. Nadalini
ma purtroppo il supporto della candela si è rivelato completamente inidoneo ai fini
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dell'indagine, risultando addirittura difficile individuare le impronte e distinguerle
dalle intaccature accidentali della candela.
Nonostante ciò si è ritenuto di non acquisire ulteriori impronte di unghiatura del sig.
Le conclusioni alla indagine sulle unghiature riportano che non è stata ricavata alcuna
analogia tra le diverse serie di impronte di unghiatura della sig.ra Mantovani esaminate
e il segno rilevato sul collo di Nadalini Matteo. Inoltre le stesse quattro differenti serie
di impronte lasciate dalla signora non mostravano analogia nemmeno tra loro, nè
relativamente alla loro dimensione né relativamente all'angolo di curvatura.
Pertanto l'indagine non solo non ha portato esito positivo relativamente al quesito
posto dal P.M. ma ha di fatto documentato come le unghiature di uno stesso soggetto
di fatto assumono caratteristiche variabili sia in termini di dimensioni che di forma,
anche quando acquisite su medesimo supporto.
Ciò è certamente dovuto a diversi fattori tra cui l'inclinazione della falange, la
lunghezza dell'unghia, la forza utilizzata nel fare pressione.
Resta da considerare che l'indagine come non ha confermato l'appartenenza dei segni
alle unghie di uno dei genitori così non ha neppure smentito tale ipotesi.
o Consulenza tecnica medico-legale in tema di lesioni personali patite da
Mantovani Paola
Il giorno 19 settembre la sig.ra Mantovani si reca con il marito presso il Dipartimento
di Medicina Legale per la visita atta a definire le lesioni patite la notte del 12
Ai medici appare una donna in buone condizioni fisiche, indenne da patologie di
rilievo e riportante buone condizioni generali di nutrizione e sanguificazione.
Dal punto di vista neurologico non si apprezzano alterazioni dei nervi cranici né turbe
della sensibilità o della motricità; si rilevano solo oscillazioni indifferenziate al
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Nel procedere ad ispezione corporale si rileva la presenza di minime lesioni
traumatiche di superficie, in gran parte in fase di evoluzione, qui di seguito descritte:
- Al capo: al cuoio capelluto, in regione parieto-occipitale paramediana destra si
nota una piccola crostosità di forma allungata leggermente curvilinea; al volto,
all'altezza del margine inferiore della mandibola, due lesioni escoriative
puntiformi delle dimensioni di 1-2 mm circa.
- All'arto superiore destro: area ecchimiotica di superficie vagamente
tondeggiante sulla superficie dell'avambraccio; alla mano destra, sulla
superficie dorsale, linea escoriativa di mm. 3 circa.
- All'arto superiore sinistro: alla faccia posteriore del gomito puntiforme lesione
La sig.ra Mantovani al momento della visita presenta unghie lunghe, ampiamente
debordanti dall'estremo del polpastrello tranne che al terzo e quinto dito della mano
destra dove il margine risulta solo leggermente debordante e irregolare, come per
recente taglio di forbice.
Viene dato atto altresì che la dott.ssa Fregni, nel corso del sopralluogo effettuato sulla
scena del crimine, aveva effettuato, su richiesta del P.M., una sommaria ispezione al
capo della sig.ra Mantovani finalizzata ad accertare la presenza di eventuali lesioni. In
esito a tale ispezione si rilevava la presenza al cuoio capelluto, in regione parieto-
occipitale mediana, di una tumefazione di forma quasi ovalare delle dimensioni di
circa 5 cm per 3, di consistenza tesa e dolente alla palpazione.
Il complesso delle lesioni messe in evidenza nel corso della visita ha un grado di
evoluzione riparativa compatibile con l'intervallo di circa 7 giorni trascorso dal
momento del fatto. Per quanto riguarda i mezzi di produzione la lesione al gomito è
riconducibile a un trauma contusivo, prodotto o per contatto diretto della parte
interessata con un mezzo contundente (anche un pugno) o per l'urto di detta regione
contro una superficie rigida. Meno probabile che la lesione sia stata prodotta per
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effetto di una pressione localizzata finalizzata ad esempio all'immobilizzazione o al
In merito alle lesioni riportate al volto è riconoscibile un meccanismo
traumatogenetico di tipo contusivo tangenziale, che ha quindi determinato
l'asportazione degli strati cutanei più superficiali. Tali segni possono essere
compatibili con gli effetti di una caduta o di un urto o quale effetto, come da
dichiarazioni della sig.ra Mantovani, dell'applicazione del nastro adesivo al volto.
Per quanto attiene poi la lesione escoriata alla mano, nonostante le variabili che si
possono incontrare nel percorso riparativo di una ferita, essa appare come una lesione
recente, soprattutto se posta in relazione alle altre presenti sul corpo della donna. E'
anche da considerare che si tratta di una zona che molto frequentemente può essere
interessata da traumi accidentali nella vita quotidiana.
Infine la lesione escoriativa rilevata al cuoio capelluto va considerata in relazione a
quanto rilevato anche in sede di prima ispezione la notte tra il 12 e il 13 settembre. I
medici premettono infatti che le due diverse tipologie di lesioni riscontrate non
risultano tra loro difformi in quanto hanno entrambe all'origine un meccanismo di tipo
contusivo e in più le lesioni escoriate richiedono un certo lasso di tempo per
manifestarsi appieno (inizialmente di presentano semplicemente come un'area umida e
lievemente lucida e solo successivamente acquistano la crostosità).
La lesione al capo, nella sua evoluzione, può quindi essere considerata causata dal
medesimo trauma contusivo, riportato o per trauma diretto (come riferito dalla stessa
in seguito ad un colpo infertole al capo da un mezzo contundente) o per trauma
indiretto, in seguito ad un urto della regione parieto-occipitale del capo su di un piano
rigido (ad esempio il fondo della piscina).
In ogni caso è da sottolineare come tutte le lesioni riportate dalla sig.ra Mantovani non
hanno mai comportato alcun pericolo per la vita della donna. La stessa lesione al capo
non le ha provocato alterazioni neurologiche neppure di carattere transitorio, come
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perdita di coscienza o postumi. Tenuto conto del tipo di lesione e del mezzo ipotizzato
quale causa di tale lesione (il vaso di cristallo) si può dedurre che il colpo inferto non
sia stato molto violento, anche perchè un trauma intenso avrebbe provocato danni
all'integrità del vaso stesso.
2.2.2 La relazione tecnica per la difesa
La difesa di Paola Mantovani si rivolge, per dare una risposta e un contraddittorio alle
dichiarazioni dei Carabinieri del RIS di Parma quali consulenti del PM, al Prof.
Pierluigi Baima Bollone, Ordinario di Medicina Legale dell'Università di Trento.
Le sue osservazioni sulla perizia medico legale e sulla consulenza biologico-
dattiloscopica sono le seguenti:
SALIVA: l'analisi fatta dai RIS delle tracce di saliva rilevate in alcuni lembi di
nastro (adesi a un guanto in lattice, rinvenute ai bordi della piscina e sulla stessa
vittima) manca di un presupposto fondamentale che è la diagnosi generica,
indispensabile per identificare prima di tutto di che natura sia la traccia biologica
che si va a studiare (sangue, fluor, lacrime, sudore o appunto saliva).
La ricerca dell'-amilasi, enzima deputato alla digestione dei polisaccaridi, deve
essere puramente orientativa in quanto tale sostanza si rinviene anche negli
animali, nelle piante, nei funghi e nei batteri. La dimostrazione chimica della saliva
può quindi essere effettuata mediante la ricerca dei nitriti ma soprattutto del
tiocianato di sodio.
NASTRI ADESIVI: le superfici irregolari dei lembi di nastro adesivo repertati
fanno supporre all'accusa che tale scotch sia stato tagliato mordendolo con i denti,
e che questa sia la spiegazione del ritrovamento di saliva sui bordi. Ciò è
innanzitutto un ragionamento logico circolare per cui si cerca di spiegare il
repertamento di saliva sui bordi con il taglio per mezzo di denti e il taglio per
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mezzo di denti con il ritrovamento di saliva. Inoltre manca una repertazione e una
documentazione precisa di tutti i lembi di nastro ritrovati e della loro forma
originaria, risultando ad oggi un informe groviglio di materia.
Chiunque provasse a recidere con i denti un nastro adesivo del tipo di quello da
pacchi marrone vedrà che ci sarà un primo taglio netto e poi una strappatura
comunque lineare, e mai un'andatura irregolare e alternata della linea di taglio.
CONSULENZA MEDICO LEGALE sulle lesioni riportate da Paola Mantovani:
su questo punto il consulente della difesa si trova in accordo con i consulenti
dell'accusa nel rilevare e dare la corretta spiegazione alle lesioni (al braccio, al
volto e alla testa) subite dalla signora e che paiono in linea con la sua descrizione
Il Prof. Baima Bollone affronta poi una serie di quesiti postigli dagli stessi difensori.
In primo luogo gli viene richiesto come è possibile che il padre, che è stato il primo a
ritrovare il corpo di Matteo e a tentare di soccorrerlo, non abbia lasciato nessun tipo di
traccia sul corpo del ragazzo. Il consulente precisa che, in base alla sua personale
esperienza, è difficilmente spiegabile che i RIS non abbiano rilevato alcuna traccia del
polimorfismo del DNA di Roberto Nadalini sul collo o sul viso del figlio.
Ugualmente strano è il fatto che il DNA di Matteo sia stato ottenuto per deduzione
dall'esame incrociato del DNA dei genitori e non direttamente, visto che si aveva a
disposizione il cadavere del ragazzo.
Sui guanti ritrovati a bordo della piscina e su quelli ritrovati nella cesta in cucina i RIS
sostengono di aver ritrovato tracce di sudore: sul palmo, riconducibili al DNA di Paola
Mantovani che risulta quindi essere il soggetto che li ha indossati, e sui bordi,
riconducibili a Matteo Nadalini che ne sarebbe stato sfiorato.
Nonostante ciò non si rinviene in nessun altro documento prodotto dall'accusa una
diagnosi generica di sudore, tale per cui si possa poi a ragione parlare di tracce di Dna.
Oltretutto gli stessi RIS dichiarano, nell'elenco di oggetti repertati, che per quanto
riguarda i guanti non è stato possibile distinguere la parte interna dalla parte esterna.
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Il procedimento logico utilizzato dai Carabinieri non è induttivo bensì deduttivo,
basato semplicemente sull'esperienza avuta in casi simili e non sulla dimostrazione nel
In merito alle procedure di imbavagliamento e legatura del ragazzo i difensori si
chiedono se sia possibile che una donna della corporatura della sig.ra Mantovani abbia
potuto portare avanti da sola tali operazioni. I medici che hanno effettuato l'autopsia di
Matteo e l'esame delle lesioni riportate da Paola Mantovani non hanno proceduto a
pesare e misurare nessuno dei due. Tuttavia valutando le fotografie non si considera
possibile che una donna possa, da sola, legare e soffocare un ragazzo il cui peso
probabilmente si aggirava intorno ai 70-80 chilogrammi.
Viene chiesto poi al prof. Baima Bollone di analizzare la questione delle unghiature
sul collo di Matteo. Il consulente afferma innanzitutto che non è possibile che tali
unghiature siano state lasciate da un soggetto che portava guanti in lattice. In secondo
luogo è possibile che la loro origine sia da ricercare nelle operazioni svolte dopo la
morte del ragazzo per tentare di rianimarlo, nonostante non siano stati effettuati esami
istologici a livello delle escoriazioni per valutare una diagnosi di vitalità o di non
In merito all'ora della morte del ragazzo essa non è stata rilevata precisamente dal
medico legale accorso sul luogo del delitto, il quale non aveva disponibilità di un
tanatotermometro e si è limitato a rilevare che alle ore 00.30 si osservava una
"contrattura corporea di superficie nettamente positiva rispetto a quella ambientale".
Allo stesso modo non viene descritta la situazione tanatooculare (tono del bulbo,
situazione della pupilla, opacità corneale). Si può quindi solo presumere che la morte
si sia verificata tra le 18.30 e le 20.30 della sera.
Per quanto riguarda le fasi della morte di Matteo Nadalini si richiede al consulente
quanto tempo possa essere occorso dal momento dell'applicazione del sacchetto fino
al momento in cui è intervenuto il blocco cardio-respiratorio. Si ritiene che la morte
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per asfissia per spazio confinato sopraggiunga con molta variabilità in una decina di
minuti, per cui si può sostenere che il decesso sia intervenuto in non meno di 5 minuti.
Il prof. Baima Bollone infine conferma che, non essendo state rilevate lesioni alla
superficie mucosa delle labbra, sia superiore che inferiore, pare da respingere l'ipotesi
che vi sia stata compressione anche lieve delle vie aeree.
2.3 Gli accertamenti tossicologici
2.3.1. Consulenza tecnica chimico-tossicologica della prof.ssa Montagna e della
Dott.ssa Licata in merito alla determinazione retrospettiva del dosaggio di farmaci
aventi effetti ipnotici e sedativi assunti da Nadalini Matteo nell'epoca precedente la
sua morte e al raffronto con le prescrizioni effettuate dai suoi medici curanti.
L'indagine tossicologica inizia con il sopralluogo della dott.ssa Fregni la notte del
delitto e l'acquisizione dei farmaci abitualmente assunti da Nadalini Matteo, come
dichiarato dai genitori al momento del fatto. Tali reperti venivano conseguentemente
consegnate al Laboratorio di Tossicologia dell'Istituto di Medicina Legale di Modena
per le opportune analisi.
Tra i reperti si rinvenivano:
- una confezione di Neurotin in capsule contenente tre blister integri; principio attivo
- una confezione di EN 2,0 in compresse contenente un blister integro; principio attivo
clordemetildiazepam;
- una confezione di Disipal in confetti contenente un blister integro; principio attivo
orfenadrina cloridrato;
- un flacone etichettato Haldol munito di contagocce, anch'esso integro; principio
attivo aloperidolo;
- un flacone di vetro ambrato munito di tappo a vite etichettato Talofen. All'apertura
non si rinviene il contagocce; il flacone contiene un liquido giallo chiaro, nella
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quantità di 12,5 ml per una confezione di capacità 30 ml. Il principio attivo è la
promazina al 4%.
Sono inoltre stati repertati una confezione di Armonia Fast Melatonina, integra, e un
flacone in vetro di estratto di algarroba contenente liquido oleoso molto denso.
Gli accertamenti effettuati sono stati due: uno sul materiale biologico prelevato nel
corso dell'indagine autoptica e uno sui reperti extracadaverici.
Il primo è stato eseguito allo scopo di identificare la presenza di sostanze esogene nei
liquidi di Nadalini Matteo, non solo relative ai reperti analizzati e alle terapie
somministrate ma anche finalizzato alla ricerca di xenobiotici rilevanti i fini
tossicologici. Si è quindi innanzitutto provveduto ad uno screening finalizzato alla
ricerca di etanolo, solventi volatili, cianuri o eventuali veleni organici quali
stupefacenti o farmaci psicotropi (amfetamine, barbiturici, benzodiazepine,
cannabinoidi, cocaina metabolita, metadone e oppiacei).
Di tali analisi ha avuto esito positivo solo la ricerca di benzodiazepine la quale ha
riscontrato una soglia di concentrazione di 425/200 limite di positività. Inoltre nelle
urine sono state rilevate le seguenti sostanze: gabapentin, caffeina, orfenadrina,
promazina, delorazepam, aloperidolo. Gli stessi composti chimici sono stati rilevati nel
sangue. LA ricerca di cianuro nel sangue e nel contenuto gastrico ha invece dato esito
Tutte queste sostanze sono principi attivi presenti nei medicinali di cui risulta agli atti
una prescrizione a nome di Nadalini. L'atropina e la lidocaina rinvenute nel sangue
sono molecole di comune impiego nelle manovre di rianimazione cardio-respiratoria.
Per poter dare indicazioni in merito alla verifica posologica di queste sostanze è
necessario prima fare una breve descrizione di tali principi attivi:
o Garapentin: farmaco ad azione anticonvulsionante, per il trattamento dell'epilessia
in pazienti adulti. La concentrazione rilevata nel corpo del ragazzo è
genericamente compatibile con la posologia prescritta, essendo ben al di sotto del
valore associato ad effetti tossici da overdose.
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o Aloperidolo: farmaco antipsicotico ad elevata attività antidopaminergica. E'
indicato nelle patologie di agitazione psicomotoria in caso di stati maniacali,
demenza, psicopatia, schizofrenia, disordini di personalità di tipo compulsivo,
deliri e allucinazioni, turbe comportamentali e caratteriali dell'infanzia. Anche qui
la quantità ritrovata nel sangue è compatibile con la terapia prescritta.
o Clordemetildiazepam: è un tranquillante benzodiazepinico indicato negli stati
d'ansia, sindromi psico-nevrotiche, nevrosi depressive, agitazione psicomotoria,
stati psicotici. Nel sangue di Matteo non era presente in forte concentrazione,
tuttavia si tratta di un farmaco che tra le reazioni avverse riporta sonnolenza,
astenia, stordimento, vertigini, stanchezza.
o Orfenadrina: dotato di effetti sia sedativi sia anticolinergici, utilizzato
principalmente nella cura della sindrome di Parkinson e per antagonizzare gli
effetti collaterali e la sindrome extrpiramidale da neurolettici Nel sangue di
Nadalini Matteo è stata rilevata una concentrazione pari a 845 ng/ml,
genericamente correlabile alla prescrizione posologica specifica.
o Promazina: derivato fenotiazinico ad attività neurolettica per il trattamento di
schizofrenie, stati paranoici e manie, psicosi tossiche da anfetamine, Lsd, cocaina;
sindromi mentali organiche accompagnate da delirio, disturbi d'ansia, nella
depressione in associazione ad antidepressivi. E' consigliata per il trattamento a
breve termine di comportamenti agitati o disturbati in dose di 100-200 mg del
cloridrato 4 volte al giorno. Per le indicazioni psichiatriche le dosi vanno da 300 a
600 mg al dì, nei bambini di età superiore ai 12 anni la dose usuale negli episodi
acuti di malattia psicotica va da 10 a 25 mg ogni 4-6 ore. Il farmaco può dare
reazioni avverse quali un'eccessiva sonnolenza.
Si tratta di un farmaco che si deposita estesamente nei tessuti, più dell'80% della
dose viene metabolizzata dal sistema epatico ed intestinale.
Tra i liquidi e i tessuti cadaverici quello meglio utilizzabile per valutare la gravità
di una intossicazione da promazina pare essere il livello epatico. Infatti le
concentrazioni misurate nel sangue dopo la morte possono non essere
rappresentative dei livelli massimi raggiunti in vita e può esserci una
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sovrapposizione tra i livelli epatici riscontrati durante terapie croniche e quelli in
casi di avvelenamento letale.
Il valore riscontrato nel tessuto epatico di Nadalini Matteo, nonostante ecceda il
limite superiore dei valori terapeutici, tuttavia appare compatibile con ambiti
posologici terapeutici e fa escludere l'ipotesi di iperdosaggio tossico.
Nonostante le analisi effettuate non è possibile dare indicazioni circa la dose
effettivamente somministrata al ragazzo, come non è possibile inquadrare con
precisione gli effetti che ne sono derivati sul fisico, anche in considerazione della
possibile interazione con altri medicinali ritrovati nel sangue.
E' infatti possibile che la promazina abbia prodotto un eccesso di sedazione sul
giovane, forte sonnolenza, ottundimento del sensorio e ipotensione.
Infine si è proceduto sui reperti non biologici intaccati e non integri ad effettuare
un'analisi di adeguatezza del contenuto a quanto riportato in etichetta. Il tutto si è
dimostrato corrispondente.
2.3.2. La relazione del consulente della difesa
Il Prof. Bertolini, Ordinario di Farmacologia presso l'Università di Modena e Reggio
Emilia, nonché Direttore della Struttura complessa di Tossicologia e Farmacologia
Clinica del Policlinico di Modena ha effettuato una disamina della consulenza tecnica
sopra riportata.
Egli ritiene innanzitutto che i metodi utilizzati dalla prof.ssa Montagna e dalla dott.ssa
Licata siano adeguati all'indagine che è stata loro affidata, così come i dati di
letteratura su cui basano le loro conclusioni.
Passa a poi a sostenere con certezza che questi stessi risultati portano ad affermare che
nel sangue e nei tessuti di Nadalini Matteo non ci sono concentrazioni tossiche di
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L'unico dato anomalo è la non corrispondenza tra la concentrazione di promazina
trovata nel sangue femorale e quella teoricamente attesa in base alle ricette prescritte
dalla psichiatra che aveva in cura Matteo.
La concentrazione di tale principio è infatti stata misurata in 415 o 464 (a seconda
della tecnica usata per il dosaggio) nanogrammi per millilitro, quando la
concentrazione ematica è considerata tossica dal momento in cui supera i 1000
nanogrammi per millilitro. Le stesse consulenti avevano inoltre sottolineato come le
concentrazioni di promazina siano estremamente variabili da un soggetto all'altro,
potendo raggiungere una variabilità di 5-10 volte di concentrazione del farmaco in
soggetti trattati con la stessa dose giornaliera.
Per questo motivo è consigliabile utilizzare le concentrazioni epatiche, come già hanno
fatto le consulenti d'ufficio. Il risultato dell'analisi di queste concentrazioni porta però
al risultato di 2.475 nanogrammi per grammo di tessuto, quando il limite di tossicità è
fissato a 10.000 nanogrammi per grammi di tessuto.
Infine il prof. Bertolini precisa che gli effetti riscontrati in Matteo nel maggio dello
stesso anno, quando era stato ricoverato per intossicazione acuta da ingestione
impulsiva di promazina e acido valproico, fossero tutt'altro che di sedazione, bensì di
forte agitazione psicomotoria. Uno degli effetti collaterali della promazina è infatti la
cosiddetta acatisia, la necessità incoercibile di mantenersi in continuo movimento, che
forse all'epoca era stato confusa con uno stato di agitazione.
Inoltre l'occasionale sonnolenza che può essere causata dalla promazina è un effetto
che si registra nei primi periodi di assunzione del farmaco, mentre Matteo la assumeva
già da mesi quindi doveva aver già instaurato una tolleranza al principio.
2.4 Gli accertamenti psicologici
Nonostante l'irrilevanza in sede penale delle perizie psicologiche ai sensi dell'art. 220
c. 2 c.p.p. la difesa ha ritenuto di rivolgersi al Prof. Ferracuti del Dipartimento di
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Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica dell'Università La Sapienza di Roma per
un esame della sig.ra Mantovani per valutare la sua condizione psicologica in reazione
alla supposta criminogenetica dei fatti per i quali è indagata.
Tale consulenza si è svolta mediante colloquio libero, tematico e a contestazione e
tramite somministrazione di reattivi mentali. La signora si è presentata ai colloqui
sempre ben curata nell'aspetto, con una mimica vivace, un umore in asse con presenza
di elementi di ostilità ipercontrollata e di grande frustrazione per la sua condizione e
per la mancanza di giustizia nei confronti del figlio.
Nel raccontare i fatti salienti della sua vita viene subito in evidenza la figura del figlio
Matteo, che fin dalla nascita ha portato grandi cambiamenti nella vita della donna,
prima per il grande impegno che comportava la sua gestione, in questo non molto
aiutata dal marito, poi per i problemi di saluta manifestati già intorno ai tre anni.
Nonostante ciò parla sempre del figlio in modo affettuoso e attento, con grande
partecipazione emotiva.
Fa presente che la loro famiglia aveva sempre viaggiato molto, anche dopo la nascita
di Matteo. Purtroppo i suoi problemi di salute comportarono l'allontanamento di molti
amici, sebbene la loro vita quotidiana non si fosse modificata radicalmente.
La signora ricorda che il marito, dopo una prima fase di disinteressamento in merito
alle condizioni di Matteo e di estraniazione e chiusura in sé stesso, intorno al 2000
aveva cambiato atteggiamento diventando collaborativo e presente. Questo suo essere
più attivo e più vicino alla famiglia aveva portato molto giovamento, attenuando anche
la sensazione di rabbia provata dalla madre per il triste destino del figlio.
In merito alle relazioni extraconiugali intrattenute dalla signora ella dichiara che la più
importante e coinvolgente si era conclusa nel 2000, mentre quella che intratteneva con
il suo datore di lavoro era ancora in essere al momento dell'arresto. Tuttavia questa
seconda relazione era per lo più caratterizzata da sentimenti di oppressione per via
della continua minaccia di licenziamento che l'uomo le prospettava.
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In ogni caso questi episodi non vengono negati dalla donna e si iscrivono nel disegno
di grande solitudine che avvertiva rispetto al coniuge, e che comunque non l'hanno
mai spinta ad allontanarsi dalla famiglia.
In merito all'ipotesi di portare avanti un'altra gravidanza entrambi i genitori
sostengono di non aver mai pensato a tale evenienza, soprattutto dopo aver scoperto i
problemi di Matteo ed esserne stati assorbiti quasi totalmente.
Al momento del colloquio la loro vita di coppia è in un certo senso felice, la doppia
disgrazia della morte del figlio e dell'arresto della sig.ra Mantovani li ha uniti molto.
Dopo l'arresto hanno venduto la casa di residenza in cui si è consumato il delitto e si
sono trasferiti a Feltre (BL) presso dei parenti della signora. Ella ha avuto anche un
episodio depressivo, nel periodo in cui si trovava agli arresti domiciliari a Poggio
Rusco (MN) con un tentativo di suicidio, in seguito al quale è stata costantemente
seguita da uno psicoterapeuta.
Nonostante ciò la donna ammette di non aver ancora completamente elaborato il lutto
per la perdita del figlio, aspettandosi da un momento all'altro di vederlo tornare.
A seguito del colloquio viene somministrato alla sig.ra Mantovani il test di Rorschach.
L'esito dimostra un adeguato contatto con la realtà, un pensiero logico e coerente
senza segni di disturbi depressivi in atto. L' organizzazione cognitiva tende a produrre
comportamenti basati su strategie di "prova ed errore", agendo a seguito di
stimolazioni affettive rilevanti, con scarsa capacità di programmare o progettare
comportamenti in base a scelte basate sulla riflessione.
L'interesse per le persone e i rapporti sociali è conservato, si evidenziano sentimenti di
fragilità e insicurezza interiori.
In conclusione il quadro psicologico e relazionale della sig.ra Mantovani fa pensare
che, dopo un periodo iniziale di profondo sconforto dovuto alla scoperta dell'handicap
del figlio, ella aveva avuto un significativo miglioramento nell'anno 2000 grazie alla
maggior presenza in famiglia del marito Roberto.
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Entrambi i genitori non sembrano aver mai assunto un atteggiamento di rifiuto o di
emarginazione nei confronti del figlio, anzi si sono sempre prodigati per fornirgli tutte
le cure necessarie e per farlo sentire parte fondamentale e imprescindibile della
famiglia, fino a risultare in certe situazioni iperprotettivi, forse per paura che
dall'esterno potessero verificarsi casi discriminatori o di maltrattamento nei confronti
Sotto il profilo criminogenetico il consulente della difesa trova difficile reperire il
movente psicologico che possa aver spinto la sig.ra Mantovani all'omicidio del figlio e
ciò per diversi motivi:
- la signora ha una struttura di personalità che predilige notevolmente l'azione
immediata e impulsiva rispetto ad una condotta programmata e anticipata.
Persone con questo tipo di organizzazione personologica e con uno stile
cognitivo così estroversivo sono capaci di comportamenti violenti e aggressivi
ma sempre sull'onda dell'emozione immediata. Inoltre la signora non mostra di
avere elementi psicopatologici di rilievo, né di tipo psicopatico né di carattere
- dal punto di vista relazionale, sebbene la malattia del figlio avesse messo a dura
prova la signora, la coppia si era riunita e aveva recuperato il senso di coesione
familiare. In una fase positiva come quella che stava attraversando la famiglia
Nadalini pare illogico che di possa sviluppare un piano criminoso di tale
- dal punto di vista sociale ed economico la coppia era certamente dotata di
discrete risorse e ciò fa pensare che non avessero motivo di preoccuparsi della
sorte del figlio o che sviluppassero sentimenti di disperazione tale da portare ad
Per questa serie di motivi il prof. Ferracuti non rinviene elementi rilevanti ai fini di
criminogenesi del reato nella figura della sig.ra Mantovani o del marito, per quanto
abbia avuto modo di analizzarlo.
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Fig. 6 – LA STAMPA 18/10/2001
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CAPITOLO 3
IL PROCESSO
3.1 Le indagini preliminari
La notizia di reato porta all'apertura di un procedimento contro ignoti per i reati di
omicidio e rapina; parti offese Mantovani Paola e Nadalini Roberto. Le indagini
preliminari si svolgono in questa prima fase nei confronti di ignoti, le consulenze
tecniche vengono disposte per analizzare i reperti ritrovati sul luogo del delitto nonché
le conseguenze lesive del fatto anche sulla stessa Paola Mantovani.
Vengono sentite in quei giorni dai Carabinieri di Soliera, delegati dal P.M., diverse
persone informate sui fatti: i vicini di casa, alcune insegnanti della scuola elementare
di Matteo, le due nonne.
I genitori vengono ascoltati più volte come parti offese.
Il 15 ottobre 2001, a distanza di un mese dal fatto, nelle ore serali, Paola Mantovani
viene convocata presso la stazione dei Carabinieri di Modena per "esaminare delle
fotografie".
Sempre in qualità di parte offesa, alla presenza del PM dr. Casari, le vengono rivolte
domande sui comportamenti da lei tenuti la sera del 12 settembre dopo la scoperta
dell'omicidio del figlio. In particolare se si era avvicinata al corpo del ragazzo, se si
era cambiata d'abito e altre.
All'esito delle risposte da lei fornite il PM decide di modificare la sua posizione da
parte offesa ad indagata e convoca il suo difensore. Vengono informate delle risultanze
della relazione tecnica preliminare pervenuta da parte dei Ris e del medico legale prof.
De Fazio, le quali inducono il PM a modificare la posizione della sig.ra Mantovani da
parte offesa ad indagata.
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Intorno alle ore 23-24 le vengono contestati i seguenti reati:
a. delitto di cui all'art. 575 c.p. avendo volontariamente cagionato la morte di
Nadalini Matteo; con le aggravanti di cui all'art. 576, c. 1° n. 2, 61 n. 4 c.p.
avendo agito contro il discendente (figlio), con premeditazione, con crudeltà e
avvalendosi di mezzo insidioso (sovradosaggio di farmaco ipnotico o sedativo a
base di promazina);
b. reato di cui all'art. 367 c.p. avendo, con denuncia in data 12 settembre 2001 al
N.O. Comando provinciale Carabinieri, Autorità tenuta a riferire a quella
giudiziaria, falsamente affermato di essere avvenuto il, e simulato le tracce del,
reato di rapina, in modo da rendere possibile l'inizio di un procedimento penale
al fine di accertarlo.
Mantovani Paola viene tratta in arresto.
In quella circostanza viene sentito anche il marito Nadalini Roberto.
Il 17 ottobre 2001, nei termini di legge, il G.I.P. convalida l'arresto con contestuale
concessione degli arresti domiciliari presso parenti in Poggio Rusco (MN), con divieto
di frequentare o sentire il marito o altri membri della famiglia.
Fig. 7 CORRIERE DELLA SERA 18/10/2001
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Fig. 8 GAZZETTA DI MODENA 20/10/2001
Vengono messi a disposizione della difesa gli atti di indagine fino ad allora svolti. Si
i due coniugi erano stati intercettati la notte stessa dell'omicidio presso la
caserma dei Carabinieri di Soliera;
nel corso del sopralluogo effettuato il 13 settembre i Carabinieri del RIS
avevano collocato nell'abitazione diversi strumenti di intercettazione
dal 13 settembre e fino al 15 ottobre era stato intercettato il telefono cellulare
della sig.ra Mantovani;
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già la sera del 12 settembre erano stati furtivamente prelevati a Paola
Mantovani e Nadalini Roberto mozziconi di sigaretta senza informarli né del
prelievo né delle sue ragioni.
La difesa estrae copia dei verbali degli interrogatori fino a quel punto svolti e ottiene
copia dei brogliacci delle intercettazioni, sia telefoniche che ambientali.
Si attiva quindi, ai sensi dell'art. 391 bis e seguenti c.p.p., per le proprie indagini
difensive:
raccolta di dichiarazioni testimoniali delle persone informate sui fatti: il marito
Nadalini Roberto, le nonne, i vicini di casa, le insegnanti di Matteo, la dott.ssa
Azzurra Guerra (Neuropsichiatra infantile), la dott.ssa Giovanna Ianiri (psichiatra e
responsabile reparto di Psichiatria Policlinico di Modena), il dott. Roberto Salati
(neuropsichiatra infantile), il dott. Enrico Zanoli (medico di base della famiglia), e
conferimento di incarico al prof. Pierluigi Baima Bollone ai fini dello svolgimento
di una perizia biologico-dattiloscopica; verrà successivamente nominata anche la
prof.ssa Giovannucci Uzielli specialista in Dna presso il Centro di Genetica e
Medicina Molecolare del Dipartimento Pediatria dell'Università di Firenze);
indagini sulla situazione dei luoghi al momento del fatto;
indagini sulla presenza di fatti che potessero giustificare ipotesi alternative, quali ad
esempio lo scambio di vittime da parte dei rapinatori;
incarico per l'accertamento dei tempi di percorrenza in autovettura dalla casa di
Limidi alla gelateria VerdeMelo in cui si è recato il sig. Nadalini la sera del fatto.
In seguito ad un episodio di tentato suicidio gli arresti domiciliari di Paola Mantovani
presso i parenti di Poggio Rusco vengono modificati: Paola Mantovani si trasferisce a
Limidi di Soliera, presso l'abitazione della suocera, dove sarà occasionalmente
autorizzata a vedere il marito alla presenza di persona di fiducia del Giudice, il Parroco
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Nel corso dell'anno 2002 vengono acquisite al procedimento alcune intercettazioni
telefoniche e ambientali su indicazioni del P.M. e della difesa, previa udienza innanzi
al GIP per la loro selezione e l'affidamento di incarico a perito per la trascrizione.
L'incarico si estende all'analisi di alcune intercettazioni ambientali nelle quali
comparivano frasi pronunciate dalla nonna materna di dubbio contenuto.
Il 12 luglio 2002 vengono revocati gli arresti domiciliari: dopo nove mesi Paola
Mantovani ritorna libera.
Il giorno 25.9.2002 viene notificato l'avviso ex art. 415 bis di chiusura delle
indagini preliminari, che rende accessibile alla difesa tutto il materiale investigativo.
Con istanza del 3 ottobre 2002 la difesa chiede disporsi incidente probatorio con
conferimento di incarico per la verifica delle risultanze degli esami sul Dna in quanto i
consulenti di parte ritengono che sugli oggetti repertati siano presenti tracce di altre
persone oltre a quelle di Mantovani Paola e Nadalini Matteo.
In quella sede viene preliminarmente introdotta dalla difesa la questione della
inutilizzabilità della relazione tecnica dei Ris sui reperti e delle altre acquisizioni
probatorie per essere state svolte in violazione del diritto di difesa in quanto al
momento delle operazioni di indagine e peritali la signora era qualificata parte offesa e
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Fig. 9 IL RESTO DEL CARLINO 09/11/2002
Viene contestato quindi il ritardo nell'iscrizione della signora nel registro degli
indagati e la conseguente inutilizzabilità dei mezzi di prova raccolti, tra cui anche le
stesse intercettazioni.
Il 22.11.2002 il GIP, in sede di incidente probatorio, dispone perizia intesa a rilevare e
ad individuare, previa comparazione con quelli estrapolati dai soggetti che avevano
preso parte alle operazioni di soccorso, dei profili genetici individuali o misti presenti
sui reperti rinvenuti sul teatro del fatto, nonché a verificare se gli accertamenti condotti
dal R.I.S. contenessero già adeguata risposta ai quesiti, salvo in caso contrario colmare
eventuali lacune. Contestualmente viene disposta nuova perizia volta alla
comparazione delle impronte eventualmente prelevate sul vaso di cristallo rinvenuto
sul bordo della piscina.
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Il 9 aprile e 26 maggio 2003 vengono sentiti i periti designati dal GIP (prof. Adriano
Tagliabracci e dott.ssa Susi Pelotti per il primo profilo, Pietro Filippini e Vincenzo
Renzo per il secondo). Vengono altresì sentiti i periti del collegio di difesa, che
producono proprie memorie.
In esito alle indagini preliminari il P.M. chiede il rinvio a giudizio di Paola Mantovani
per i reati già descritti.
3.2 L'udienza preliminare
All'udienza preliminare la difesa eccepisce in via preliminare:
a) la nullità dell'accertamento tecnico irripetibile disposto dal P.M. in data 12.9.2001
in quanto assunto in violazione degli artt. 360 e 369bis c.p.p. e segnatamente del
diritto di difesa;
b) la inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali in quanto autorizzate ed eseguite
fuori dei casi previsti dall'art. 266 c. 2 c.p.p. e in ogni caso per difetto di motivazione;
in via subordinata;
c) chiede di valutare rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale degli artt. 335, 405 e 407 c.p.p. per violazione degli artt. 3,
24, 27, 76, 111, 112 Cost. "nella parte in cui non prevedono con sufficiente
determinazione il termine entro il quale il P.M. è tenuto ad effettuare la iscrizione
nominativa al cui carattere ricognitivo si deve riconnettere la invalidità e/o la
inutilizzabilità degli atti compiuti in violazione del diritto del contraddittorio e più in
generale di difesa".
La difesa chiede inoltre di essere ammessa al giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 556
e seguenti c.p.p.
Interviene all'udienza preliminare in qualità di parte offesa la sig.ra Zanta Graziana,
nonna paterna di Nadalini Matteo, assistita da un proprio legale. Non si costituirà parte
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Il GUP, ritenuta rilevante e non infondata la questione di legittimità costituzionale, con
ordinanza del 12/01/2004, rinvia gli atti alla Corte Costituzionale.
Fig. 10 IL RESTO DEL CARLINO 13/11/2004
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3.3 Il giudizio presso la Corte Costituzionale
Il quesito sottoposto alla Corte è inerente la illegittimità costituzionale degli art. 335 c.
1 (Il Pubblico Ministero iscrive immediatamente nell'apposito registro custodito
presso l'ufficio, ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria
iniziativa nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, nome della persona
alla quale il reato stesso è stato attribuito) e 407 c. 3 c.p.p. (Sui termini massimi delle
indagini preliminari – […] qualora il PM non abbia esercitato l'azione penale o
richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal Giudice, gli
atti di indagine compiuti dopo la scadenza di tale termine non possono essere
utilizzati) per contrasto con gli artt. 3 c. 1, 24 e 111 Costituzione nella parte in cui non
prevedono l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti nei confronti dell'imputato
in epoca anteriore alla sua iscrizione nel registro degli indagati e successiva al
momento in cui ha comunque assunto la qualità di persona nei cui confronti sono
svolte le indagini.
Secondo il G.U.P. remittente infatti già alle ore 2.25 del 13 settembre 2001 il P.M.
aveva emesso in via d'urgenza un decreto di intercettazione delle conversazioni tra
presenti nei locali del Comando Stazione CC di Soliera: tale atto recava già in sé
l'indicazione circa la direzione che avrebbero preso le indagini, pur manifestandosi
ancora generico in quanto inteso a raccogliere informazioni di massima sul fatto di
reato e non a indicare una precisa opzione investigativa.
Ci fu però un secondo episodio, avvenuto intorno alle ore 5.00 dello stesso 13
settembre, consistito nell'acquisizione informale e all'insaputa dei soggetti interessati,
di due mozziconi di sigarette fumate dall'indagata e dal marito negli uffici del
comando stesso. In questo secondo caso è evidente come l'acquisizione di tali reperti
specificasse senza ombra di dubbio la direzione soggettiva intrapresa dalle
investigazioni, ipotizzando un diretto coinvolgimento della sig.ra Mantovani nel fatto
oggetto di indagini.
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Il dubbio di legittimità costituzionale viene risolto dalla Corte con ordinanza N.
307/2005 dichiarativa della manifesta infondatezza della questione.
In sede interpretativa la Corte enuncia che "se . l'iscrizione nel registro ha una
valenza meramente ricognitiva e non costitutiva dello status di persona sottoposta alle
indagini è di tutta evidenza come le garanzie difensive che la legge accorda a
quest'ultima, in relazione ai singoli atti compiuti, debbano ritenersi operanti anche in
assenza dell'iscrizione. Con la conseguenza che il tardivo espletamento di tale
formalità non può essere considerato fonte di pregiudizio del diritto di difesa".
Ritiene quindi che lo scarto temporale tra la concretizzazione della direzione
soggettiva delle indagini e la formale ricognizione del dato processuale non privi
l'organo di accusa del potere di investigare, escludendo quindi che per questo il ritardo
nell'iscrizione renda inutilizzabili gli atti di indagine. Qualora tuttavia gli atti di
indagine implichino per definizione il riconoscimento di determinate garanzie o di
facoltà processuali l'interpretazione costituzionalmente orientata della norma impone
di trarre le dovute conseguenze dal mancato esercizio della attività defensionali.
3.4 Il giudizio di merito e la sentenza di primo grado
Riassunto il procedimento innanzi al GUP questi, in applicazione dei principi dettati
dalla Corte Costituzionale, dichiara la nullità e quindi la inutilizzabilità per violazione
del diritto di difesa delle perizie svolte su incarico del PM nella fase delle indagini
preliminari nonché in sede di incidente probatorio.
Il GUP ritiene che l'omesso avviso alla Mantovani, in veste di indagata, del
conferimento dell'incarico da parte del PM a suoi consulenti per accertamenti
irripetibili integra violazione del diritto all'assistenza dell'indagata che si riflette in
una nullità a regime intermedio, tempestivamente eccepita dalla difesa e da dichiarare.
Ciò provoca anche l'inutilizzabilità dell'accertamento svolto in sede di incidente
probatorio e richiesto dalla difesa, in quanto relativo ai contestati e dichiarati nulli
accertamenti dei Carabinieri del RIS.
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Ritiene però il GUP di procedere ad ulteriore perizia volta alla ricerca di tracce
biologiche su tutte e non solo su alcune delle superfici dei reperti.
All'udienza 25.9.2006 vengono sentiti i periti nominati prof. Pascali e dott.ssa Boschi.
La sig.ra Mantovani ottiene di essere giudicata con rito abbreviato.
La non decisività degli elementi desunti dagli accertamenti tecnici, insieme all'azione
ritenuta determinante di un terzo soggetto che avrebbe dovuto legare la sig.ra
Mantovani e colpirla con il vaso, portano all'assoluzione, a sensi dell'art. 530 c. 2 ("Il
giudice pronuncia la sentenza di assoluzione anche quando manca, o è insufficiente o
è contraddittoria, la prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il
fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile").
All'udienza 19.10.2006 il GUP legge il dispositivo:
"Visti gli artt. 442, 530 c.p. assolve Mantovani Paola dal reato ascrittole al capo a)
per non aver commesso il fatto, e da quello ascritto al capo b) perché il fatto non
sussiste".
3.5 Il giudizio di appello
Avverso la sentenza del GUP propongono ricorso in Cassazione, poi convertito dalla
Suprema Corte in appello, sia il P.M. presso il Tribunale di Modena che il P.G. presso
la Corte d'Appello.
Il PM sostiene che la sentenza della Corte Costituzionale sia stata erroneamente
interpretata dal GUP in quanto, pur nella sua natura interpretativa, l'ordinanza del
Giudice delle leggi rimaneva pur sempre una dichiarazione di manifesta infondatezza
della questione di legittimità sollevata.
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Allo stesso tempo sottolinea come non ci fossero, al momento del fatto, reali e concreti
indizi a carico di Paola Mantovani e che la sua versione di fatti non era poi di così
rapida esclusione. Gli accertamenti tecnici richiesti e portati avanti in quel momento
sono considerati dal PM indispensabili e necessari per dare una direzione alle indagini
e immagazzinare più dati possibili prima che le tracce o gli indizi potessero perdersi.
Ritiene infine il PM che solo i risultati della consulenza dei Carabinieri del RIS, che
rilevarono tracce biologiche di Paola Mantovani sugli oggetti repertati in casa e in
particolare sul nastro ritrovato sulla vittima, oltre alle tracce biologiche di Nadalini
Matteo sul guanto ritrovato ai bordi della piscina, e la perizia tecnica svolta in
incidente probatorio furono il punto di inizio dal quale diventava obbligatoria
l'iscrizione della donna nel registro degli indagati.
Il P.G. ribadisce la tesi lamentando la non correttezza della dichiarazione da parte del
GUP della nullità degli accertamenti tecnici irripetibili del RIS di Parma in quanto solo
al momento della conclusione di tali indagini si sono avuti quegli indizi certi per poter
procedere all'iscrizione nel registro degli indagati di Paola Mantovani.
Il ricorso viene accolto dalla Corte e con esso la censura, proposta dagli appellanti, alla
dichiarazione di inutilizzabilità degli accertamenti del RIS e dell'incidente probatorio,
condividendosi l'assunto che nel caso di specie non possono considerarsi violati i
diritti di difesa della sig.ra Mantovani in relazione agli specifici atti compiuti
La Corte rigetta inoltre la richiesta subordinata della difesa di annullare il giudizio
abbreviato e restituire gli atti a nuovo GUP al fine di rivalutare la decisione se
ammettere o meno il giudizio abbreviato.
La Corte d'Assise d'Appello ribalta quindi le valutazioni del GUP.
Ritiene infatti che è errato il presupposto fattuale che sta alla base della questione di
diritto, in quanto al momento del conferimento dell'incarico al RIS e all'inizio delle
indagini, benchè la rapina sembrasse già anomala e fossero state rilevate incongruenze,
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non esistevano indizi ed elementi sufficienti per considerare la sig.ra Mantovani come
coinvolta o responsabile del fatto delittuoso, e quindi per iscriverla a norma di legge
nel registro degli indagati. Se in quel momento non vi erano le condizioni di legge per
detta iscrizione non può quindi sostenersi che già da allora la signora aveva assunto la
qualità di indagata e che la successiva iscrizione è stata tardiva, tanto da travolgere la
validità degli atti di indagine svolti.
Il criterio identificativo dell'assunzione della qualità di indagato più rispettoso del
tessuto normativo come dell'intenzione del legislatore è quindi (secondo la Corte
d'Assise d'Appello) quello della esistenza di atti di investigazione posti in essere a
carico di un determinato soggetto, ancorchè diretti a validare ciò che appare allo stato
una mera ipotesi investigativa quanto alla possibile riferibilità ad un determinato
individuo del fatto costituente oggetto della notizia di reato.
Superata la questione di diritto la Corte d'Assise d'Appello passa alle questioni di
merito e ritiene errata la decisione del GUP che ha ritenuto insufficienti gli elementi
per poter affermare la responsabilità dell'imputata. Anzi la Corte ritiene gli indizi
univoci nel dimostrare la colpevolezza di Paola Mantovani.
In particolare la scena del delitto e tutti gli strumenti utilizzati per portare a termine
l'ipotetica rapina sono di dotazione dell'abitazione della famiglia Nadalini, nulla è
stato portato dall'esterno. Inoltre i vicini testimoniano di non aver udito nè dall'interno
della casa né dall'esterno nessun rumore che facesse presagire il dramma che si stava
consumando, e allo stesso modo nulla hanno visto seppur il giardino fosse ben visibile
dalle case circostanti.
Lo stesso comportamento di Paola Mantovani, che viene legata, imbavagliata e gettata
in piscina senza proferire nessun urlo, senza reagire con veemenza nonostante dovesse
essersi ormai resa conto che la rapina poteva trasformarsi in omicidio, lascia
immaginare che qualcosa di strano e anomalo doveva essere accaduto. Paola
Mantovani doveva infatti essere la prima a conoscere bene le case circostanti e a
sapere a quali finestre rivolgersi per avere aiuto, aiuto che pare non abbia chiesto
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perchè solo al momento dell'arrivo del marito i vicini hanno sentito dei rumori
provenire dal giardino.
Inoltre nessuno ha udito il tuffo in piscina e pare altresì strano che la donna si sia
trascinata fino alla parte meno profonda della piscina senza riuscire poi a fare
l'ulteriore sforzo di uscirne. Nel momento stesso in cui ritrova il figlio ormai deceduto
provvede a cambiarsi d'abito, nonostante il dramma appena scoperto. Su quest'ultimo
punto la difesa obietta che, come emerge da diverse dichiarazioni testimoniali, il
cambio d'abito fu sollecitato e praticamente effettuato dalle vicine di casa, e che del
resto i RIS ben avrebbero potuto repertare l'abito.
Non bisogna poi dimenticare come sia apparso subito strano il comportamento dei
rapinatori che sdegnano la refurtiva, si concentrano su una esigua quantità di denaro e
su una catenina con diamante di poco valore, abbandonano tale profitto seppur non
indotti da nessuna emergenza e indugiano invece in una serie di operazioni
macchinose per soffocare il ragazzo, che tra l'altro dormiva e non poteva essere di
alcun disturbo. Non solo, perdono altro tempo a legare e tentare di sopprimere la sig.ra
Mantovani, che aveva già offerto loro tutto quanto in suo possesso e non sarebbe
certamente stata in grado di riconoscerli, visti i passamontagna che calzavano.
Tutti questi elementi, uniti alle risultanze degli accertamenti dei Carabinieri del RIS e
dell'incidente probatorio che li ha confermati, fanno assumere agli indizi le
caratteristiche di gravità, univocità e concordanza circa la responsabilità di Paola
Mantovani come artefice, sola o con la complicità di un terzo soggetto rimasto
nell'ombra, dell'omicidio del figlio e poi del delitto di simulazione di reato.
La Corte quindi ritiene univocamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, che
l'imputata sia responsabile dei fatti criminosi ascrittile, omicidio e simulazione di reato
in continuazione con lo stesso perchè frutto del medesimo disegno criminoso.
L'omicidio è poi aggravato dall'aver agito contro un discendente e con
premeditazione. Non riconosce l'aggravante di utilizzo di mezzo insidioso in quanto è
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stato provato che l'eventuale sovradosaggio di promazina alla vittima ha provocato un
sonno più profondo ma non è stato causa di morte. La stessa sedazione ha avuto la
finalità sia di evitare una resistenza da parte della vittima all'azione omicida, sia di
evitare al figlio stesso una presa di coscienza e quindi una ulteriore sofferenza nel
momento del trapasso, decisione che la allevia dall'aggravante della crudeltà.
Si accordano all'imputata le attenuanti generiche derivanti dall'incensuratezza e dalla
situazione di stress che certamente la convivenza con un figlio affetto da grave
patologia mentale deve aver procurato, con giudizio di equivalenza con le aggravanti
La Corte D'Assise di Appello di Bologna, seconda sezione, in data 10.4.2008, così
Visti gli artt. 605, 592 c.p.p.,
in riforma della sentenza del Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di
Modena in data 19.10.2006 appellata dal P.M. e dal P.G.
dichiara Mantovani Paola responsabile dei reati ascrittile unificati per
continuazione, e, escluse le aggravanti della crudeltà e del mezzo insidioso in
relazione al reato sub A), e riconosciute attenuanti generiche equivalenti alle residue
aggravanti contestate,
la condanna, con la diminuente per il rito, alla pena di anni quindici di
reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi del
giudizio,
dichiara Mantovani Paola interdetta in perpetuo dai pubblici uffici e
legalmente interdetta per la durata della pena.
Ordina la restituzione all'imputata delle somme di denaro in valuta italiana ed
estera e della catenina con diamante in sequestro, e la confisca e distruzione di
quant'altro in sequestro.
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3.6 Il giudizio in Cassazione
Con ponderoso ricorso del 26.5.2007 la difesa di Paola Mantovani chiede
l'annullamento della sentenza Corte d'Assise d'Appello articolando la sua
illustrazione in dodici motivi di lagnanza, così riassumibili:
ai sensi dell'art. 606, c. 1, lett. b), c.p.p., inosservanza o erronea applicazione
della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella
applicazione della legge penale, in relazione all'art. 367 del c.p. (10' motivo) e
all'art. 577, c. 1, n. 3 c.p. (11' motivo);
ai sensi dell'art. 606, c. 1, lett. c) c.p.p., inosservanza di norme processuali
stabilite a pena di nullità, in relazione all'art. 360 (1' motivo) e in relazione
agli artt. 521 e 522 c.p.p. (7' motivo);
ai sensi dell'art. 606, c. 1, lett. e) c.p.p. mancanza, contradditorietà o manifesta
illogicità della motivazione (2', 3', 4', 5', 6', 8', 9', 10', 11' e 12' motivo).
Nel ribadire la richiesta di declaratoria di invalidità e quindi di inutilizzabilità degli atti
investigativi risalenti alla fase delle indagini preliminari la difesa osserva come emerga
con estrema chiarezza che gli atti investigativi posti in essere nei primi giorni
successivi all'omicidio dimostrano una strategia degli inquirenti polarizzata intorno
alla figura della sig.ra Mantovani e, in ogni caso, all'origine endofamiliare della
vicenda criminosa.
Se infatti gli inquirenti avessero ritenuto i genitori persone offese non avrebbero
utilizzato strumenti investigativi c.d. a sorpresa, quali le intercettazione ambientali e la
repertazione furtiva di mozziconi di sigaretta, essendo noto che la persona offesa dal
reato opera al fianco del PM perseguendo obiettivi comuni.
Se ciò non bastasse a dimostrare la direzione assunta dalle indagini fin dal primo
momento è sufficiente leggere le motivazioni addotte dagli inquirenti a sostegno delle
richieste di intercettazioni telefoniche e di verifica dei tabulati dei cellulari per rendersi
conto del contrario. Il Cap. Luconi dichiara infatti che a seguito del primo sopralluogo
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erano subito apparse evidenti una serie di incongruenze nella ricostruzione del fatto,
tali da fare immaginare un coinvolgimento dei genitori o di uno di loro all'insaputa
La difesa prosegue esponendo come all'atto del conferimento dell'incarico di
consulenza agli Ufficiali del RIS gli unici campioni biologici di comparazione
repertati appartenevano a Paola Mantovani e a Roberto Nadalini. Il quesito ai RIS,
osserva, viene integrato in un secondo momento, in assenza della odierna imputata
sig.ra Mantovani, informata solo in qualità di parte offesa, come segue: "acquisiscano
e determinino i consulenti tecnici le caratteristiche genetiche del materiale biologico
eventualmente presente sugli oggetti sottoposti a sequestro e procedano alle eventuali
comparazioni di esclusione con i campioni biologici di confronto delle persone
costituenti in nucleo familiare che ha subito il fatto-reato". L'integrazione è da
interpretarsi quale tentativo di riparare alle incongruenze del quesito formulato in
prima istanza, che troppo scopertamente individuava nella madre l'effettiva indagata.
Questo non fa che dimostrare come fin dal primo momento ci sia trovati di fronte a un
doppio processo: uno apparente, che vedeva Paola Mantovani assumere la qualità di
persona offesa, nell'ambito del quale la signora è stata sentita più volte dagli inquirenti
senza tutela difensiva e si è spontaneamente sottoposta a tutte le ispezioni e gli
accertamenti proposti, ed uno autentico nell'ambito della quale lei era la unica e reale
E' quindi da censurare, a parere della difesa, come nullo l'accertamento tecnico
irripetibile avente ad oggetto la comparazione del materiale genetico disposto dal PM,
in quanto Paola Mantovani vi partecipò quale parte offesa e non come persona
sottoposta alle indagini: l'omesso avviso del conferimento dell'incarico e della facoltà
di nominare un consulente tecnico integra la violazione del diritto all'assistenza e
quindi la violazione del diritto di difesa, come correttamente deciso dal G.U.P.
Tribunale di Modena.
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Non bisogna inoltre dimenticare che quegli stessi indizi che per il PM, nel giustificare
il suo operato, dichiara non idonei e sufficienti per procedere all'iscrizione della sig.ra
Mantovani nel registro degli indagati diventano poi le fondamenta di fatto sulle quali
si basa la sentenza di colpevolezza pronunciata dal Giudice dell'appello. Tali elementi
erano presenti fin dalle prime ore seguenti la vicenda criminosa, e si concretano
principalmente nelle incongruenze del racconto di Paola Mantovani.
La Suprema Corte, Sez. Prima Penale, accoglie in pieno le tesi difensive.
Afferma che … non può seriamente contestarsi che la ricorrente, già prima del
21.9.2001 (data in cui fu disposto l'accertamento irripetibile), fosse persona
sottoposta ad indagine e, pertanto, ai fini delle garanzie e dei diritti di difesa, con
specifico riguardo alle previsioni dell'art. 360 c.p.p., rivestisse la qualità di indagata.
Dall'assunto la Corte fa discendere la nullità, ex art. 178, c. 1, lett, c), c.p.p.
dell'accertamento irripetibile nonché della perizia svolta in sede di incidente
probatorio, come esattamente ritenuto dal Giudice di prime cure.
La dichiarata nullità si ripercuote irrimediabilmente sull'intero impianto argomentativo
della sentenza di appello.
Ed infatti se fosse vero, come afferma la Corte d'Assise di Appello, che all'atto del
conferimento dell'incarico di accertamento non sussistevano a carico della Mantovani
concreti indizi di reità, non si comprende come, sempre a parere della medesima
Corte, quegli stessi elementi indiziari vengano poi ritenuti fondamento della
dichiarazione di colpevolezza.
Conclude la Suprema Corte che … nelle antinomiche proposizioni che i medesimi
a) offrano la dimostrazione della colpevolezza dell'imputata;
b) non integrino a carico di costei concreti indizi di reità
risiede la inguaribile contraddizione … che travolge l'impianto argomentativo della
sentenza impugnata.
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Con decisione 11.11.2008 la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata e rinvia
per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Bologna.
La prima udienza del nuovo giudizio di appello è fissata per il prossimo 21 maggio
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CAPITOLO 4
L'AUTISMO
L'autismo, correttamente detto Disturbo dello spettro dell'autismo in base al DSM
IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders- Fourth Edition - F 84.0
DISTURBO AUTISTICO [299.00] (214) -I gruppi di criteri e gli algoritmi diagnostici
del DSM-IV e dell'ICD-10 sono all'incirca gli stessi. Nell'ICD-10, questo disturbo
viene riportato come Autismo Infantile) fa parte di una categoria più generale,
i Disordini generalizzati dello sviluppo (o Disordini pervasivi dello sviluppo), e viene
diagnosticato in base alla presenza di un certo numero di indicatori comportamentali
presenti nelle aree dello sviluppo.
I primi sintomi si manifestano intorno ai tre anni, colpisce prevalentemente individui
di sesso maschile e ha un incidenza tra lo 0,05 e lo 0,5% sulla popolazione.
L'autismo si trova a volte associato ad altri disturbi che alterano in qualche modo la
normale funzionalità del Sistema Nervoso Centrale: epilessia, sclerosi tuberosa,
sindrome di Rett, sindrome di Down, sindrome di Landau-Klefner, fenilchetonuria,
sindrome dell'X fragile, rosolia congenita.
I criteri diagnostici per identificare il disturbo autistico sono organizzati nel seguente
A) Un totale di sei (o più) voci da 1), 2), e 3), con almeno due da 1), e uno ciascuno da
1. compromissione qualitativa dell'interazione sociale, manifestata con almeno
marcata compromissione nell'uso di svariati comportamenti non verbali,
come lo sguardo diretto, l'espressione mimica, le posture corporee, e i gesti
che regolano l'interazione sociale;
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in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della
capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di
imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
2. compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da
almeno 1 dei seguenti:
ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non
accompagnato da un tentativo di compenso attraverso modalità alternative
di comunicazione come gesti o mimica);
in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della
capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri;
uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico;
mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di
imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
3. modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e
stereotipati, come manifestato da almeno 1 dei seguenti:
dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati
anomali o per intensità o per focalizzazione;
sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici;
manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il
capo, o complessi movimenti di tutto il corpo);
persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti.
B) Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio
prima dei 3 anni di età:
1. interazione sociale;
2. linguaggio usato nella comunicazione sociale;
3. gioco simbolico o di immaginazione.
C) L'anomalia non è meglio attribuibile al
Disturbo di Rett
disintegrativo dell'infanzia.
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I soggetti autistici sono spesso incapaci di comunicare verbalmente, se il loro grado di
espressività non è del tutto compromesso essi parlano in maniera bizzarra e sovente
ripetono frasi e procedimenti logici sentiti nell'ambiente che li circonda.
Essi mostrano un'apparente carenza di interesse e di reciprocità relazionale con gli
altri; tendono all'isolamento e alla chiusura sociale, sono apparentemente indifferenti
agli stimoli o ipereccitabili nei confronti degli stessi; hanno difficoltà ad instaurare un
contatto visivo.
Gli autistici hanno difficoltà nell' iniziare una conversazione o a rispettarne i turni,
difficoltà a rispondere alle domande e a partecipare alla vita od ai giochi di gruppo.
Di solito un limitato repertorio di comportamenti viene ripetuto in modo ossessivo; si
possono osservare posture e sequenze di movimenti stereotipati (per es. torcersi o
mordersi le mani, sventolarle in aria, dondolarsi, compiere complessi movimenti del
capo, ecc.) detti appunto stereotipie. Queste persone possono manifestare eccessivo
interesse per oggetti o parti di essi, in particolare se hanno forme tondeggianti o
possono ruotare (biglie, trottole, eliche, ecc.). Talvolta la persona affetta da autismo
tende ad astrarsi dalla realtà per isolarsi in un mondo virtuale, in cui si sente vivere a
tutti gli effetti (dialogando talora con personaggi inventati). Pur mantenendo in molti
casi la consapevolezza del proprio fantasticare, è con fatica e solo con delle
sollecitazioni esterne (suoni improvvisi, appello di altre persone) che riesce ad essere
in varia misura partecipe nella vita di gruppo.
Si riscontra una marcata resistenza al cambiamento che per alcuni può assumere le
caratteristiche di un vero e proprio terrore fobico. Questo può accadere se viene
allontanato dal proprio ambiente (camera, studio, giardino ecc) o se nell'ambiente in
cui vive si cambia inavvertitamente la collocazione di oggetti, del mobilio o comunque
l'aspetto della stanza. Lo stesso può verificarsi se si lasciano in disordine oggetti (sedie
spostate, finestre aperte, giornali in disordine): la reazione spontanea della persona
autistica sarà quella di riportare immediatamente le cose al loro ordine, e se
impossibilitato a farlo manifestare comunque inquietudine. La persona può allora
esplodere in crisi di pianto o di riso, o anche diventare autolesionista e aggressiva
verso gli altri o verso gli oggetti. Altri soggetti, al contrario, mostrano un'eccessiva
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passività, aprassia motoria e ipotonia che sembra renderli impermeabili a qualsiasi
La gravità e la sintomatologia dell'autismo variano molto da individuo a individuo e
tendono nella maggior parte dei casi a migliorare con l'età, in particolare se il ritardo
mentale è lieve o assente, se è presente il linguaggio verbale, se un trattamento valido
viene intrapreso in età precoce.
L'autismo può essere associato ad altri disturbi, ma è bene dire che spesso maschera
l'intelligenza di una persona, e che esistono gradi di autismo differenti tra loro. Alcune
persone autistiche possiedono per esempio una straordinaria capacità di calcolo
matematico, sensibilità musicale o altri talenti in misura del tutto fuori dell'ordinario,
come realizzare ritratti o paesaggi molto fedeli su tela senza possedere nozioni di
disegno o pittura.
4.1 Lo studio dell'autismo
Nel 1911 Eugen Bleuler introdusse il concetto di autismo nella psicopatologia della
schizofrenia, interpretando questa incapacità a stabilire relazioni intersoggettive come
una necessità e altresì volontà ad estraniarsi dalla realtà del mondo. Bleuler definitiva
autismo il distacco dalla realtà e la predominanza della vita interiore, valutando questo
comportamento come una "scelta" voluta dal soggetto per difendersi dall'esterno, da
quel mondo comune che gli pare infernale.
Il termine autismo è stato proposto sottraendo alla parola autoerotismo la sua parte di
"eros", e creando così un legame tra questi due concetti, sottolineando lo stato di
privazione, di ritiro e di perdita.
Per Bleuler lo stato dell'autistico non è una non-vita bensì un'autosufficienza e
un'autoconservazione, un isolamento sensoriale paragonabile ad uno stato di veglia,
che mette il soggetto al riparo da un mondo esterno traumatizzante.
Per distinguere tale patologia dall'autismo schizofrenico Bleuler propone di sostituire
il termine autistico con quello di dereistico, per rappresentare un pensiero che si
sviluppa al di fuori di ogni riferimento alla realtà della ragione. Nel bambino l'Io,
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pensato come autoerotico, diventa un organo separato dal corpo, provocando quindi
una sottrazione di eros ma un contemporaneo eccesso di autos. Questo problema di
ritiro della libido viene affrontato anche da Freud nel 1914, in relazione alla psicosi.
Nello schizofrenico la libido ritirata dal mondo esterno viene riportata nell'Io,
manifestando un'attitudine narcisistica.
[Nel 1986 Bleuler scrive: " Se si conosce bene lo schizofrenico, allora si sente con
emozione che al di sotto dell'autismo vi è l'espressione di una tendenza contraria [.]
una speranza nostalgica di avvicinare l'altro in modo migliore e più puro di quanto non
sia stato per lui possibile sotto le regole stabilite dalla società."]
La teoria bleuleriana viene criticata nel 1922 da Ludwig Binswanger, il quale intende
concentrarsi su come l'autismo si manifesta anziché tentare di darne una definizione.
Egli elenca quindi alcune caratteristiche del comportamento del bambino autistico:
non vuole essere toccato da fuori;
è indifferente rispetto a ciò che dovrebbe essere di suo interesse;
è incapace di adeguarsi alla realtà;
reagisce in maniera inadeguata alle sollecitazioni;
non mette in atto resistenze rispetto alle spinte pulsionali;
la sua vita interiore ha una morbosa preponderanza.
Binswanger ritiene che "autismo non significa [.] ritirarsi dal mondo e ripiegamento
su sé stessi, ma soggiogamento del Sé da parte del mondo, mondificazione o
esautorazione del Sé. Il pensare o l'agire autistico o dereistico non prende in nessuna
considerazione la realtà non già perchè la presenza si è staccata dal mondo ma perchè
il mondo l'ha assorbita."
Il deficit principale dell'autistico è quindi l'inconsistenza dell'esperienza naturale.
Allo stesso modo nel 1927 Eugène Minkowski sottolinea come il filone interpretativo
inerente l'autismo sia oltremodo pericoloso in quanto facilita la falsa credenza che gli
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schizofrenici fuggano volontariamente il mondo. La solitudine dell'autistico non è
quindi la conseguenza di una sua scelta consapevole bensì il manifestarsi di una
malattia, che gli rende impossibile accedere al mondo intersoggettivo.
Ancora oggi non è chiaro quanto il legame tra schizofrenia e autismo sia labile o
solido, quanto l'autismo possa essere considerato, come riteneva lo stesso Minkowski,
il disturbo generatore della schizofrenia.
Egli ritiene che ciò che manca all'autistico sia il contatto vitale, dinamico, che
presuppone l'avanzare del soggetto in sincronia con lo spazio che gli sta attorno.
Questo, accompagnato ad un collasso della temporalità, rende tale disturbo una
condizione senza tempo nè spazio.
Blankenburg nel 1971 basa la sua ricerca sul concetto di "vuoto" quale punto di
partenza nelle forme schizofreniche che non si evolvono in vere psicosi ma nemmeno
riescono ad edificare un percorso stabile di organizzazione del pensiero. Il vuoto,
l'assenza, sono ciò che proietta lo schizofrenico in una condizione di "non essere
familiare al mondo", condizione che difficilmente si riesce ad sviscerare in quanto
viene prima del linguaggio stesso. Se è il nostro linguaggio che pone i limiti della
conoscenza del mondo che ci circonda allora lo schizofrenico non potrà mai essere
compreso in quanto la sua comprensione non concerne come è il mondo ma il fatto che
Ciò che Blankenburg ritrova nell'autismo è una crisi globale del common sense, della
competenza sociale, di quella conoscenza comune basata sull'ovvietà.
L'analisi e lo sviluppo di questo concetto di Autismo Schizofrenico ancora oggi non è
giunta ad una conclusione, complice la molteplicità di sintomi e caratteristiche che
rimandano l'autismo alla forma più grave di schizofrenia ma che, in altri casi, lo
allontanano da essa. Bisogna infatti considerare che l'autismo si manifesta più
precocemente rispetto alla schizofrenia, intorno ai tre anni di vita del bambino. Inoltre
la schizofrenia riporta sintomi e manifestazioni, quali allucinazioni, remissioni e
ricadute, deliri, che non si presentano nel disturbo autistico
La solitudine dello schizofrenico, l'introversione, il ritiro sociale sono forme
riconducibili all'autismo solo nella misura in cui presuppongono un vuoto, una perdita
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di radicamento dell'esistenza nella presenza dell'Altro. Allo stesso modo è necessario
indagare i sintomi negativi per verificare quanto rappresentino la malattia e quanto la
Parallelamente a questo studio sull'autismo in rapporto alla schizofrenia se ne è
sviluppato uno ulteriore, sul cosiddetto Autismo Infantile, terminologia ad oggi
scomparsa per non ricorrere nell'errore di considerare l'autismo come una forma
infantile di schizofrenia che cambia con l'età adulta.
I primi studiosi che descrissero l'autismo infantile furono il medico e psichiatra Hans
Asperger nel 1944 e Leo Kanner nel 1943.
Kanner studiò e osservò 11 bambini che definì affetti da "disturbo autistico del
contatto affettivo". I sintomi fondamentali che gli permisero di descrivere una vera e
propria sindrome furono l'isolamento e il desiderio ossessivo di ripetitività e
immodificabilità. Tale ripetitività, di gesti, di parole, fino anche a creazione di routine
e campi di interesse anche complessi, crea un vero mondo a parte. Gli eventi che in
qualche modo interrompono questa ritualità sono i principali inneschi di crisi o
comportamenti aggressivi dell'autistico.
Altro fenomeno riconosciuto da Kanner sono i cosiddetti "isolotti di capacità", aree di
competenza e intelligenza anche fuori dall'ordinario, perse nella generale disabilità del
soggetto. Tale è la principale differenza rispetto ai bambini colpiti da ritardo mentale,
che portò Kanner a ritenere il bambino autistico dotato in realtà di intelligenza normale
ma caratterizzato da un ritardo solo funzionale.
Si trattò però di un errore che portò gli studiosi a concentrarsi sulla convinzione che le
difficoltà cognitive dei bambini autistici fossero volontarie e motivate da un senso di
non appartenenza e un desiderio di isolamento.
Asperger nel 1944 descrisse la psicopatia autistica in quattro bambini, dai 6 agli 11
anni. Egli pose l'accento sugli aspetti sociali e di relazione di tale disturbo, quali la
difficoltà di linguaggio, un impaccio psicomotorio e mimico. Sul piano affettivo egli
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riscontra difficoltà di empatia, di contatto con l'altro, di intuizione affettiva. Il
bambino di chiude in una dimensione egocentrica e manifesta interessi, quali quello
per i numeri, che ritiene fondamentali e che assorbono totalmente le sue energie.
Secondo Asperger questa sintomatologia si presenta intorno ai 3 anni, solo nei soggetti
di sesso maschile, è famigliare e va distinta dai sintomi schizofrenici.
Sarà poi L. Wing nel 1981 a distinguere questa psicopatia registrata da Asperger,
caratterizzata da un linguaggio egocentrico ma non ritardato, un rapporto con l'esterno
cercato anche se in modo eccentrico, un disturbo genericamente evidenziabile solo
dopo il terzo anno di età, che nel corso degli anni andò a configurare la sindrome di
Sia Kanner che Asperger furono smentiti per molti aspetti negli anni che seguirono i
loro studi. In particolare quando ritenevano l'autistico dotato di una normale
intelligenza o di capacità originali ed elevate che avrebbero portato loro successo nella
vita adulta. Oltre a ciò Kanner incorse nell'errore di ritenere che il disturbo autistico
non avesse connessioni con altri fattori medici o ambientali mentre ad oggi siamo in
grado di sostenere come disordini metabolici, sindromi e fattori genetici,
neuropatologici, disfunzioni del sistema nervoso influenzino notevolmente il
manifestarsi e lo sviluppo della malattia.
Un altro fu però l'errore più grave portato avanti da Kanner. Egli arrivò a ritenere, pur
concordando con Asperger sulla causa organica di tale patologia, che l'autismo fosse
un disturbo multifattoriale, e quindi che fosse rinvenibile in soggetti sì predisposti
geneticamente ma sui quali erano intervenuti altresì fattori psicologici, o meglio
riguardanti le condizioni e le basi del costituirsi di una qualsiasi psicologia.
Egli individuò una sorta di blocco e di assenza di quel meccanismo innato che ci
permette di instaurare un legame affettivo con qualsivoglia altro soggetto. Notando
l'elevata intelligenza dei genitori di questi bambini e la loro difficoltà a rapportarsi con
i propri figli concluse che questa freddezza intellettuale fosse una delle cause
dell'autismo stesso
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Sulla base di questo errore è nata la definizione di genitori frigorifero e l'idea della
psicogenesi dell'autismo, abbagli che hanno portato avanti lo studio del disturbo per
diversi anni, considerando tra le cause possibili di tale disturbo l'assenza di calore
emotivo trasmessa al bambino, un'interazione povera da parte del genitore, rifiuti o
separazioni precoci o ancora atteggiamenti genitoriali sovrastimolati o sottostimolati.
Ancora oggi esistono correnti di pensiero che negano la malattia neurologica e fanno
ricadere la responsabilità del disturbo sul cattivo rapporto in particolare con la figura
Nonostante ciò, la presenza della malattia in diversi soggetti dello stesso nucleo
familiare è la ragione più evidente per ammettere che la causa sia esclusivamente un
deficit neurologico, legato a caratteristiche genetiche.
Colui che arrivò al culmine di questo pensiero fu Bruno Bettelheim, con il suo La
fortezza vuota (1967), nel quale riportava le sue osservazioni raccolte nella Scuola
Ortogenica di Chicago dove era venuto in contatto con bambini disturbati. Le sue
ricerche, compiute dopo la seconda guerra mondiale, ottennero numerosi
finanziamenti, soprattutto nell'ottica della visione ottimistica e di possibile guarigione
che egli prospettava, nonostante la sua formazione e le sue competenze non fossero
ben chiare (non era nè medico né psicologo). La Fortezza Vuota non è altro che il
resoconto di questi suoi studi, che riporta però in tono più che altro romanzesco una
verità inventata e spesso ampliamente caricata di risultati positivi che in realtà non
furono possibili.
Egli sosteneva che l'autismo fosse un rifiuto di essere psichico, una difesa da contesti
familiari che il bambino sentiva come estremi e traumatizzanti. "Il fattore che precipita
il bambino nell'autismo è il desiderio dei suoi genitori che egli non esista".
La sua teoria è stata accusata di colpevolizzare le figure genitoriali, in particolare
quella femminile attribuendo la causa della sindrome ad un disturbo dei rapporti
primari con chi assume il ruolo di accudimento (caregiver). Bettelheim giunge a
proporre il distacco dal nucleo familiare, la cosiddetta parentectomia, come terapia
Tale modello esplicativo e terapeutico è stato bersaglio di critiche e ostracismi, prima
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in America e poi in Europa, anche per via della progressiva maggiore diffusione di
teorie biologiche nell'etiopatogenesi dei disturbi mentali rispetto alle teorie psicogene
e ambientali che avevano dominato il campo in precedenza.
Studi contemporanei a Bettelheim e a lui successivi, su bambini che avevano trascorso
mesi all'interno di campi di concentramento nazisti, o ancora che erano stati
abbandonati dai genitori o cresciuti in condizioni di vero e proprio abbandono
materiale, hanno dimostrato che neppure le più precarie condizioni di vita o affettive
possono causare dal nulla il disturbo autistico. E' incredibile infatti come il bambino
riesca a recuperare e far suo anche il più insignificante sostituto delle cure materne,
anche la più piccola fonte di affetto e di attenzione.
In realtà la questione psicoanalisi e autismo sembra diventata quasi un tabù o un
sacrilegio. Una quantità di ricerche, almeno da John Bowlby in poi, ha mostrato come
l'ambiente familiare influenzi grandemente lo sviluppo e le caratteristiche dei figli,
malati e non, e come le dinamiche familiari e le relazioni genitori figli possano essere
soggette a distorsioni e fonte di malesseri e gravi disagi. Nel caso dell'autismo viene
oggi vissuta in modo estremamente conflittuale l'osservazione del funzionamento delle
dinamiche familiari, con l'effetto talvolta di impedire interventi potenzialmente utili, se
non indispensabili. La diagnosi di autismo sembra allora eliminare d'ufficio ogni
coinvolgimento dei genitori, a differenza di quanto accade nel rimanente campo
dei disturbi mentali e dell'handicap.
Bisogna infatti tener presente che, nonostante i fattori genetici rappresentino la causa
primaria di tale disturbo, non devono essere sottovalutati i fattori acquisiti e
Innanzitutto la risposta ambientale al ritardo mentale del bambino autistico influisce
notevolmente sullo sviluppo della malattia. La capacità di adattamento del nucleo
parentale alla condizione del ragazzo autistico lo aiuta a non incorrere in crisi o arresti
dello sviluppo, in problemi di condotta, impulsività ed aggressività.
La difficoltà di interpretare le intenzioni del bambino, di superare lo stress emotivo
provocato dall'handicap, di avere una reale percezione del bambino stesso possono
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spingere il genitore ad attuare strategie di compenso disfunzionali piuttosto che
adattive, e questo non fa che provocare ulteriori deficit legati al disturbo.
Ci sono poi esperienze traumatiche che possono provocare arresti dello sviluppo o
addirittura regressioni, episodi di vita che causano nel bambino, ad esempio, un grande
spavento o un grande dolore.
Altri fattori di rischio per la famiglia sono la reazione sociale al disturbo, spesso
sfociante in isolamento, la mancata assistenza da parte delle istituzioni, lo svantaggio
economico e culturale. Oltre a ciò non bisogna dimenticare le possibili crisi coniugali
provocate da questi fattori di stress che intervengono sul precario equilibrio della
Gli studi iniziali di Kanner non evidenziarono un legame tra il disturbo autistico e il
ritardo mentale. In realtà ricerche successive hanno dimostrato come nel 70-90% dei
casi di autismo sia riscontrabile un QI inferiore a 70 e nel 40% dei casi tale ritardo di
dimostra grave. La maggior parte dei bambini soffre quindi anche di un certo grado di
ritardo mentale, anche se si differenzia dagli altri tipi di handicap in quanto si riscontra
una dissociazione tra le diverse competenze. Ci possono essere infatti atipie nello
sviluppo di determinate competenze cognitive e nel ritardo di sviluppo di altre.
4.2 I deficit
L'autismo è caratterizzato da deficit specifici che riguardano:
La teoria della mente e la meta rappresentazione.
Il bambino autistico fatica ad attribuire stati mentali a sé o ad altri, è incapace di
considerare le credenze, i desideri e i pensieri altrui e questo è la causa principale
del deficit sociale proprio di questo disturbo. Egli manca di interazione sociale in
quanto non è in grado di comprendere i processi mentali altrui e quindi di farne
Percezione ed espressione delle emozioni
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Fin dalla nascita il neonato fatica a mettersi in contatto affettivo con persone e
situazioni. Questo deficit, secondo Hobson (1993), è primario rispetto al deficit
metarappresentativo, in quanto egli ritiene che il bambino non sia capace di
comprendere gli stati mentali altrui in quanto manca di comprensione e percezione
delle emozioni dell'altra persona, delle espressioni mimiche e dei gesti affettivi
della comunicazione. Studi successivi hanno dimostrato come in realtà il bambino
sia in grado di percepire alcuni stati basilari come la felicità e la tristezza, e di
metterle in relazione con il desiderio e la situazioni. Più difficile è la comprensione
di emozioni complesse.
Ulteriore conseguenza di questo deficit è l'atipia nella risposta e nell'espressione
facciale delle emozioni.
Attenzione condivisa
Si tratta del principale indicatore del deficit socio-comunicativo dell'autismo. Tra i
comportamenti di attenzione condivisa sono: lo sguardo referenziale, i gesti di
dare, mostrare e indicare con il dito. Tali atteggiamenti sono caratterizzati da
scambi triadici in quanto prevedono una transazione tra l'attenzione a sé stessi,
l'attenzione verso un oggetto e l'attenzione verso gli altri. I bambini con disturbo
autistico manifestano un numero decisamente inferiore di tali comportamenti.
Questo fenomeno può essere considerato il deficit che evidenzia il ruolo dei
disturbi cognitivo ed emotivo nella comparsa del deficit sociale nell'autismo.
Orientamento sensoriale e regolazione dell'arousal
I bambini autistici mostrano una limitata percezione e attenzione agli stimoli
sociali o sensoriali. In particolare mostrano avversione al tatto, assenza di reattività
agli stimoli sonori intensi, fenomeno della visione parafoveale (guardare gli oggetti
Uta Frith nel 1989 ha sviluppato la teoria del deficit della coerenza centrale, nella
quale sottolinea l'importanza dei processi di interpretazione degli input sensoriali e
di codifica di tali input. Nei bambini autistici ci sarebbe quindi una insufficiente
capacità di integrare le diverse percezioni, uditive, spaziali, tattili, in un tutto
coerente. Essi hanno quindi una percezione del reale frammentata e priva di
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Per quanto riguarda il linguaggio i bambini sarebbero quindi in grado di
comprendere singole parole o costruzioni semantiche ma non riescono a collocare
le parole in un insieme dotato di significato.
Il disturbo nell'autoregolazione dell'arousal è poi ciò che spiegherebbe la loro
difficoltà ad affrontare i cambiamenti nel loro ambiente di vita e di affrontare le
informazioni imprevedibili.
Nei bambini autistici è presente un deficit di imitazione, in particolare di
imitazione di gesti simbolici o di gesti riferiti ad oggetti. Il gioco di imitazione è
una parte fondamentale del percorso di sviluppo di un bambino in quanto
inesauribile fonte di informazioni su ciò che fanno gli altri e quindi su ciò che noi
stessi facciamo, mentre nel DA ritroviamo l'incapacità di imitare anche semplici
espressioni facciali già riscontrabili nei neonati normali.
Gioco simbolico
Assenza o grave limitazione del gioco di finzione, che appare molto povero e
ripetitivo, spesso caratterizzato da stereotipi o da ripetizioni della routine
quotidiana. La mancanza di proprietà logiche della finzione sarebbe assimilabile al
deficit di metarappresentazione, per cui la teoria cognitiva attribuisce l'assenza del
gioco di finzione al deficit metarappresentativo.
Comunicazione e linguaggio
Diversi sono i gradi di sviluppo del linguaggio nel bambino autistico. Alcuni di essi
non acquisiscono tale facoltà, altri la acquisiscono in ritardo, altri ancora in
modalità atipiche. Caratteristiche tipiche del linguaggio autistico sono: le ecolalie,
le espressioni idiosincratiche, l'inversione dei pronomie la prosodia.
Essi hanno difficoltà nell'uso pratico e strumentale della parola per comunicare le
informazioni. Sarebbe più corretto parlare di disturbo della comunicazione
piuttosto che di disturbo del linguaggio in quanto spesso si ha esperienza di come il
bambino autistico sia in grado di parlare ed esprimersi anche con terminologia
complessa, ma spesso lo fa in occasioni particolari o stimolato da comportamenti o
circostanze dell'ambiente che lo circonda.
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Attaccamento
Difficoltà di differenziare la figura dei genitori rispetto agli estranei e tendenza
all'interscambiabilità delle persone. Spesso non riescono a dimostrare
l'attaccamento nei modi e con le forme convenzionali, ricercano la prossimità
anche fisica con metodologie più insicure e disorganizzate. Resta il fatto che i
risultati delle ricerche sull'attaccamento sono fino ad oggi disomogenee,
riscontrando in alcuni casi comportamenti diretti normalmente al legame con il
caregiver.
Comportamento intenzionale e finalistico
E' difficile rilevare nei bambini affetti da DA i comportamenti intenzionali e
direttamente orientati ad uno scopo, ciò a causa della disorganizzazione
comportamentale e dell'instabilità negli interessi e nelle attività. Ci sono diversi
livelli di comportamento finalistico che possono essere analizzati in relazione ai
pattern comportamentali del bambino autistico: scopi di primo livello che
prevedono un'aspettativa da parte del bambino in relazione ad agenti che
autonomamente si muovono nella sua sfera e scopi di secondo livello in cui l'altro
è individuo capace di avere proprio scopi e di comprendere quelli altrui. Essi si
esprimono sotto forma di comportamenti richiestivi o dichiarativi, a seconda che il
bambino si aspetti dal soggetto un'azione atta a soddisfare i suoi desideri o
semplicemente un'attività contemplativa. Questo secondo livello, che prevede
l'intenzione di influenzare lo stato interno dell'altro per far sì che condivida e si
interessi della propria condizione, pare mancare nel bambino autistico. Egli riesce
ad agire per ottenere o per evitare, difficilmente lo fa per condividere.
Per quanto riguarda le credenze proprie dei genitori di bambini autistici spesso si
riscontra una tendenza ad una rappresentazione disfunzionale circa sé stessi e la
relazione con il figlio. La madre in particolare è disorientata dalle manifestazioni del
disturbo del figlio ed è propensa ad interpretare la sua ricerca di isolamento come un
fallimento della sua funzione genitoriale.
Spesso i genitori si sentono inadeguati al ruolo che gli compete e ciò non fa che
incrementare la disfunzionalità nel rapporto con il figlio. Ciò li porta ad attuare
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comportamenti intrusivi della sfera personale del bambino, il quale reagisce con un
rifiuto ancora maggiore.
Solo con il DSM – III (1980) si è giunti finalmente ad una distinzione netta tra
l'autismo, inserito nei disturbi generalizzati dello sviluppo, e la schizofrenia. Nel 1987,
con la pubblicazione del DSM III- R si accentua la prospettiva evolutiva e viene
eliminato il termine autismo "infantile" per sottolineare come si tratti di un disturbo
che accompagna tutto l'arco vitale del soggetto.
Ancora oggi sono molteplici e variegati gli approcci interpretativi al disturbo autistico,
causati dalla difficoltà di riscontrare criteri univoci di studio e dalla complessità del
fenomeno stesso. Spesso ci sono correnti di pensiero che arrivano a considerare anche
gli aspetti più difficilmente catalogabili ma che comunque tralasciano altri sintomi o
Ucelli e Barale tentano di catalogare questi modelli e queste varianti di pensiero
suddividendole in due gruppi:
1. Autismo è considerato primario, i suoi tratti fondamentali sono connessi ad un
unico e primario deficit che comporta l'unione di tutti i fenomeni in una
"sindrome". Tra questi il modello della teoria della mente e il modello del
difetto originario del legame affettivo di Hobson. Anche il modello di Meltzoff,
Gopnik e Capps inerente l'importanza dei processi imitativi nello sviluppo del
rapporto con gli altri può essere inserito in questo gruppo.
2. Autismo è la conseguenza di un deficit che riguarda altre funzioni psicologiche,
dal cui disordine deriverebbe in seconda istanza il disturbo autistico. Tra questi
il modello del deficit di funzioni esecutive (che sovrintendono al monitoraggio,
all'organizzazione e all'esecuzione di azioni e sequenze finalizzate) e il deficit
di coerenza centrale, tema ripreso da Hermelin e O'Connor poi da Uta Frith.
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4.3 L'autismo nell'età adulta e le cause organiche
Se passiamo a valutare quali sono gli sviluppi dell'autismo in età adulta dobbiamo
innanzitutto abbandonare l'illusione, per molti anni nutrita dagli psicologi e
psicoterapeuti, che ci sia una cura possibile per i bambini autistici che, se portata
avanti a lungo termine e con le dovute attenzioni, possa sottrarli al triste destino della
Questa metodologia ad oggi non esiste, esistono però alcune conoscenze certe sul
futuro dei bambini affetti da disturbo autistico, conoscenza sempre basate sul principio
che l'autismo non è un fenomeno globale e men che meno statico.
Innanzitutto l'espressione del disturbo, la sintomatologia possono cambiare nel corso
degli anni, così come anche le relazioni, le capacità di adattamento e quelle espressive.
Si possono modificare e migliorare le condizioni di vita e le competenze che può
sviluppare il soggetto, quello che rimane invariato è il nucleo della malattia, ciò che
sarà refrattario ad ogni intervento e ad ogni esperienza anche importante nella vita del
Il bambino autistico non evolverà in altre patologie, e nel 90% dei casi diventerà un
adulto autistico. Rare sono le eccezioni, si tratta soprattutto di quadri sintomatologici
simil-autistici in realtà.
Nella fase dell'adolescenza si riscontrano manifestazioni non tanto più drammatiche
di quelle dei coetanei "normali". Nel 30% dei casi però si assiste ad un notevole
Ciò accade in quanto l'adolescenza è già di per sé, sul piano neurologico, una fase
della vita che porta scompensi e vulnerabilità. A maggior ragione può creare un
aggravamento delle condizioni per quei soggetti che devono altresì affrontare la loro
diversità, la loro incapacità di rendersi autonomi e crearsi un percorso proprio, spinta
tipica dell'adolescente.
Ciò che è assolutamente importante e imprescindibile quando si parla di autismo e di
disturbi dello sviluppo è ricordare che non ci sono categorie o temi assoluti. Ancora
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oggi si tratta di un terreno di studio, infatti all'interno di alcune caratteristiche di fondo
che pare siano state individuate ci sono continui cambiamenti e sviluppi.
Per questo motivo è complesso portare avanti una diagnosi di autismo, così come
individuarne l'evoluzione; per questo motivo è necessario non banalizzare fermandosi
a ragionare sulle conoscenze acquisite in una materia che in realtà è ancora
completamente sotto analisi.
Infine non bisogna dimenticare che ormai provata è l'esistenza di implicazioni
organiche nell'autismo, in particolare derivanti dalla scoperta che quasi il 33% degli
adolescenti autistici sviluppano una forma di epilessia, segno inequivocabile che si è in
presenza di una anormalità neurologica.
Questa anormalità cerebrale che si sviluppa in tenera età è quindi ormai provata, anche
se ancora non è chiaro quale ne sia la natura.
Nello studio del disturbo organico che sta dietro l'evolversi dell'autismo ci si può
imbattere in danni cerebrali strutturali, ma anche in disfunzioni fisiologiche, quali
eccessi o mancanze di sostanze neurotrasmettitrici, o mancanza di un enzima, come è
riscontrabile in altri casi di disturbi evolutivi.
Il normale sviluppo del cervello umano prevede che le cellule cerebrali nascono e si
moltiplicano, poi con il maturare del soggetto esse si "seccano". Il normale evolversi
prevede quindi che queste cellule seguano le istruzioni sulla crescita impartite dai geni
e man mano vadano a scomparire, cosa che non accade in cervelli "immaturi" nei quali
si riscontra una densità cellulare alta.
Altri studi hanno invece dimostrato come in caso di atrofie cerebrali ci siano più ampi
spazi pieni di liquido contrariamente a quelli pieni di cellule. Nel cervello autistico
questo fenomeno si concentra nel lato sinistro del cervello, lì dove è dimostrato risieda
la competenza linguistica.
Anche esami accurati come tomografie computerizzate, PET, risonanze magnetiche,
non sono riusciti ad individuare quale sia la sede effettiva del danno cerebrale nei
soggetti autistici.
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Un'ulteriore ipotesi, anch'essa largamente confermata, fa risiedere la causa
dell'autismo in un'anomalia genetica. Nel 1977 Susan Folstein e Michael Rutter
analizzarono 21 coppie di gemelli in cui almeno uno dei fratelli soffriva di disturbo
autistico, per valutare l'incidenza del fenomeno in relazione al patrimonio genetico.
In 4 casi su 11 di gemelli omozigoti è stata rilevata una concordanza del disturbo del
100%, in nessuna coppia di eterozigoti. Anche le restanti coppie nelle quali non era
stato riscontrato autismo presentavano nonostante ciò altri disturbi del linguaggio o
dello sviluppo cognitivo.
Infine alcuni studiosi hanno ritenuto che problemi e danni intervenuti al momento
della nascita possano influire sul presentarsi della malattia (ad esempio ritardo della
nascita, ritardo della respirazione, convulsioni neonatali o utilizzo di forcipe). Tuttavia
si possono considerare queste come cause che si combinano ad altre anormalità
preesistenti del bambino, andando a comporre un quadro di rischi nel quale non c'è più
una causa della malattia ma un insieme di cause.
Fig. 11 L'AVVENIRE 17/10/2001
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CAPITOLO 5
PROFILI CRIMINOLOGICI
Ciò che del caso Nadalini lascia più che mai perplessi, soprattutto oggi, in un'epoca
storica in cui i fatti di sangue balzano all'onore delle cronache e diventano fulcro della
comunicazione e dello scambio mediatico, oggi che anche il più ignaro e ignorante
spettatore può assistere a trasmissioni, salotti politici, serie televisive che lo mettono in
contatto diretto con l'omicidio e con le tecniche di indagine più all'avanguardia,
ancora oggi un caso che dovrebbe essere trattato, per la sua delicatezza e per le pesanti
conseguenze che ha avuto sulla vita di un giovane ragazzo, con il massimo rigore si
riduce invece ad un susseguirsi di errori procedurali.
5.1 Il sopralluogo dei Carabinieri sul luogo del delitto la notte del fatto
Primo elemento di fondamentale importanza quando si giunge sul luogo in cui è
avvenuto un reato è prestare la massima attenzione allo stato delle cose e riportarne
puntuale indicazione nei verbali, in modo che la scena e gli avvenimenti siano
completamente riproducibili in un secondo momento.
Il verbale delle operazioni di sopralluogo della notte del 12 settembre sembrano
mancare di metodicità e di precisione nel portare avanti le operazioni di descrizione
della scena del crimine e repertazione.
Manca totalmente la descrizione accurata dei luoghi, la precisazione dello stato delle
cose, la posizione degli oggetti di interesse per le indagini, le condizioni di luce e di
tempo atmosferico, le persone che si sono susseguite all'interno della casa.
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Nello stesso momento e nelle
stesse stanze in cui si è
consumata la tragedia si
vengono a trovare una trentina
di persone tra forze dell'ordine,
giornalisti, amici, parenti e
Tutti i presenti toccano ogni cosa, lasciano mozziconi di sigarette e bicchieri usati,
pestano e lasciano impronte su porte e mobili, parlano tra loro e con la famiglia,
alcuni persino toccano il ragazzo durante e dopo il tentativo di rianimarlo. Ciò
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indubbiamente ha inquinato ogni possibile traccia lasciata dai rapinatori sulla scena del
Non si è provveduto a isolare la
zona, né a fare un'accurata
ispezione della casa e delle
abitazioni confinanti per
individuare eventuali nascondigli
dei rapinatori. Non sono state
cercate né rilevate impronte di
pneumatici o altre tracce del
passaggio di auto.
Non sono stati sequestrati gli abiti della sig.ra Mantovani, quelli del marito o quelli del
figlio Matteo. In quanto vittima di un'aggressione da parte di sconosciuti la sig.ra
Mantovani poteva certamente riportare sui vestiti, per il meccanismo del transfer, fibre
provenienti dagli abiti dei rapinatori o tracce quali impronte, liquidi organici. Questa
verifica non è stata eseguita né dai Carabinieri né tanto meno dal Reparto speciale dei
Carabinieri del RIS di Parma.
5.2 Il sopralluogo dei Carabinieri del RIS il giorno dopo gli eventi, nel
pomeriggio
L'intervento dei Carabinieri del Ris quali consulenti del PM è avvenuto in una casa
non sottoposta a sequestro, dove chiunque poteva entrare, dormire, mangiare, cambiare
la posizione degli oggetti, continuare a lasciare tracce e impronte o falsificare quelle
Le operazioni di sopralluogo non sono durate più di tre ore, gran parte delle quali
utilizzata per posizionare gli strumenti per la raccolta delle intercettazioni ambientali.
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5.3 Gli oggetti repertati nel corso dei due sopralluoghi
I reperti raccolti dai Carabinieri la notte del sopralluogo, analizzati poi dal RIS, e sui
quali si basano le fondamenta dell'accusa di omicidio ai danni di Paola Mantovani,
sono stati repertati senza nessuna considerazione delle procedure da utilizzare ai fini
del mantenimento della prova a garanzia di una corretta valutazione degli indizi
Il nastro adesivo appare infatti completamente arrotolato su sé stesso, con
sovrapposizione delle superfici e quindi cancellazione della impronte presenti per lo
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Esso, come anche il sacchetto utilizzato per uccidere Matteo, è stato riposto in una
busta di plastica, senza nessun tipo di supporto che ne proteggesse le superfici.
Tutti i reperti sono toccati e spostati utilizzando un righello in plastica e una
matita/penna, non con le apposite pinzette gommate consigliate per non lasciare segni
e solchi sulle superfici.
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La cintura trovata attorno al collo di Matteo viene repertata arrotolata su sè stessa,
chiusa in una scatola di cartoncino senza supporti che la tengano separata dai bordi
della scatola stessa.
5.4 Le consulenze tecniche di parte
In particolare la consulenza medico legale atta a indagare la provenienza dei segni di
unghiatura sul collo di Matteo viene svolta con un procedimento assolutamente
sperimentale, senza conoscenza dei precedenti e senza documentazione sui diversi
metodi possibili per la raccolta di questo tipo di impronte.
I segni di unghia del sig. Nadalini, raccolti su una candela, sono addirittura persi
perchè il supporto non era idoneo a raccoglierli. Quelli della sig.ra Mantovani, raccolti
con un diverso metodo, più ricercato e consono, non danno comunque un esito
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positivo in quanto non è riconoscibile la provenienza della fonte neppure tra i calchi
della stessa Mantovani.
Ciò non induce però i medici legali ad effettuare altre ricerche o utilizzare altri metodi,
anzi li porta alla conclusione che non sia possibile dare un Carabinieri del RIScontro
della provenienza di lesioni da unghia sul corpo di un soggetto.
La consulenza biologico dattiloscopica dei Carabinieri del RIS non riesce a dare
Carabinieri del risultati soddisfacenti in merito al ritrovamento di impronte papillari, le
uniche che vengono ritrovate sono quelle sui bollettini, nulla di utile viene ritrovato sui
guanti o sul vaso. Non si è proceduto a ricercare impronte sui mobili della stanza da
letto in cui è avvenuto l'omicidio, o sui cassetti che sono stati svuotati dai malviventi,
sulle maniglie delle porte o del cancello, sui bordi della piscina.
5.5 Unidirezionalità delle indagini
La chiara pendenza delle indagini che sono seguite sulla figura di Paola Mantovani,
senza la minima considerazione per tutte le altre possibili ipotesi.
In una prima fase il Nucleo Operativo dei Carabinieri del Comando Provinciale di
Modena ritiene infatti di non escludere dal novero delle indagini l'ipotesi che
l'omicidio sia maturato all'interno dello stesso nucleo familiare, e compiuto o in
accordo con tutti i componenti della famiglia (la madre di Paola abitava al piano
superiore della villetta in cui è avvenuto il fatto) o ad opera di una parte della famiglia
all'insaputa degli altri.
Si spiegherebbero così alcune incongruenze riscontrabili in relazione all'ipotesi di
rapina ai danni della famiglia e in particolare:
- il fatto che i rapinatori abbiano insistito sulla necessità di soldi e abbiano poi
abbandonato il denaro e i gioielli frutto della loro azione
- la crudeltà e l'efferatezza usate nei confronti della sig.ra Mantovani e poi nei
confronti del figlio, fino a procurarne la morte, nonostante nessuno avesse
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opposto resistenza alla rapina e non ci fosse motivo di ritenere il ragazzo un
pericolo, visto che al momento del furto dormiva profondamente
- il tentativo di omicidio nei confronti della sig.ra Mantovani svolto nel cortile
con il pericolo di essere visti dai vicini, anziché all'interno delle mura
domestiche come per il figlio
Inoltre la sig.ra Mantovani ha dichiarato di aver bevuto una gran quantità d'acqua nel
momento in cui è stata gettata in piscina mentre, secondo i testi accorsi sul luogo, lei
era imbavagliata in modo talmente stretto da non riuscire neppure a parlare. Allo
stesso modo dichiara di avere il viso e gli occhi coperti da tali bendaggi mentre al
momento del ritrovamento lo scotch viene rinvenuto solo attorno al busto.
Infine nei giorni seguenti l'evento sono state varie le segnalazioni anonime che
invitavano a ricercare gli autori dell'omicidio tra i familiari. In particolare intorno alle
ore 23.55 del giorno successivo l'omicidio una telefonata anonima al comando
provinciale dei Carabinieri faceva rinvenire all'interno della sede della Compagnia dei
Carabinieri di Carpi un biglietto che recitava: "2 mesi fa Matteo è andato in coma
"dicono" per un tentato suicidio. Tutti hanno pensato subito che la colpa fosse dei
genitori. Il papà è molto violento ed è capace di tutto, chiedetelo a suo fratello. Gli
assassini sono i genitori!".
Alcuni giorni dopo, il 17 settembre, una voce anonima femminile riferisce al
Maresciallo del Comando Stazione dei Carabinieri di Soliera di vari episodi di
maltrattamenti subiti da Matteo ad opera della madre e della nonna materna, riferiti
alla donna da parte delle figlie che frequentavano la stessa scuola elementare.
Infine anche il fratello del sig. Nadalini, Marco, riceve nei giorni immediatamente
successivi una serie di telefonate in cui una voce femminile lo esorta a riportare al
fratello Roberto intimidazioni e accuse di responsabilità nei confronti dell'omicidio di
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Altra ipotesi non perseguita perché non considerata degna di nota è quella della
vendetta. I coniugi Nadalini sono stati interrogati per verificare la possibilità che la
rapina fosse in realtà una simulazione per nascondere un atto a scopo vendicativo,
realizzatosi con l'uccisione di Matteo. Nessuno dei teste però rileva che ci fossero
situazioni dal punto di vista familiare o professionale che potessero portare a un tale
episodio di violenza.
Nonostante ciò le indagini difensive si sono concentrate anche sulla pista della
vendetta, ritenendo che i rapinatori fossero intenzionati a compiere un atto di
avvertimento più che una vera e propria rapina, e che la famiglia Nadalini sia stata
confusa con il vero destinatario delle minacce. Infatti non poco lontano dall'abitazione
dei coniugi Nadalini si trova un'altra villetta, delle stesse dimensioni, anch'essa con
piscina, appartenente a un uomo coinvolto in attività commerciali non meglio
Questa ipotesi è stata totalmente ignorata dall'accusa che non ha svolto nessun tipo di
accertamento su tale possibile "scambio" di persona.
5.6 Mancata iscrizione nel registro degli indagati
Fino ad arrivare al palese errore procedurale di indagare sulla sig.ra Mantovani senza
iscriverla nel registro degli indagati, errore che ha portato uno slittamento del processo
ed un ulteriore grado di giudizio.
Tale errore ha causato non solo una totale mancanza di garanzia nella raccolta degli
elementi di prova, raccolta priva della possibilità di effettuare il contraddittorio con la
parte indagata e di utilizzare tutto il novero delle garanzie difensive, ma ha altresì
prodotto un ritardo nello svolgimento del processo causato dagli ulteriori gradi di
giudizio intervenuti per risolvere la questione.
Trattasi di "formalità" che devono essere rispettate senza ombra di dubbio, in quanto
stanno alla base del nostro sistema accusatorio e sono le fondamenta del diritto della
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persona a subire un giusto processo e ad essere considerata innocente fino a dimostrata
prova contraria.
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CAPITOLO 6
IL PROCESSO MEDIATICO
In Italia stiamo assistendo negli ultimi anni a una politica della comunicazione che
punta a concentrare l'attenzione dell'individuo sui fatti di cronaca nera, su temi "caldi"
quali l'omicidio, spesso correlato alla violenza sessuale, al problema
dell'immigrazione e alla violenza familiare.
La sensazione che si può percepire oggi rapportandosi ai maggiori organi di
informazione è quella che l'assassinio non sia più limitato a determinati ambienti
sociali, ambienti criminali piuttosto che mafiosi, ma che sia un'esperienza del nostro
vivere comune, che può presentarsi in ogni contesto e dalla quale nessuno può sentirsi
Questa scelta mediatica, che per lo più rispecchia una precisa volontà di distogliere
l'attenzione da altre problematiche sociali, porta all'instaurazione di un "regime della
paura", nel quale lo spettatore si sente continuamente bersagliato da rischi e da
minacce, da eventi che non può controllare e che sembrano moltiplicarsi anziché
diminuire, portandolo a chiudersi nei confronti dell'esterno e a temere il suo prossimo.
In Italia gli episodi di sangue sono diminuiti negli ultimi anni, nonostante quello che ci
viene impartito dalle televisioni e dai giornali. Così come sono diminuite le rapine e i
furti. La tendenza contraria fa invece pensare che i fatti di sangue siano all'ordine del
giorno e che siano spesso e volentieri responsabilità delle minoranze etniche con cui
conviviamo, le quali non rispettano le nostre regole, vivono di delinquenza e non
riconoscono valori morali di alcun genere.
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Spesso la prima ipotesi che si sviluppa per spiegare un omicidio è quella che sia opera
di extracomunitari. Così è stato per il caso di Erika e Omar a Novi Ligure, quando la
ragazza raccontò la sua versione dei fatti incolpando degli inesistenti rapinatori che
avrebbero straziato la sua famiglia per derubarla. E tale pista venne seguita in un
primo momento dalle forze dell'ordine in quanto mai si sarebbe potuto sospettare che
tale massacro fosse opera di una ragazzina di 14 anni.
Così è stato per il delitto di Perugia, quando il primo accusato dell'omicidio di
Meredith fu il barista Patrick Lumumba, uomo di colore che venne in seguito
completamente scagionato quando le indagini dimostrarono che era innocente e fecero
invece cadere la responsabilità sui giovani Amanda e Raffaele, americana lei, italiano
lui, studenti e amici della giovane vittima.
Ancora, per la strage di Erba l'opinione pubblica impiegò poche ore per scagliarsi
contro Azouz Marzouk, padre e marito di due delle vittime, extracomunitario con
precedenti legati al consumo di droga. Prima venne ritenuto responsabile, poi si
ipotizzò un'azione punitiva nei suoi confronti che era andata a scapito della sua
famiglia. Tutte queste ipotesi si dimostrarono pure dicerie, il male non veniva da un
paese straniero ma veniva dai vicini di casa, da due compaesani che avevano vissuto
anni a contatto con la famiglia.
Tutti questi esempi dimostrano come la società voglia cercare un capro espiatorio, un
fenomeno che spieghi la violenza e che ne sia giustificazione. Si concentra quindi
l'attenzione sull'immigrazione, perchè si cerca di dare una risposta che non influisca
sul nostro modo di vivere, che sia altro da noi e quindi non controllabile e non
gestibile. E' molto più difficile ammettere che la violenza possa scatenarsi dalle mani
di nostra figlia, di nostro padre, del nostro vicino di casa o della nostra coinquilina, che
non ci sia un modo di prevedere o controllare il male, che non si possa espellerlo dalla
nostra vita come si farebbe con l'immigrato clandestino.
E i media fomentano l'odio e la paura del diverso enfatizzando gli episodi di
delinquenza posti in essere dagli extracomunitari, fornendo spesso una interpretazione
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unidirezionale degli eventi e dimenticando le ingiustizie e i soprusi che queste persone
devono sopportare nella vita quotidiana.
Anche il delitto Nadalini ha aspetti in comune con gli esempi trattati finora. Anche in
questo caso la prima ipotesi, che ad oggi ancora non è stata smentita, incolpa
dell'omicidio di Matteo due rapinatori che si suppone siano entrati nella villetta della
famiglia Nadalini e abbiano compiuto l'efferato omicidio poco prima della fuga,
fallendo nel proposito di uccidere anche la madre di Matteo, gettandola in piscina.
Ancora oggi, essendo il processo ancora aperto, non si conosce con certezza la verità
di ciò che è accaduto in quella casa. Giornali e televisioni hanno tentato di rendere la
vicenda una ennesima fiction all'italiana ma, sia grazie alla professionalità degli
avvocati della difesa della sig.ra Mantovani, sia grazie alla riservatezza della famiglia
ciò non è stato del tutto possibile.
In ciò ha avuto un importante ruolo anche il delitto di Cogne, avvenuto pochi mesi
dopo l'omicidio di Matteo, nel gennaio del 2002, che ha focalizzato le attenzioni del
pubblico e degli esperti sul fenomeno delle madri assassine. In questo caso non solo
gli avvocati hanno partecipato a trasmissioni e approfondimenti sul caso ma la stessa
indagata, Annamaria Franzoni, ha rilasciato più volte dichiarazioni e interviste nelle
quali riportava la sua versione dei fatti.
Il processo si è così trasferito dall'aula di Tribunale ai salotti televisivi, alle pagine dei
giornali di ogni genere, anche scandalistici. Gli avvocati della difesa e dell'accusa
sono diventati vallette e presentatori, gli esperti e i consulenti si sono susseguiti sulle
poltrone delle ex tribune politiche per dare la loro opinione davanti a tutta l'Italia,
l'avvocato della difesa ha instaurato con le testate giornalistiche una scommessa a chi
per primo avrebbe indovinato il nome dell'assassino, che lui ben conosceva ma che
avrebbe mantenuto segreto fino al giorno dell'udienza.
L'omicidio di un bambino, un omicidio efferato, violento e senza giustificazione di
alcun genere, è diventata l'occasione per mettersi in mostra e dibattere davanti al
plastico di una villetta sperduta tra le montagne, con manichini in plastica e freccette
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che indicano gli indizi. I RIS continuano ancora oggi, dopo 7 anni dal delitto, a
effettuare sopralluoghi in una casa in cui sono passate ormai centinaia di persone, in
cui gli stessi consulenti della difesa hanno ricostruito falsi indizi, in cui non può
esserci più un oggetto o una superficie fatta salva da contaminazioni di ogni genere.
Questo è l'aspetto forse più criticabile delle politiche criminali in Italia, i media
riservano un'attenzione quasi morbosa ai fatti di cronaca nera, alle tecniche e
procedure di analisi e indagine, ai personaggi e alle storie che stanno dietro gli episodi
violenti ma manca nella concretezza un reale e serio approccio al crimine, un unico e
standardizzato protocollo di intervento che non faccia ricadere gli operatori nei grossi
e grossolani errori che abbiamo potuto evidenziare anche nel caso Nadalini.
Lo stesso Reparto Indagini Scientifiche di Parma che negli ultimi anni ha ricevuto il
plauso dell'opinione pubblica fino a diventare protagonista di una serie televisiva nella
realtà ha dimostrato come ancora tanto ci sia da fare in Italia per migliorare le tecniche
investigative e dare maggiore competenza agli esperti di criminalistica. Nel solo caso
Nadalini il RIS ha raccolto prove parziali e incomplete, ha indirizzato le indagini e non
ha certamente rispettato il protocollo da utilizzare nell'analisi di una scena del crimine.
Sarebbe quindi auspicabile che chi si occupa di crimine in Italia, dai livelli più bassi
dei singoli operatori fino a chi decide delle politiche criminali, focalizzasse
l'attenzione sulle vere e concrete necessità che vengono dal lavoro sul campo piuttosto
che sull'immagine e sulla pubblicità che si ottiene partecipando a programmi televisivi
e a interviste sui giornali. Se così fosse avremmo reparti realmente addestrati per un
pronto e impeccabile sopralluogo sulla scena del crimine, una certezza delle prove
raccolte che certamente gioverebbe all'immagine della giustizia, già oggi così
penalizzata dal fenomeno della lungaggine dei processi e dell'incertezza della pena
Sarebbe necessaria una figura esterna alle singole pattuglie di pubblica sicurezza con
una competenza tecnica più generale e che potesse valutare nell'insieme l'attività delle
diverse figure, medici legali, biologi, psicologi e psichiatri, forze dell'ordine. Tale
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professionista, intervenendo per primo sulla scena del crimine insieme ai reparti
scientifici, potrebbe avere una visione d'insieme delle prime indagini da effettuare e
coordinare le diverse specialità senza sovrapposizioni o mancanze nell'intervento.
Purtroppo in Italia ancora manca una scelta di intervento di questo tipo ma è quanto di
più auspicabile si possa pensare per poter dare finalmente una svolta alle attività di
pubblica sicurezza e indirizzare la giustizia verso un percorso di crescita che vada
sempre più incontro alle esigenze del cittadino, facendolo sentire parte di un sistema
che affronta con professionalità i pericoli e i soprusi che egli deve sopportare ogni
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CONCLUSIONI E RINGRAZIAMENTI
Non è stato facile accostarsi alla storia di Matteo.
Ciò innanzitutto per la sofferenza che è insita in tutta la vicenda, la sofferenza di una
famiglia che deve affrontare un figlio a suo modo disabile, la sofferenza di combattere
ogni giorno per avere una vita normale e serena.
Poi il dolore di un omicidio, efferato, privo di qualsiasi scopo o giustificazione.
E infine il processo, le accuse, i titoli sui giornali, una vita da ricominciare.
Non è stato facile per la mia formazione giuridica che spera di vedere realizzata nella
realtà la purezza e la correttezza della norma, desidera che ogni tassello vada al posto
che gli è destinato, senza ammettere la possibilità di un errore o di un'incertezza.
Nonostante questo ho intrapreso questo percorso che mi ha arricchito non solo dal
punto di vista professionale ma soprattutto dal punto di vista umano.
Naturalmente non posso sapere qual è la verità sulla fine di Matteo.
Ho esaminato atti, fotografie, testimonianze, riprese video della scena del crimine,
consulenze e perizie. Ho letto l'opinione di grandi specialisti e mi sono confrontata
con il pensiero dei diretti interessati, i genitori di Matteo.
La verità forse appartiene solo a loro, o forse non gli apparterà mai.
L'unica cosa di cui sono certa è che sarebbe bello e importante, per Matteo e per gli
altri come lui, che la giustizia italiana si occupasse con più attenzione delle sue
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Ringrazio Paola e Roberto, per avermi permesso di raccontare la loro storia.
Ringrazio le Avv. Miria Ronchetti e Verena Corradini per avermi fornito il loro aiuto
professionale estremamente prezioso.
Ringrazio la mia famiglia per essermi stata sempre vicina e aver supportato, e
sopportato, questi anni di studio e di lavoro.
Ringrazio Irene, Chiara e Agnese perché ogni giorno mi ricordano l'importanza di
avere ancora ambizioni.
Ringrazio Gian per tutte le volte in cui ha capito e anche per quelle in cui non lo ha
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ISOLA LORENZO, MANCINI FRANCESCO (a cura di), Psicoterapia
cognitiva dell'infanzia e dell'adolescenza - FRANCO ANEGLI, 2003.
BALLERINI A., BARALE F., GALLESE V., UCELLI S., Autismo. L'umanità
nascosta – EINAUDI, 2006.
FRITH UTA, L'autismo - Spiegazione di un enigma – LATERZA, 1996. PIERLUIGI BAIMA BOLLONE, Medicina Legale – GIAPPICHELLI, 2002. GIAN CARLO NIVOLI, Le madri che uccidono il proprio figlio – CAROCCI,
MASTRONARDI - VILLANOVA, Madri che uccidono - NEWTON
COMPTON EDITORI, 2007.
Sitografia
www.carabinieri.it
www.gli-argonauti.org
www.dirittoefamiglia.it
www.wikipedia.org
www.crimescope.com
Source: http://www.istituto-meme.it/pdf/tesi/bucchignoli-2009.pdf
(El Medicamento Homeopático y su Teoría de aplicación) Material que recibe: CD-ROM con Curso completo, y CD´s que incluyen dos software de Homeopatía Francesa de regalo (en español), artículos formativos para la clínica homeopática y documentos de texto de Materia Médica Homeopática (4500 páginas) herramienta útil de consulta para facilitar la búsqueda del
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