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Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie Erboristiche CANNABIS E CANNABINOIDI:
UN APPROCCIO FITOTERAPICO PER LA
SCLEROSI MULTIPLA
Relatore: Prof. Franco Maggi Correlatore: Prof. Mario Dell'Agli Tesi di laurea di: Giulia Cortese Matricola: 784816 Anno Accademico 2013/2014 1. Introduzione

Le patologie autoimmuni rappresentano una problematica di enorme rilievo ai giorni
nostri. Il loro decorso è spesso molto rapido e le cause di natura idiopatica ne impediscono la prevenzione. La sclerosi multipla appartiene a questo ceppo: classificata come malattia autoimmune cronica neurodegenerativa demielinizzante, affligge circa 2,5 milioni di persone al mondo. Arrestarne il decorso, inibirne la genesi ed alleviarne i sintomi sono i principali obiettivi della ricerca. Proprio quest'ultima, negli ultimi decenni sta conseguendo nuove scoperte, soprattutto per quanto riguarda l'approccio fitoterapico mediato dalla Cannabis e dalla sinergia dei suoi principi attivi, primi fra tutti i cannabinoidi. Mai come ora l'attenzione mediatica e della Scienza è rivolta al binomio Cannabis- Sclerosi Multipla, alla luce dei numerosi successi terapeutici conseguiti. In questo elaborato di tesi si è voluto dimostrare come un approccio fitoterapico, mediante l'impiego di Cannabis, permetta di conseguire risultati terapeutici paragonabili ed in alcuni casi migliori, rispetto alla terapia farmacologica convenzionale e come essa possa contribuire al miglioramento della qualità di vita di coloro che soffrono di sclerosi multipla. Dopo una breve panoramica sulla patologia ed una descrizione relativa alla botanica della Cannabis, verrà analizzato l'importante ruolo esercitato dai recettori dei cannabinoidi nella neuroprotezione. In seguito, con la finalità di saggiare le importanti attività terapeutiche di cannabinoidi naturali e sintetici, saranno riportate diverse sperimentazioni eseguite in laboratorio utilizzando modelli murini di sclerosi multipla. Seguiranno sperimentazioni cliniche volte a dimostrare l'impiego dei due principali attivi della pianta, ∆-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo, nel trattamento sintomatico della patologia. L'attenzione sarà poi rivolta nei confronti di un prodotto naturale a base di infiorescenze di Cannabis e la sua azione terapeutica verrà documentata in due casi clinici. Da ultimo, verrà riportata l'intervista condotta, lo scorso settembre, con la collaborazione di L., una donna affetta da sclerosi multipla che da tre anni può godere dei benefici terapeutici derivanti dalla Cannabis. 2. La sclerosi multipla
La sclerosi multipla (SM) è una patologia infiammatoria autoimmune che colpisce il sistema nervoso. Nel mondo ne soffrono più di 3 milioni di persone, di cui 600.000 in Europa e circa 72.000 in Italia. La patologia non è distribuita uniformemente nelle varie aree geografiche: più diffusa nelle zone temperate, come Nord Europa, Stati Uniti, Nuova Zelanda ed Australia del Sud, meno presente, invece, nei paesi vicini all'Equatore. (Figura 1) L'esordio della malattia può avvenire a tutte le età, tuttavia è spesso diagnosticata attorno ai 20–40 anni ed il sesso femminile ne è maggiormente colpito. Nonostante le cause siano ancora in parte sconosciute, la ricerca sta conoscendo grandi progressi al fine di permettere diagnosi e trattamenti precoci per garantire una buona qualità di vita ai pazienti affetti e minori ripercussioni sul loro piano psicologico e sociale (Rocca G. 2011). Figura 1: distribuzione globale della SM 2.1 Il sistema nervoso centrale

Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito da encefalo e midollo spinale (Figura 2).
Figura 2: struttura del SNC L'encefalo si compone di cervello, cervelletto (fondamentale per la regolazione del tono muscolare, la pianificazione e la coordinazione del movimento) e tronco encefalico (sede di controllo dei riflessi, del respiro, della temperatura corporea e della circolazione sanguigna). Il midollo spinale è invece la porzione extracranica del SNC e dà origine, con i nervi spinali, al sistema nervoso periferico (SNP). Quest'ultimo si divide a sua volta in sensoriale e motorio. I neuroni, unità base del SNC, sono cellule eccitabili capaci di rispondere a stimoli fisici e chimici, produrre, condurre e trasmettere segnali ad altre cellule mediante sinapsi (dispositivi giunzionali specifici). L'ultrastruttura del neurone presenta: un corpo cellulare, dei dendriti ed un assone. Il primo contiene il nucleo rotondeggiante; i secondi (espansioni del corpo cellulare) ricevono i segnali provenienti o da altri neuroni o dall'ambiente esterno; il terzo (prende origine dal restringimento del corpo cellulare) conduce gli impulsi nervosi. L'assone presenta una particolare struttura in quanto è ricoperto da una guaina mielinica o sostanza bianca costituita da cellule gliali (cellule di Schwann nel SNP ed oligodendrociti nel SNC). La distribuzione della mielina sull'assone non è uniforme ma ha delle zone di discontinuità di 1 µm ogni 1-2 mm, dette nodi di Ranvier. Nelle fibre mieliniche, il potenziale d'azione si genera solo nei nodi di Ranvier poichè i tratti internodali sono incapaci di produrlo (data l'elevatissima resistenza al flusso ionico delle porzioni mieliniche) e le correnti che attraversano la membrana si concentrano tutte nei tratti amielinici. Di conseguenza, il potenziale si propaga nella fibra mielinica "saltando" da un nodo all'altro, dando così luogo ad una conduzione saltatoria (Figura 3). Figura 3: ultrastruttura neuronale e "conduzione saltatoria" Una volta giunto alla terminazione assonale, l'impulso nervoso si propaga e determina la liberazione nello spazio intercellulare, presente tra due neuroni vicini, di un numero definito di molecole di neurotrasmettitore le quali, a loro volta, modificano l'attività elettrica del neurone successivo. Funzioni principali della guaina mielinica sono pertanto: isolare per impedire l'eccitazione dei neuroni adiacenti ed aumentare la velocità di conduzione dell'impulso (Ambrosi G., Cantino D. et al. 2001; Caretta A., Mucignat C. et al. 2008). 2.2 L'autoimmunità nella SM
Il sistema immunitario si compone di numerose tipologie di cellule finalizzate alla difesa dell'organismo dalle infezioni. La strategia di protezione è relativamente semplice: alcune cellule immunitarie, i macrofagi, riconoscono gli antigeni in base alla loro struttura e li presentano alle altre cellule immunitarie. Le cellule deputate alla risposta infiammatoria sono i linfociti e vengono prodotti nel Alcuni linfociti immaturi continuano a svilupparsi nel midollo osseo e si specializzano diventando linfociti B (o cellule B), altri passano dal midollo osseo al Timo, dove si specializzano, diventando linfociti T (o cellule T). La presenza di linfociti auto-reattivi è fisiologica, ma generalmente è soggetta al controllo da parte del sistema immunitario. Nei soggetti affetti da SM, si verifica però una risposta immunitaria idiopatica nei confronti della guaina mielinica, a seguito della quale le cellule immunitarie liberano agenti lesivi, primo fra tutti l'ossido nitrico, volti a danneggiare la sostanza bianca. Oltre a distruggere la mielina, vengono deteriorati anche gli oligodendrociti (coinvolti nella produzione di mielina sugli assoni). Una volta che gli assoni sono demielinizzati, restano nudi e cessa la possibilità di condurre l'impulso nervoso attraverso i nodi. In seguito alla perdita di mielina, le zone colpite, circoscritte, appaiono indurite e simili a cicatrici (da qui il termine sclerosi). L'attributo multipla deriva invece dalla presenza di numerosi focolai di demielinizzazione irregolarmente disseminati su tutta la sostanza bianca del SNC (risorsa elettronica 1) (Figura 4). Figura 4: cervello di un individuo sano (sinistra) e quello di un paziente affetto da SM (destra). Si nota un ampliamento delle zone scure nella figura a destra, testimonianza della distruzione della mielina cerebrale. 2.3 Aspetti clinici della SM

I sintomi della SM variano in base alle zone del cervello e del midollo spinale affette da demielinizzazione, causa del rallentamento degli impulsi nervosi sulle vie afferenti ed efferenti. Se in un individuo sano la conduzione dell'impulso è eseguita con una velocità pari a 100 m/s, in un paziente affetto da SM essa è ridotta fino a 5 m/s. I sintomi possono manifestarsi in modo acuto o subacuto e regredire dopo alcuni giorni o settimane per poi ripresentarsi in momenti successivi: le ricadute o poussés. Dal momento che l'attacco alla mielina non è continuo, ci possono essere periodi in cui la malattia appare improvvisamente aggressiva ed altri di quiete. Ogni ricaduta può presentarsi in maniera diversa, comportando danni permanenti o di varia gravità. I sintomi della SM possono essere suddivisi in tre categorie:  sintomi primari, che derivano direttamente dalla demielinizzazione: debolezza, intorpidimento, tremore, disfunzioni vescicali o ipovisione;  sintomi secondari, che insorgono come complicanze dei primari: le disfunzioni vescicali, per esempio, potrebbero portare a continue infiammazioni del tratto urinario oppure la paralisi può condurre alla formazione di piaghe da decubito. Nonostante i sintomi secondari possano essere curati, resta comunque fondamentale riuscire ad evitarli, trattando in maniera adeguata i primari;  sintomi terziari sono le ripercussioni sociali, professionali e psicologiche dei sintomi primari e secondari. La perdita di autonomia può significare dover rinunciare ad esercitare la propria professione, la tensione a cui è sottoposto un malato di SM può condurre al divorzio, la depressione è purtroppo comune in questa patologia. Per trattare i sintomi terziari è necessario un sostegno psicologico da parte di enti della sanità pubblica, assistenti sociali e psicologi (risorsa elettronica 2). 2.3.1 Disturbi visivi

Quelli visivi sono i sintomi maggiormente manifesti all'esordio.
La NORB (Neurite Ottica Retrobulbare) è causata dalla demielinizzazione del nervo ottico,
situato posteriormente al bulbo oculare, con compromissione della normale conduzione di impulsi nervosi. Conseguenze dirette sono offuscamento della vista, dolore perioculare o al movimento bulbare. A volte la NORB può causare degli scotomi (punti ciechi al centro del campo visivo). Il deficit visivo raggiunge il picco in alcuni giorni per poi scomparire progressivamente nell'arco di 8-12 settimane. Appartengono ai sintomi visivi anche la diplopia (visione doppia) causata dall'infiammazione dei nervi oculomotori che regolano la coordinazione dei muscoli degli occhi e il nistagmo (movimento involontario dei bulbi oculari) (risorsa elettronica 1). 2.3.2 Disturbi sensoriali
Formicolii e sensazioni di bruciore sono spesso accompagnati da parestesie, condizioni di alterata percezione della sensibilità. L'alterazione riguarda sia la durata sia la dislocazione degli stimoli sensitivi. Le zone colpite possono essere un arto o entrambi gli arti di un lato del corpo, il volto, il cuoio capelluto, il dorso o l'apparato genitale. Si manifestano anche ipoestesie (ridotta sensibilità) oppure iperestesie (eccessiva sensibilità) al tatto, al calore, al freddo o al dolore (risorsa elettronica 3).

2.3.3 Disturbi motori e del coordinamento


Come è stato precedentemente spiegato, il cervelletto è la sede dei controlli motori e del
tono muscolare. Risulta dunque chiaro come la presenza di placche demielinizzate sul cervelletto e sulle fibre che da esso si dipartono possa ripercuotersi negativamente sul coordinamento, causando atassia, tremore intenzionale, nistagmo cerebellare e disartria. L'atassia è l'incapacità di avere un'andatura stabile ed in equilibrio. Il soggetto risulta quindi avere un'andatura "da ubriaco" e difficoltà nel fermarsi per cambiare direzione. Il tremore intenzionale si manifesta quando il soggetto compie un movimento intenzionale, come quello di prendere un oggetto: l'arto non riesce ad arrestare il movimento sull'oggetto ma continua ad oscillare a destra e sinistra prima di afferrarlo. Ciò a causa dell'incapacità del cervelletto di smorzare un movimento. Il nistagmo cerebellare consiste nel tremore dei bulbi oculari soprattutto nel momento in cui il soggetto tenta di fissare un oggetto in particolare. E' spesso seguito da nausea e perdita di equilibrio. Infine la disartria è un disturbo della parola dovuto all'inefficiente coordinazione dei muscoli della laringe, della bocca e dell'apparato respiratorio. Conseguenze sono: necessità di scandire le parole, cambiamento nella pronuncia, balbuzie e, nei casi più gravi, perdita della parola (risorsa elettronica 4). 2.3.4 La fatica
Secondo le linee guida dell'MSCCP (Multiple Sclerosis Council for Clinical Practice Guideline), il termine fatica definisce una mancanza soggettiva di energia fisica e/o mentale percepita dall'individuo oppure dal caregiver (la persona che assiste o vive abitualmente a fianco di chi soffre di SM). La SM si associa a due diversi tipi di fatica: la fatica primaria che comporta stanchezza persistente e che preclude ogni minima tipologia di attività dovuta alla patologia in sé e la fatica secondaria che, invece, emerge anche solo dopo alcuni minuti di semplice attività, dovuta a condizioni fisiologiche peggiorate dalla malattia. Entrambe possono essere dovute all'impossibilità di regolare gli impulsi nervosi. E' inoltre possibile distinguere la fatica cronica presente in ogni momento della giornata, dalla acuta che si manifesta con un improvviso e notevole aumento della stanchezza limitante
le normali attività quotidiane (risorsa elettronica 5).

2.3.5 Disturbi cognitivi

Contrariamente ai disturbi visivi, quelli cognitivi sono i più tardivi e si manifestano nel decorso clinico nel 40% dei casi. Generalmente essi si presentano, anche solo in forma lieve dopo anni dall'esordio della patologia e, soltanto nel 5-10% dei casi, sono così gravi da compromettere le attività quotidiane e lavorative. Nella maggior parte dei casi si tratta di disturbi della memoria, della concettualizzazione astratta, dell'attenzione e della concentrazione. Un problema cognitivo particolarmente fastidioso è invece la difficoltà di trovare i vocaboli adatti (avere la parola "sulla punta della lingua") (risorsa elettronica 6). A tutti i disturbi menzionati si possono aggiungere disturbi neuro-urologici, sessuali e, ultimi ma non meno importanti, quelli psicologici. 2.4 Il decorso della patologia

In base alla tipologia di decorso clinico si individuano diverse tipologie di SM. Non è
tuttavia possibile classificare la categoria di SM in base alle prime ricadute o al primo manifestarsi dei sintomi. Questo rende la patologia ancora più imprevedibile, polimorfa ed incredibilmente mutevole. In alcuni casi può manifestarsi una grande disabilità già in seguito al primo attacco, in altri, i sintomi possono rimanere latenti per decenni dopo la prima remissione. Sembra che l'andamento nei primi 5 anni sia indicativo dell'andamento successivo. Per necessità medica sono state classificate alcune forme principali di SM, pur tenendo conto della grande variabilità del decorso patologico. Si riconoscono diverse forme (Figura 5):  recidivante–remittente (RR): interessa il 40% dei malati e questi, in seguito alla ricaduta, mostrano segni di pieno recupero o comunque gli esiti che permangono sono di lieve entità. La diagnosi iniziale di SM avviene nell'85% dei casi come RR. Stress e traumi di varia entità possono portare a maggiori ricadute;  progressiva secondaria (PS): nella quale, a seguito di numerose ricadute, i recuperi sono sempre più incompleti e si assiste ad una progressione dei deficit anche nei periodi che intercorrono tra due poussés. Nella maggioranza delle SM (90% dei casi) dopo 10-15 anni le forme RR si evolvono in PS;  progressiva primaria (PP): la progressione dei sintomi è continua ma lenta sin dalla diagnosi. In questa fase non si distinguono recidive o remissioni. Interessa solamente il 10% dei soggetti affetti da SM;  recidivante–progressiva (RP): gli individui colpiti peggiorano costantemente sin dall'inizio, con chiari attacchi di peggioramento sul versante neurologico. Dopo le ricadute può comunque verificarsi una leggera ripresa, tuttavia l'aggravamento è inarrestabile e privo di remissioni. In contrasto con la concezione che la malattia conduca ad una repentina ed inevitabile disabilità, in alcuni casi (10%) la patologia può avere un decorso benigno: dopo 15 anni la patologia ha condotto "solamente" ad una lieve disabilità. Più drammatica è invece la SM a decorso maligno (5% ) nella quale il malato raggiunge una grave disabilità in poche settimane o mesi. La maggior parte dei pazienti presenta pertanto una gravità intermedia tra questi due Figura 5: schema dei quattro tipi di decorso patologico 2.5 La terapia farmacologica

Attualmente non è stata ancora trovata una terapia in grado di curare in maniera definitiva
Dal momento che si tratta di una patologia che presenta soprattutto delle remissioni- recidive spontanee è difficile determinare gli effetti terapeutici delle sperimentazioni inoltre, la sua natura idiopatica costituisce un forte limite a nuove prospettive terapeutiche. La FDA (Food and Drug Administration) ha riconosciuto alcuni farmaci che sembrano concorrere a ridurre il decorso della patologia. La terapia per la SM persegue i principali obiettivi di:  ridurre la gravità degli attacchi, al fine di ridurre il deficit motorio e neurologico che ne  ridurre la frequenza delle ricadute;  rallentare la progressione della patologia Finalità primaria nel trattamento è prevenire i danni alla mielina ed agli assoni neuronali che si manifestano a partire già dai primi attacchi. Per conseguire i primi due obiettivi sono spesso impiegati i corticosteroidi. Con lo scopo di ridurne la progressione, vengono invece utilizzati farmaci immunomodulanti, immunosoppressori ed anticorpi monoclonali. I farmaci steroidei (corticosteroidi) sono somministrati per alcuni giorni dal momento in cui si verifica un attacco, in modo da ridurne l'intensità e gli esiti residui. La loro azione è abbastanza rapida seppur non molto duratura. Molto impiegato è il cortisone (Medrol®, Solu-Medrol®) il cui attivo è il metilprednisolone. Il meccanismo d'azione di questo attivo è basato sulla conduzione ad una linfocitopenia con riduzione del numero di linfociti B e della loro accessibilità ai siti infiammatori, seguite da un successivo decremento del numero di immunoglobuline G (IgG) sintetizzate nelle cellule del SNC. Ciò potrebbe condurre ad una riduzione dell'anormale aumentata permeazione della barriera ematoencefalica (Durelli L., Cocito D. et al. 1986). Tra gli immunomodulanti riconosciuti ed autorizzati dalla FDA troviamo:  il glatiramer acetato (nome commerciale Copaxone®) costituito da quattro aminoacidi: glutamina, lisina, alanina e tiroxina, che simulano la struttura di una proteina della mielina. Grazie alla propria struttura, il glatiramer attira a sé gli anticorpi in maniera tale da proteggere gli assoni neuronali. E' stato dimostrato che le cellule immunitarie siano in grado di reagire con il glatiramer in maniera tale da formare delle molecole antinfiammatorie e neuroprotettive.  IFN-β 1a (Avonex®, REBIF 22) ed IFN-β 1b (Betaferon®) sono i maggiormente prescritti. Benché i meccanismi con cui agiscono siano ancora in parte sconosciuti, alcuni studi attribuiscono a queste proteine di sintesi attività quali: riduzione dell'attività dei linfociti T, arresto della produzione di citochine pro-infiammatorie, prevenzione della migrazione di molecole infiammatorie attraverso la barriera ematoencefalica e riparo del danno neurologico grazie alla differenziazione di cellule staminali in oligodendrociti (risorsa elettronica 8). Il Novantrone® (attivo è il mitoxantrone) ed il Methotrexate® (attivo è il metotressato sale sodico) sono immunosoppressori autorizzati per il trattamento della sclerosi a placche. Il primo, somministrato per via endovenosa, agisce inibendo l'attività dei linfociti T e B e la proliferazione macrofagica. E' indicato al fine di diminuire la disabilità neurologica e la frequenza delle ricadute in coloro che soffrono di SM progressiva secondaria (SMPS), SM recidivante progressiva (SMRP) e SM recidivante-remittente in fase di peggioramento (SMRR) (risorsa elettronica 9). Il secondo, è un potente antagonista dell' acido folico ed agisce inibendo la diidrofolato reduttasi (DHFR) umana, enzima che interviene nella sintesi di macromolecole essenziali alla vita cellulare, quali DNA e RNA. Il suo meccanismo di azione nell'ambito delle patologie autoimmuni, è rappresentato dalla sua capacità di condurre ad un incremento del rapporto linfociti T helper/linfociti T suppressor. Gli anticorpi monoclonali costituiscono una nuova frontiera nella terapia delle malattie immunitarie. Si tratta di molecole prodotte con sofisticate tecniche di ingegneria biomedica in grado di legare un bersaglio specifico e modificare di conseguenza la risposta immunitaria. Numerose sono le molecole in fase di sperimentazione ma solo una è stata autorizzata dal Ministero della Salute e dall'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco): il natalizumab, attivo del farmaco Tysabri®. Il natalizumab è un anticorpo diretto verso una particolare integrina (proteina che permette l'interazione cellula–cellula o cellula–matrice extracellulare) ed agisce impedendo la estravasazione del linfocita T verso la sede dell'infiammazione. Inibendo l'attività dell'integrina, provoca in primis un blocco dell'adesione del linfocita all'endotelio vasale e successivamente, impedisce l'interazione tra linfocita e APC (Antigen Presenting Cells). La risposta immunitaria è quindi bloccata e il linfocita T va incontro ad apoptosi (risorsa elettronica 10). In base a quanto riportato sul sito dell'AIFA: il natalizumab è "indicato come monoterapia disease–modifying nella sclerosi multipla recidivante-remittente (RR) ad elevata attività"
(risorsa elettronica 11)

2.5.1 Effetti collaterali della terapia farmacologica
I più comuni effetti collaterali da corticosteroidi sono:  sintomi gastrointestinali (molto spesso bruciore di stomaco);  aumento ponderale;  edema;  dolore muscoloscheletrico;  insonnia;  disforia o ansia;  ipertensione;  palpitazioni (risorsa elettronica 12). In seguito a somministrazione di immunomodulanti ed immunosoppressori si riscontrano:  rush cutaneo nella sede dell'iniezione;  nausea;  debolezza;  dolore non specifico toracico;  emicrania;  depressione o ansia (risorsa elettronica 13);  oligomenorrea o amenorrea;  ipoleucocitemia;  congiuntivite e anomalie della vista;  dolore auricolare (risorsa elettronica 14); Infine, la somministrazione di anticorpi monoclonali può provocare:  reazioni allergiche gravi;  infezioni alle vie urinarie ed aeree;  alterazione di parametri ematochimici;  alterata funzionalità epatica;  cefalea;  astenia;  vomito ed orticaria (risorsa elettronica 15). 3. La Cannabis
Nessuna pianta è stata mai oggetto di controversie né ha mai diviso il pensiero di ricercatori mondiali quanto la Cannabis. L'interesse nei suoi confronti, da sempre notevole, è aumentato quando, due decadi fa, sono stati scoperti i cannabinoidi endogeni (il primo nel 1992). In seguito a tale evento, si è appreso che moltissime funzioni fisiologiche, da quelle del sistema nervoso a quelle dell'immunitario, sono controllate dal sistema degli endocannabinoidi. La Cannabis rappresenta un' importante risorsa per innumerevoli ragioni. Come pianta da fibra fornisce una delle più resistenti fibre di origine naturale che in passato veniva utilizzata per corde, vele per la navigazione ed addirittura per i primi jeans. L'olio di semi di canapa, il cui impiego è in crescita negli ultimi tempi, rappresenta inoltre un'ottima risorsa per il suo equilibrio in acidi grassi ω-3 ed ω-6, da utilizzare in alternativa all'olio di pesce ed anche come antiossidante terapeutico. L'uso medico della Cannabis ha una storia molto antica che parte addirittura dall'epoca Assira (2000 a.C). Oggi purtroppo, la terapia farmacologica, l'assenza di controlli e la pressione socio-politica hanno portato ad un declino dell'utilizzo di questa pianta ai fini terapeutici. La bioattività della Cannabis non è comunque discutibile: l'effetto psicoattivo del ∆-9- tetraidrocannabinolo, spesso abbreviato a THC, è uno dei maggiori studiati al mondo. L'attenzione negli anni si è dunque spostata dalla pianta nel suo insieme, ai diversi componenti attivi in essa presenti: i fitocannabinoidi, di cui sono state individuate circa 70 tipologie. La Cannabis ha la potenzialità di fornire molte ed utili terapie, ma questo è drammaticamente impedito dalla sua classificazione come prodotto d'abuso. Attività rilevanti biologicamente, osservate in laboratorio e dimostrate con studi clinici, danno una maggior garanzia del futuro della Cannabis come terapia rivolta a numerose patologie (Hazekamp A. Dr. 2008-2009). 3.1 La botanica della Cannabis
La pianta è un'angiosperma dicotiledone dioica (organi ♀ e ♂ sono presenti su piante diverse), appartenente all' ordine delle Urticales ed alla famiglia delle Cannabaceae. Oggi il convincimento generale è che si tratti di una specie unica. La classificazione della Cannabis sativa è stata attribuita da Linneo nel 1753, quella della Cannabis indica è dovuta a Lamarck nel 1783, ma oggi è considerata un errore di classificazione. Le varie definizioni di indiana o altro sono dunque del tutto erronee. Studi condotti al fine di differenziare queste due specie hanno portato ad evidenziare l'importanza del clima nel determinare la presenza di resina: solo nei climi caldi crescono piante che producono abbondante resina. I semi di queste piante, coltivati nei climi freddi, o in condizioni che non garantiscano temperatura ed umidità idonee, danno piante che, in poco tempo, perdono la capacità di produrre resina. Nel 1924, il botanico sovietico D.E Janichewsky classificò la Cannaibs in tre diverse  sativa, alta fino a tre metri e dalla forma piramidale;  indica, più bassa e con un maggior numero di rami e foglie;  ruderalis, alta al massimo mezzo metro e priva di ramificazioni Tuttavia, nel 1976 due canadesi Small e Cronquist, hanno confermato la tesi di Linneo proponendo una suddivisione che prevede una sola specie di Cannabis sativa con due sottospecie (risorsa elettronica 16):  (subs.) indica, tipica dei paesi settentrionali, utilizzata per ottenere fibra ed olio;  (subs.) sativa, tipica dei paesi caldi e ricca in resina e THC Quest'ultima classificazione risulta essere quella seguita oggi. La pianta, originaria dell'Asia centrale ed occidentale, ha fusti eretti di 2-3 metri, più o meno ramificati ed ispidi. Presenta foglie per lo più palmato-composte con 5-7 segmenti ineguali, lanceolati, ellittici e dentati. Al microscopio, sulle foglie, sono visibili dei peli di rivestimento unicellulari, ricurvi, alcuni dei quali contengono cistoliti (concrezioni di carbonato di calcio). Sono inoltre presenti anche peli ghiandolari costituiti da uno stipite pluricellulare e da una testa anch'essa pluricellulare. Queste ghiandole sono poche sulle foglie e molto numerose sulle brattee delle infiorescenze femminili. I fiori maschili sono riuniti in racemi ascellari, con 5 sepali e 5 stami; quelli femminili in spighe glomerulate e disposti a coppie all'ascella di una brattea (Figura 6). Figura 6: infiorescenze femminili Il frutto è una noce di 2,5-3,5 mm di lunghezza, liscia e grigiastra. La resina (Figura 7), secreta dalla ghiandole pilifere, dette tricomi, si ottiene sfregando i fiori e raschiando via un solido amorfo di colore scuro che costituisce la resina di canapa. La maggior parte di quest'ultima, contenente l'attivo ∆-9 tetraidrocannabinolo (THC), è prodotta dai fiori femminili (Cannabis flos). In base alla capacità di produrre THC o CBD (cannabidiolo, altro fitocannabinoide) è possibile distinguere tre tipi di canapa:  a forte tenore di THC (>1%) e priva di CBD;  a basso tenore di THC (<0,3%) ed alto tenore di CBD. E' la pianta da fibra. In genere, nelle piante selezionate per la fibra il contenuto in THC è inferiore allo 0,1%;  a forte tenore sia in THC che in CBD. Esistono diverse forme di preparazione clandestine della canapa che variano a seconda di paesi, utilizzatori o altro. Si riconoscono preparazioni con tenore di THC piuttosto modesto (2-6%), costituite da sommità fiorite, più o meno mescolate a foglie, talvolta anche a fusti e semi, che spesso vengono fumate insieme al tabacco (marijuana). Sono anche preparate forme costituite di sola resina ad alto contenuto di THC (5-20%), nel linguaggio corrente sono definite haschish. Da ultimo, esistono forme a THC molto alto (>50%) conosciute come haschish liquido (MauginiE., Maleci Bini L. et al. 2011). Figura 7: ingrandimento di ghiandole pilifere contenenti la resina A scopo terapeutico, vengono coltivate diverse piante ibride al fine di sfruttarne il fitocomplesso ottenuto. 3.2 I fitocannabinoidi: sintesi ed attività
Nella Cannabis non esiste un solo principio attivo, bensì un fitocomplesso le cui attività biologiche, dovute alla sinergia dei componenti, non sono riconducibili ad un costituente singolo. Sono stati evidenziati più di 400 composti differenti: un olio essenziale, flavonoidi, zuccheri, acidi grassi, composti fenolici, diidrostilbeni, composti azotati. E' evidente oramai che i componenti secondari della Cannabis e dei suoi estratti possano ridurre l'ansia (potenzialmente causata dal THC), contrastare i deficit colinergici e sollecitare l' immunosoppressione. I terpeni (circa 140) ed i flavonoidi, per esempio, possono aumentare il flusso sanguigno cerebrale, stimolare l'attività corticale, debellare i patogeni respiratori e, da ultimo, agire da antinfiammatori (Mc Partland J. M., Russo E. B. 2001). La Cannabis contiene un elevato numero di terpeni presenti in molte altre piante, per citarne alcuni: eugenolo, limonene, mircene, umulene, ocimene, terpinolene, pinene, cariofillene ed elemene. Per quanto concerne i flavonoidi, anch'essi molto numerosi, i più noti sono: apigenina, luteolina, quercetina, kampferolo, cannaflavina A e B, queste ultime due sono presenti solamente nella Cannabis. I più interessanti e caratteristici principi attivi rimangono comunque i cannabinoidi, presenti sulle foglie e sulle brattee delle infiorescenze femminili dove sono site le ghiandole contenenti la resina. Chimicamente, i cannabinoidi sono tutti terpenoidi, cioè molecole apolari caratterizzate da bassissima solubilità in acqua. La loro azione è basata sull'interazione con dei recettori situati in varie regioni dell'organismo, dai neuroni, all'endotelio vasale, al sistema immunitario e di cui si parlerà in seguito. Sono stati individuati circa 70 tipi di cannabinoidi naturali differenti, detti fitocannabinoidi, tutti originati a partire dal cannabigerolo (CBG). Quest'ultimo si forma per mezzo della combinazione di un elemento terpenico, il geranil pirofosfato (GPP), e di un fenolo di tipo chetidico, l'olivetolo. Va' precisato che i cannabinoidi vengono sintetizzati dal metabolismo secondario della pianta come acidi inattivi con gruppo carbossilico in posizione 2 o 4 del benzopirano e coesistono con piccole quantità di prodotti di decarbossilazione spontanea nei quali si trasformano rapidamente per riscaldamento. Si può dire quindi che la pianta li sintetizzi in forma inattiva. E' grazie alla decarbossilazione termica che, per esempio, si giunge ad ottenere ∆-9-THC in forma attiva da ∆-9-THCA inattivo (delta-9–tetraidrocannabinolo acido). Per questa ragione i componenti attivi della Cannabis sono tre volte più potenti se la droga è inalata (o riscaldata) piuttosto che assunta per os (Hazekamp A. Dr. 2008-2009). Precursore del THC è il CBD (cannabidiolo) ottenuto per ossidazione benzilica dal cannabigerolo. Il CBD (Figura 8), privo di effetto psicotropo e con bassa attività per i recettori CB1 e CB2, è un miorilassante, sedativo, ansiolitico, antinfiammatorio, antiepilettico ed antiasmatico (Angelucci A., Averni A. 2002). Il CBD agisce sull'intensità e sulla durata dell'effetto del THC poiché blocca l'enzima che lo trasforma in idrossiderivato non psicoattivo e ne migliora la farmacocinetica. Inoltre, migliora l'attività antinfiammatoria ed analgesica del THC (Longo R. 2004). Il rapporto CBD/THC è dunque molto importante poiché determina l'azione psicoattiva della pianta di Cannabis con la quale si ha a che fare ed in genere può alterare notevolmente gli effetti della droga. Figura 8: struttura del CBD Il THC (Figura 9) è stato il primo attivo ad essere isolato (Gaoni, Mechoulam, 1964), quello a proposito del quale sono stati condotti più studi ed al quale è attribuita la maggioranza degli effetti terapeutici noti (Angelucci L., Averni A. et al. 2002). Questa molecola è liposolubile, per cui riesce a penetrare la barriera ematoencefalica e possiede elevata affinità sia per i recettori CB1 sia per i CB2. E' stata dimostrata la sua potenzialità di aumentare il turnover di DOPA e NA (noradrenalina), aumentandone il rilascio ed ostacolandone debolmente il re-uptake. A livello sistemico ha azione antidolorifica, febbrifuga ed è noto anche per avere azione tachicardica (Pierini G., Brunetti G. 2014). Figura 9: struttura del THC Il THC è instabile all'aria ed il suo prodotto di degradazione è il CBN (cannabinolo; figura 10) sedativo, anticonvulsivante ed anti-infiammatorio (Hazekamp A. Dr. 2008-2009). Questo prodotto di degradazione è direttamente proporzionale all'età della pianta, di conseguenza offre una chiara indicazione sulla qualità di Cannabis utilizzata. Figura 10: struttura del CBN Varietà differenti di Cannabis possono avere differenti concentrazioni di singoli cannabinoidi. Le moderne tecniche di coltivazione consentono di selezionare varietà con concentrazioni standard di principi attivi. Di seguito sono riportati i nomi dei cannabinoidi scoperti fino ad ora, molti dei quali privi di effetti psicotropi:  il Δ9-tetraidrocannabinolo (Δ9-THC, THC)  il Δ8-tetraidrocannabinolo (Δ8-THC)  il cannabidiolo (CBD)  il cannabinolo (CBN)  il cannabigerolo (CBG)  la tetraidrocannabivarina (THCV)  il cannabicromene (CBC)  il cannabiciclolo (CBL)  il cannabielsoino (CBE)
 il cannabinidiolo (CBND)
 il cannabitriolo (CBT)
 la cannabivarina (CBV)
 la cannabidivarina (CBDV)
 la cannabicromevarina (CBCV)
 la cannabigerovarina (CBGV)
 il cannabigerolomonoetiletere (CBGM)


3.3 Recettori dei cannabinoidi

Quelli per i cannabinoidi sono una classe di recettori associati alle proteine G (GPCR: G-
protein Coupled Receptor) e modulano la neurotrasmissione regolando i canali di potassio e calcio. La loro caratteristica strutturale è rappresentata dalle 7 α-eliche transmembrana. Le proteine G sono intermedi nell'organizzazione gerarchica tra recettori ed enzimi Queste proteine si costituiscono di tre sub unità (α,β e γ). Alla prima subunità, dotata di attività enzimatica e caratteristica della selettività del recettore, si lega il GTP che viene convertito a GDP. Le subunità β e γ, le quali determinano la specificità recettoriale, formano un unico complesso. Quando un agonista (in questo caso il cannabinoide) si lega al recettore, si ha un cambiamento conformazionale di quest'ultimo, con successivo legame del trimero della proteina G. In seguito, si assiste al distacco del GDP legato ad α e sua successiva trasformazione a GTP. La forma α-GTP consiste nella forma attivata della proteina che è così in grado di avviare l'attività enzimatica. Il meccanismo di azione dell'agonista può attivare molte proteine G generando un messaggio amplificato. Il processo termina con l'idrolisi da GTP a GDP da parte della subunità α. L'α- GDP che si forma, si lega al dimero βγ completando così il ciclo (Figura11). Dal momento che le subunità α e βγ possono essere differenti tra loro, vengono individuate quattro tipologie di proteine G: Gs, Gq, G11, G12 e Gi/o. Queste ultime sono quelle associate ai recettori cannabinoidi. Le proteine Gi/o bloccano le vie cAMP dipendenti, inibendo l'attività dell'adenilatociclasi e riducendo la produzione di cAMP dall'ATP. Ciò a sua volta conduce ad una diminuzione dell'attività della proteina chinasi cAMP dipendente (PKA). Le Go, situate per la maggior parte nel SNC, sono in grado di modulare direttamente i canali ionici (K+ e Ca2+) senza l'intervento di cAMP in maniera più efficiente delle Gi che sono invece ubiquitarie (Birnbaumer L. 2007). Figura 11: i cannabinoidi legandosi al recettore innescano effetti cellulari
3.3.1 Localizzazione ed attività recettoriale

Il primo recettore scoperto è stato, nel 1990, il CB1 (Cannabinoid-Binding Receptor
type1). I recettori CB1 sono metabotropici, cioè la loro azione è mediata da secondi messaggeri e sono prevalentemente localizzati nel sistema nervoso centrale (SNC). Per tale ragione, questo tipo viene spesso definito recettore centrale, anche se ne sono stati ritrovati alcuni in tessuti periferici come polmoni, fegato, tessuto adiposo e reni. I CB1 rimangono tuttavia i maggiormente espressi a livello cerebrale (Hazekamp A. Dr. 2008-2009). Le zone centrali più ricche di CB1 sono quelle deputate al controllo del movimento (gangli basali e cervelletto). Altre aree presentanti un buon numero di recettori di tipo 1 sono il sistema limbico (ippocampo, amigdala ed ipotalamo), coinvolto nei processi mnestici e di controllo di stati emozionali quali rabbia, desiderio e paura ed alcune regioni del midollo spinale coinvolte nella modulazione del dolore. Ridotta è invece la loro espressione a livello del tronco encefalico, il che può spiegare la mancanza di mortalità acuta Cannabis-correlata (overdose da cannabinoidi). Il CB1 è un neuroprotettore, modula l'eccitabilità e l'omeostasi, attenua la trasmissione mediata dal glutammato, presenta effetti antiossidanti, modula la risposta immunitaria ed il rilascio di alcune citochine pro-infiammatorie. Nel 1993, venne individuato un secondo tipo di recettori metabotropici, i CB2 omologhi per il 48% ai CB1. Essi sono situati per lo più a livello del sistema immunitario: leucociti, milza, timo, midollo osseo e tonsille. Contengono il maggior numero di CB2 in ordine decrescente: linfociti B, Natural-Killer, monociti, neutrofili, linfociti T8 e T4. Recenti studi ne hanno rivelato la presenza anche in neuroni del sistema nervoso centrale. Importante è stata la scoperta del fatto che la concentrazione di CB2 a livello centrale aumenti contestualmente all'incremento dell'infiammazione della neuroglia, agendo da marker della neuroinfiammazione. I recettori CB2 svolgono la loro azione a livello del calcio intracellulare, inibiscono l'attività dell'adenilciclasi, impedendo quindi la sintesi di AMP e regolano l'omeostasi. Dal momento che questo gruppo di recettori è privo di effetti psicotropi, numerosi sono gli studi condotti recentemente su di essi al fine di sfruttare l'azione terapeutica dei cannabinoidi non psicotropi. 3.4 Gli endocannabinoidi: sintesi e degradazione

Nel 1992, la ricerca di un cannabinoide endogeno in grado di legare ed attivare i recettori
per il THC, ha condotto due scienziati, Mechoulam e Devane, a scoprire, nel cervello suino, una molecola endogena lipidica in grado di legarsi naturalmente al recettore per i cannabinoidi. Questa molecola venne denominata anandamide (AEA), dal termine sanscrito ananda che significa "stato di grazia". Si tratta di un ammide dell'acido arachidonico con l'etanolammina. Differentemente dal THC, l'anandamide ha una selettività marginale per i recettori CB1 Figura 12: struttura dell'anandamide AEA Poco tempo dopo, furono individuati altri analoghi strutturali dell'AEA, mentre un'ulteriore molecola appartenente agli intermedi metabolici, noti come monoacilgliceroli, fu identificata nei tessuti periferici e definita 2-arachidonoilglicerolo (2-AG). Gli endocannabinoidi vengono sintetizzati da precursori biosintetici fosfolipidici, contenuti presumibilmente nella membrana cellulare, solo quando la cellula è stimolata e soltanto allora vengono rilasciati all'esterno di questa. Una volta liberati, gli endocannabinoidi si legano ai recettori presenti sulla cellula stessa che li ha prodotti o su cellule vicine e agiscono come mediatori autocrini (modificando la fisiologia della cellula che li produce) o paracrini (modificando la fisiologia delle cellule vicine). La degradazione degli endocannabionoidi vede un'iniziale ricaptazione cellulare, una seguente idrolisi ad opera dell'enzima FAAH (Fat Acid Amide Hydrolase) ed infine una riesterificazione degli acidi grassi in fosfolipidi di membrana (risorsa elettronica 17). 3.4.1 Possibile ruolo fisiopatologico degli endocannabinoidi
Sembra ormai chiaro che l'AEA (così come gli altri cannabinoidi endogeni) venga prodotta on demand, cioè solamente nel caso in cui la cellula subisca un danno più o meno grave. Recenti studi hanno provato che alcuni cannabinoidi endogeni siano in grado di legare due categorie recettoriali diverse dai recettori CB: i TRPV1 e i PPAR-γ. Il recettore vanilloide TRPV1 (Transient Receptor Potential Vanilloid 1) è in grado di interagire con la capsaicina (attivo del peperoncino), la quale presenta analogie conformazionali con i cannabinoidi. In seguito a questa osservazione, è stato dimostrato che l'AEA sia in grado di interagire con il TRPV1 quanto la capsaicina, portando l'apertura del canale vanilloide, la depolarizzazione neuronale e la trasmissione sulle vie afferenti di segnali elettrici al cervello (Hazekamp A. Dr 2008-2009). I recettori PPAR-γ (Peroxisom Proliferator Activated Receptor-γ), sono primariamente espressi a livello nucleare. Essi regolano la crescita e la differenziazione cellulare, il bilancio lipidico e del glucosio, inoltre svolgono azione immunomodulante, antinfiammatoria ed hanno effetti cardiovascolari ed anticancerogeni (Chawla A., Barak Y et al. 2001). Gli endocannabinoidi vengono originati da macrofagi e trombociti durante stati ipotensivi seguenti a shock emorragico ed endotossinico ed il loro numero aumenta notevolmente in seguito ad una variazione dell'omeostasi calcemica. Queste osservazioni, unitamente a dati farmacologici che hanno permesso di paragonare la loro attività a quella degli estratti della Cannabis, suggeriscono che gli endocannabinoidi vengano sintetizzati dall'organismo per proteggerlo dai danni causati da differenti situazioni patologiche, mediante azione antiossidante, immunosoppressiva, antiflogistica ed analgesica. La distribuzione dei recettori dei cannabinoidi nel cervello, ne suggerisce un ruolo molto importante nel controllo del movimento e della percezione, nell'apprendimento e nella memoria, nonché nella regolazione degli stati emotivi come piacere, aggressività ed ansia. Per quanto riguarda il controllo motorio, questa attività può essere dovuta alla loro azione su diversi neurotrasmettitori coinvolti nella regolazione del movimento, come GABA, dopamina e glutammato. Molto importante è poi il ruolo degli endocannabinoidi nella percezione dolorifica nocicettiva e neuropatica. L'azione di queste molecole endogene può essere paragonata a quella delle endorfine, in quanto esse si comportano come anti-stress sia a livello centrale che periferico. Da ultimo, studi recenti stanno chiarendo il ruolo degli endocannabinoidi nella riduzione della proliferazione di cellule tumorali (Bifulco M, Di Marzo V. et al. 2002). 3.5 Cannabinoidi di sintesi
Il primo cannabinoide sintetizzato è stato, nel 1964, il THC. In seguito, l'industria farmaceutica ha prodotto ulteriori cannabinoidi di sintesi, alcuni di questi sono stati destinati a scopi terapeutici in alcuni paesi, altri sono stati invece saggiati solo a scopi sperimentali e non sono mai stati utilizzati sull'uomo. Inizialmente si cercò di sintetizzare analoghi del THC a scopo terapeutico come il dronabinol (Marinol®), prodotto dalla Solvay Pharmaceuticals Inc., in commercio negli USA, in Germania ed Olanda. Esistendo dubbi sulla effettiva non sussistenza di suoi effetti collaterali, gli studi si sono dedicati all'ottenimento di ulteriori derivati del ∆-9-tetraidrocannabinolo come il nabilone nel Cesamet® prodotto dalla Cambridge Laboratories Ltd, UK, in commercio in Gran Bretagna e in Canada (Cannabinoidi e Sclerosi Multipla 2014). Marinol®: a base di dronabinol, nome usato per indicare l'isomero (-)-trans-∆-9- tetraidrocannabinolo, è un cannabinoide sintetico somministrato oralmente che, come altri cannabinoidi, ha effetti sul sistema nervoso centrale ed ha azione simpatico-mimetica (risorsa elettronica 18). E' somministrato sotto forma di capsule di gelatina oleose (∆-9-tetraidrocannabinolo sintetico in olio di sesamo) da 2.5 mg, 5 mg o 10 mg. Nel 1985 la FDA (Food and Drug Administration) statunitense ha approvato la commercializzazione di questo farmaco per trattare la nausea e l'inappetenza da chemioterapici in pazienti affetti da cancro, qualora tali soggetti non rispondessero positivamente ai trattamenti convenzionali. Nel 1992 è stato inoltre riconosciuto il suo impiego nell'intervento sull'anoressia con perdita di peso in pazienti affetti da HIV. Questo prodotto non ha purtroppo ancora conosciuto l'approvazione in Italia. Cesamet®: a base di nabilone, altro derivato sintetico del cannabinoide ∆-9- tetraidrocannabinolo, il prodotto è formulato in capsule. Come il precedente, anche questo farmaco non è in commercio in Italia. Secondo la FDA l'assunzione di nabilone ha effetti positivi sulla nausea da chemioterapici e la sua prescrizione deve avvenire in seguito ad insuccessi terapeutici con farmaci di protocollo. Molti pazienti lamentano però, la minore efficacia dei derivati sintetici rispetto agli estratti puri di Cannabis. Questo poiché la pianta contiene, come già detto, un gran numero di cannabinoidi ad attività terapeutica rispetto all'esiguo quantitativo di sostanze utilizzato nei prodotti di sintesi. I componenti del derivato dalle infiorescenze, chiamate Cannabis flos, agendo sinergicamente tra loro giustificano l'azione polivalente dei prodotti naturali. 3.6 I cannabinoidi modulano la risposta immunitaria

L'immunomodulazione indotta da cannabinoidi è stata oggetto di studio sia in vivo che in
vitro. Il legame tra cannabinoidi e recettori CB inibisce l'adenilatociclasi e previene l'attivazione del cAMP indotta da forskolina, sostanza estratta dalla pianta Coleus Forskohlii ad attività stimolante (Vogel Z., Barg J. et al. 1993). I cannabinoidi modulano notevolmente le risposte immunitarie durante i processi infiammatori ed i loro effetti sono stati in particolare studiati in modelli di SM, oltre che di diabete, artrite reumatoide, shock settico ed altri. I risultati rivelano che queste molecole siano in grado di esercitare le loro proprietà immunomodulatrici in quattro modi: 1. induzione dell'apoptosi; 2. soppressione della proliferazione cellulare; 3. inibizione delle citochine infiammatorie/produzione di chemochine e aumento delle citochine antiinfiammatorie; 4. induzione delle cellule T regolatrici. E' stato dimostrato che il THC conduce all'apoptosi i macrofagi ed i linfociti T murini. Si è inoltre osservato che le cellule linfocitarie attivate hanno una minore espressione dei recettori CB2, motivo che giustifica la minor sensibilità di queste cellule al THC (Zhu W., Friedman H. et al. 1998). Uno studio ha dimostrato che l'azione dei cannabinoidi non si limita all'immunomodulazione: in concentrazioni nanomolari, sia i cannabinoidi sintetici (CP55,940
e WIN55212-2) sia il naturale ∆-9-THC aumentano la proliferazione delle cellule B co-
stimolate con anticorpi anti-CD40 (una glicoproteina presente sul gruppo dei TNF), mentre a
concentrazioni micromolari gli stessi cannabinoidi ne inibiscono la proliferazione (Derocq J.
M., M. Ségui et al. 2000).


3.6.1 Cannabinoidi agonisti dei CB2 inducono apoptosi di timociti

Nella sperimentazione in questione (Lombard C., Nagarkatti M. 2007) si è inizialmente
dimostrato in che modo il JWH-015, agonista sintetico selettivo dei recettori CB2, presenti proprietà immunosoppressive in vitro. Tale sostanza, inducendo l'apoptosi dei linfociti B e T, ne inibisce la proliferazione indotta dai mitogeni. In vivo il JWH-015 ha comportato atrofia del timo, apoptosi e diminuzione della risposta linfocitaria periferica ai mitogeni. In questo studio, (Lombard C., Nagarkatti M. 2007) sono stati impiegati topi di sesso femminile a gruppi di quattro esemplari ognuno. Seguendo il protocollo, è stata somministrata una dose giornaliera (150 mg/kg di peso corporeo) di JWH-015 o di placebo per 3 giorni (dal giorno 0 al 2). Il terzo giorno i topi sono stati sacrificati, il timo è stato prelevato, le sue cellule sono state sospese ed è stata eseguita la valutazione della vitalità cellulare mediante trypan-blu (appaiono blu solamente le cellule morte). Successivamente, le cellule sono state poste in coltura. Rispetto ai parametri di controllo, l'apoptosi dei timociti trattati con JWH-015 è apparsa nettamente maggiore (Figura 13). Figura 13: i timociti sottoposti a JWH-015 subiscono apoptosi E' stato inoltre riscontrato un aumento dose dipendente nell'attività delle caspasi-3 e 7 durante il trattamento. Da ultimo, le analisi con la tecnica del western-blot hanno evidenziato la scissione delle caspasi-3, a conferma del fatto che il JWH-015 stimoli l'apoptosi cellulare. La sperimentazione in questione suggerisce che agonisti selettivi per i recettori CB2, privati dei loro effetti psicotropi, possono essere utilizzati come innovativi agenti immunosoppressivi ed antinfiammatori (Lombard C., Nagarkatti M. 2007). 4. Ruolo dei cannabinoidi nella neuroprotezione
E' chiaro che l'autoimmunità guidi lo sviluppo delle lesioni infiammatorie che inducono la demielinizzazione primaria, la quale a sua volta promuove e sostiene la progressiva perdita di mielina. Numerosi studiosi tuttavia, sulla base del fatto che la patologia progredisca nonostante la terapia immunologica, ritengono che di gran lunga più importanti siano i mutamenti neurodegenerativi. Di conseguenza, la riduzione dei danni alle cellule neuronali è uno dei più ampi campi di studio dell'impiego dei cannabinoidi. Diverse sperimentazioni sono state in grado di dimostrare che minimi dosaggi di THC possano ridurre due principali agenti neurotossici: l'infiammazione e l'ossidazione cellulare. 4.1 I cannabinoidi inibiscono la neurodegenerazione

In uno studio, condotto nel 2003 (Pryce G., Ahmed Z. et al. 2003), è stata saggiata l'attività
neuroprotettiva dei recettori CB in topi affetti da encefalomielite sperimentale (EAE). La patologia indotta nel modello animale conduce ad una degenerazione assonale simile a quella che si osserva nei pazienti affetti da sclerosi multipla. Così come nella SM, anche nella EAE infatti, la demielinizzazione assonale comporta una maggiore sensibilità agli effetti dei radicali liberi e dello stress ossidativo. Questi agenti potrebbero a loro volta contribuire ulteriormente alla neurodegenerazione cronica nelle patologie autoimmuni del SNC. Per valutare gli effetti dei cannabinoidi, sono stati utilizzati topi sani e topi CB1-knock-out, cioè privi del recettore CB1. I ricercatori hanno indotto la EAE (encefalomielite autoimmune sperimentale) in entrambe le tipologie di animali ed hanno valutato quotidianamente il decorso patologico. Gli animali sono stati poi sacrificati, i tessuti cerebrali surgelati o fissati in formaldeide per condurre esami immunoistologici come la valutazione della modifica delle proteine con metodo "western-blotting", l'osservazione dell'attivazione delle caspasi e la determinazione tramite ELISA del contenuto endogeno di specifiche proteine. Contestualmente, è stata saggiata l'eccitotossicità del glutammato mediante stimolazione in vitro dei recettori NMDA. L'EAE cronica è stata valutata mediante una scala di paralisi soggettiva e l'immobilità dell'animale dopo 3-4 episodi è stata imputata al crescente danno assonale riscontrato mediante tecnica ELISA. Questa tecnica ha permesso di misurare i neurofilamenti presenti in omogenati di midollo spinale di topi sani e topi CB1-knock-out, giungendo alla conclusione che su questi ultimi il livello di neurofilamenti si discostava di molto rispetto ai livelli riscontrati in topi normali. Sia i topi normali che quelli CB1-knock-out hanno contratto l'EAE, ma si è assistito ad un'aumentata mortalità (>5%) solamente nei secondi. Questi ultimi hanno inoltre manifestato un'elevata immobilità e danno assonale già in seguito al primo attacco. Coerentemente con l'aumentata degenerazione osservata dopo il primo attacco, i topi knock-out hanno mostrato anche un elevato grado di spasticità, diversamente da quanto osservato per i topi normali, nei quali lo stesso livello di spasticità è stato raggiunto in seguito a 3-4 attacchi. Per confermare il coinvolgimento dei recettori CB1 nella degenerazione assonale, è stato somministrato un inibitore di questo recettore ai topi normali che avevano contratto la EAE. Come conseguenza è stata riscontrata un'aumentata mortalità; la neurodegenerazione non è stata notevole quanto per i topi CB1-knock-out. Gli autori ritengono che, unitamente a diversi fattori, le cause principali di neurodegenerazione e sviluppo di EAE siano l'eccitotossicità del glutammato con conseguente induzione di apoptosi cellulare e l'aumento dei livelli della caspasi 3. In linea con questa teoria sono stati rilevati elevati livelli di caspasi 3 nei topi knock-out rispetto a quelli recanti il recettore CB1. Alla luce di questi dati, è stato concluso dunque che agonisti dei recettori CB1 possano avere un ruolo neuroprotettivo oltre a favorire un controllo dei sintomi neurologici quali tremori e spasticità. 4.2 Il ∆-9-tetraidrocannabinolo naturale previene i danni da METH

In un importante e molto recente studio, condotto dai ricercatori dell'Università di Cagliari,
sono state analizzate, nel sistema nervoso dei mammiferi, le relazioni biochimiche tra cannabinoidi e metanfetamina (METH), potente psicostimolante con proprietà neurotossiche (Castelli MP., Madeddu C. et al. 2014) L'assiduo utilizzo di metanfetamina provoca primariamente l'iperattivazione dell'enzima ossido nitrico sintasi neuronale (nNOS) e secondariamente produzione di perossinitriti, stimolazione di microglia, ipertermia ed eccitotossicità del glutammato. Quest'ultima conduce alla progressiva perdita di oligodendrociti, dovuta al fatto che la maggioranza di recettori e trasportatori per la rimozione di glutammato (recettori NMDA) risiedono sugli oligodendrociti e nei pazienti affetti da SM l'espressione di tali recettori risulta alterata. La loro eccessiva attivazione annovera tra gli effetti calcio dipendenti, la possibilità di attivare processi ossidativi ed enzimatici coinvolti nel danno cellulare. Da qui deriva la perdita di oligodendrociti il cui ruolo è molto importante in quanto essi intervengono nella produzione di mielina sugli assoni neuronali. Gli effetti della METH sono stati dedotti grazie al fatto che topi carenti in nNOS sono risultati significativamente più resistenti alla neurotossicità indotta dalla sostanza, in quanto il loro organismo non subisce un repentino ed eccessivo aumento di NO (Ayata C., Ayata G. et al. 1997; Imam SZ., Newport GD et al 2001). Lo studio in questione ha scoperto l'azione neuroprotettiva del ∆-9-tetraidrocannabinolo, estratto naturale, verso la neurotossicità indotta da METH, osservando in aree cerebrali preselezionate, il calo dei tre marcatori biochimici: l'iperespressione della nNOS, la presenza di GFAP-IR (proteine GFAP immunoreattive coinvolte nel danneggiamento assonale) e l'eccitotossicità del glutammato. La METH neurotossica è stata somministrata per via sub cutanea a concentrazione di 1mg/kg, mentre il ∆-9-THC e SR141716A (antagonista/inverso agonista dei recettori cannabinoidi cerebrali) sono stati somministrati con iniezione intraperitoneale nella concentrazione di 1mg/kg. I topi sono stati casualmente suddivisi in due gruppi, ognuno ricevente un'iniezione sub cutanea di METH ad intervalli di 2 ore. Le dosi di METH sono state selezionate in base alla loro capacità di indurre effetti neurotossici sul sistema serotoninergico e dopaminergico e di causare un permanente danno neuronale comparabile a quello rilevato negli utilizzatori di METH. Per quanto concerne il pre-trattamento, i topi trattati con METH hanno ricevuto iniezioni di THC (1 oppure 3 mg/kg) o di placebo (VEH), 30 minuti prima della somministrazione di METH. Nel post-trattamento ai topi sono stati iniettati THC o VEH rispettivamente 0.5, 12, 24, 36 e 48 ore dopo l'ultima somministrazione di METH. A differenti gruppi di topi trattati con METH sono stati somministrati per via intraperitoneale l'antagonista SR 141716 (1mg/kg) o VEH 15 minuti prima di ogni iniezione di 1 mg/kg di ∆-9-THC o VEH (Figura 14). La temperatura rettale degli animali è stata misurata a partire da un'ora prima dell'iniziale somministrazione di METH e per il tempo successivo alle altre somministrazioni. Figura 14: schema del protocollo utilizzato L'effetto neuroprotettivo del ∆-9-THC è stato valutato esaminando la riduzione dell'espressione delle GFAP-IR e della nNOS, entrambe alterate dalla METH. Mediante l'analisi della varianza (metodo ANOVA) si è riscontrato come dosi di ∆-9-THC siano in grado di ridurre l'astrogliosi indotta da METH, grazie alla riduzione del numero GFAP-IR. Il quantitativo di queste proteine immunoreattive si è abbassato nettamente a


seguito del pre-trattamento con 3 mg/kg di ∆-9-THC e post-trattamento di 1 mg/kg di ∆-9-THC (Figura 15). Sempre mediante metodo ANOVA è stato osservato che, rispetto ai corrispondenti controlli, la sovraesperessione di nNOS nel caudato putamen (CPu) è stata significativamente attenuata dal post-trattamento con entrambe le dosi di ∆-9-THC rispetto a placebo (- 19% per 1 mg/kg e – 28% per 3mg/kg) (Figura 16). A seguito della somministrazione dell'antagonista dei recettori cannabinoidi SR141716A, l'analisi della varianza ha rivelato la sua notevole interazione con il ∆-9-THC al punto tale da indebolire l'effetto del cannabinoide sull'iperespressione di nNOS indotta da METH (Figura 17). Figura 15: Il ∆-9-THC riduce l'astrogliosi indotta da METH nel CPu L'attività antinfiammatoria dei cannabinoidi a livello cerebrale avviene mediante stimolazione del recettore CB1 ed in misura minore del CB2. Ciò dal momento che l'introduzione di un antagonista dei recettori CB1 ha condotto ad una perdita della neuroprotezione cannabinoide mediata. Figura 16: ∆-9-THC riduce l'aumento di nNOS indotto da METH Figura 17: effetto dell'antagonista SR sull'nNOS nel Cpu Questo studio ha stabilito che una preventiva così come una successiva esposizione al ∆-9- THC possano influenzare la neurotossicità della METH. Prevenendo lo stress ossidativo e dunque l'infiammazione, sarebbe possibile contrastare la progressione della sclerosi multipla, nella quale lo sviluppo di lesioni infiammatorie provoca
una progressiva demielinizzazione.



4.3 Il CBD ed il (-) ∆-9-THC sono antiossidanti e neuroprotettori

E' stata valutata l'azione neuroprotettiva del CBD ed altri cannabinoidi in vitro in colture
di neuroni corticali murini sottoposti all'azione tossica del glutammato (Hampson A. J, Grimaldi M. et al. 1998). I due cannabinoidi CBD e THC proteggono in ugual misura dalla neurotossicità mediata dai recettori N-metil-D-aspartato, AMPA o kainato, la cui tossicità è calcio dipendente e conduce alla produzione di radicali liberi (ROS). La neuroprotezione, osservata grazie all'impiego di CBD e THC, non è stata bloccata dagli antagonisti dei recettori per i cannabinoidi, indicando che il meccanismo d' azione di queste molecole non è recettore-dipendente. Studi preclinici hanno mostrato come la protezione dal glutammato fosse mediata dall'impiego di antiossidanti (Avrova NF, Shestak KI et al. 2000). In questa sperimentazione, il THC ed il CBD hanno protetto dall'ossidazione da idroperossido addirittura meglio degli antiossidanti più noti in un sistema chimico come la reazione di Fenton, oppure in colture neuronali (Figura 18). Figura 18: confronto tra antiossidanti e CBD nella prevenzione del danno neuronale Il CBD, in particolare, è molto attivo a questo scopo addirittura in confronto ad ascorbato e α-tocoferolo, esercitando la sua azione come potente antiossidante nella prevenzione cerebrale in malattie autoimmuni o altre situazioni quali, per esempio, ischemie cerebrali (Hampson A. J, Grimaldi M. et al. 1998). 5. La sperimentazione in laboratorio
5.1 Induzione di EAE e TMEV-IDD in modelli murini

I modelli sperimentali animali di SM più utilizzati sono due:  EAE (Experimental Autoimmune Encephalomyelitis);  TMEV-IDD (Theiler's Murine Encephalomyelitis Virus-Induced Demyelinating La prima è indotta in laboratorio immunizzando gli animali, per via intradermica, con omogenato di midollo spinale iniettato insieme ad adiuvante completo di Freud (ACF). Dopo 2-3 settimane insorgono i primi disturbi neurologici come turbe dell'equilibrio, della visione e della minzione seguiti da paralisi, la quale a sua volta è sintomo di un'encefalite acuta comune che, in poco tempo, porta al decesso tutti gli animali eccetto alcuni che guariscono completamente. La demielinizzazione è preceduta da una reazione immunitaria nella quale i linfociti T invadono il tessuto cerebrale e, poco prima della manifestazione dei sintomi, si assiste all'estravasazione delle cellule B. L'induzione della EAE cronica avviene immunizzando alcuni ceppi di cavie maschio con una singola dose di midollo spinale singenico in ACF, iniettato in regione nucale. Seguendo questa procedura, l'EAE insorge nell'arco di 8-12 settimane ed è caratterizzata da remissioni e recidive che permarranno per tutta la vita dell'animale. La TMEV-IDD è la seconda patologia che genera sintomi paragonabili a SM. Essa insorge per azione di un patogeno murino appartenente alla classe dei cardio-virus. Il TMEV è suddiviso in due sottogruppi in base al potere della virulenza. Il primo gruppo induce un'encefalite mortale nell'animale, il secondo ha bassa virulenza, non comporta una severa encefalite ma stabilisce una persistente infezione al SNC associata ad una demielinizzazione immuno-mediata (McCarthy D.P, Richards M. H. 2012). 5.2 Cannabinoidi in modelli animali di SM

Sono di seguito riportati alcuni dei recenti studi condotti in modelli animali di SM volti
all'analisi dell'azione degli attivi della Cannabis sulla patologia. Tali studi concernono soprattutto l'aspetto sintomatico della malattia e mirano all'osservazione degli effetti dei cannabinoidi, naturali e sintetici, sulla modulazione della risposta immunitaria, dell'infiammazione, della spasticità e del dolore neuropatico. 5.2.1 Attività terapeutica dei cannabinoidi in un modello sperimentale di SM

Lo studio ha impiegato il modello murino di TMEV-IDD, indotta in laboratorio (Arèvalo-
Martin A.,Vela J. M et al. 2003). Dopo 2 mesi dall'infezione, gli autori hanno testato le disfunzioni neurologiche mediante l'impiego del rotarod (test che misura coordinazione, equilibrio e controllo motorio) e gli animali sono stati suddivisi in 4 gruppi da 12 esemplari ognuno. L'intero numero di esemplari ha contratto la patologia nel medesimo modo e presentando gli stessi sintomi. Ogni gruppo ha subito, per una durata complessiva di 10 giorni, un'iniezione intraperitoneale quotidiana di cannabinoidi di sintesi quali WIN 55,212-2 (agonista non selettivo di CB1 e CB2), ACEA (maggiormente selettivo per CB1), JWH-015 (maggiormente selettivo per CB2) oppure di placebo. Le quantità somministrate per ogni singola sostanza sono state calcolate in base all'affinità recettoriale delle stesse. Le funzioni motorie dei topi trattati con WIN 55,212-2, ACEA e JWH-015 sono state saggiate mediante rotarod: gli esemplari hanno mostrato una minor risposta locomotoria rispetto ai controlli, ma non segni di catalessi o paralisi. Per evitare un potenziale adattamento sono state aumentate gradualmente le dosi dei cannabinoidi somministrati. La metà degli animali è stata sacrificata il giorno successivo il termine dell'esperimento al fine di esaminarne il midollo spinale. Il numero restante è stato mantenuto in vita dai 25 giorni fino alle 5 settimane seguenti la fine del trattamento; questo periodo è stato ottimale per valutare la rimielinizzazione indotta da qualsiasi evento. Eseguendo il test con rotarod ad intervalli precisi, si è osservato un interessante aumento delle funzioni motorie a lungo termine per ACEA e WIN 55,212, in misura minore, ma egualmente significativa è risultata l'efficacia per JWH-015 (Figura 19). Figura 19: i cannabinoidi a lungo termine migliorano le funzioni motorie In base ai dati istologici, è stato possibile affermare che i cannabinoidi sintetici somministrati hanno permesso di ridurre l'infiammazione del SNC e di indurre una buona rimielinizzazione. Quest'ultima è stata particolarmente elevata nei topi sottoposti a JWH-015 (Figura 20). Tutti e tre gli agonisti hanno ridotto il numero delle microglia reattive, hanno sospeso l'azione del MHC II ed hanno diminuito l'infiltrazione dei linfociti T CD4+ nel midollo spinale dei topi infetti. La rimielinizzazione provocata dalla somministrazione di cannabinoidi è indiretta conseguenza dell' inibizione della risposta immunitaria che conduce alla distruzione mielinica. Questi dati forniscono incoraggianti elementi con potenziali implicazioni terapeutiche in patologie demielinizzanti come la SM (Arèvalo-Martin A.,Vela J. M et al. 2003).


Figura 20: percentuali di rimielinizzazione osservate 5.2.2 Il WIN 55,212 regola la risposta immunitaria in topi affetti da TMEV

In questo studio di laboratorio (Croxford J.L, Miller S. D. 2003) è stata inizialmente
indotta la Theiler's murine encephalomyelitis sperimentale. La distruzione della mielina causata dalla patologia è fortemente dovuta alla produzione di citochine pro infiammatorie come IFN-γ e TNF-α, secrete dai linfociti T autoreattivi e dai macrofagi. Inizialmente è stato somministrato per via intraperitoneale l'agonista sintetico R(+) WIN 55,212 dei recettori CB, ad una parte dei soggetti in esame, mentre all'altra parte, il controllo, è stato somministrato il veicolo privo del principio attivo. In particolare, gruppi di topi infettati sono stati trattati sia con alte concentrazioni di agonista (20 mg/kg) sia con basse (5 mg/kg) durante i vari stadi della patologia. A seconda del giorno in cui è stato somministrato l' R(+) WIN 55,212, i topi sono stati sacrificati il settimo giorno oppure il trentatreesimo. In base ai dati istologici, i risultati sono stati incoraggianti in quanto hanno provato che i cannabinoidi riducono la severità clinica della TMEV e ne ritardano la genesi. Si è poi riscontrato che l'azione del R(+)WIN 55,212 è dose dipendente in quanto, in topi trattati con una dose inferiore della sostanza (5 mg/kg), non è stato possibile ridurre la progressione della patologia in maniera efficiente. E'stato osservato che il trattamento con R(+)WIN 55,212 sia nel momento dell'infezione (fino a 5 giorni post infezione), sia all'inizio dei disturbi clinici (26-30 giorni post infezione), ha permesso di ridurre la capacità dei linfociti T di secernere IFN-γ. In tempi successivi ai 30 giorni dall'infezione tuttavia, non è stata riscontrata la stessa riduzione in maniera significativa. Inoltre, la somministrazione del cannabinoide sintetico ha condotto alla riduzione dell'espressione dell'mRNA per i mediatori pro infiammatori ed antivirali nel midollo spinale (Tabella 1) (Croxford J.L, Miller S. D. 2003). Inhibition of
Inhibition of T- Inhibition of
Stage of disease
clinical
Inhibition
secretion
Initiation
(post infection
(post infection
day 26-31)
(post infection
day 50-55)
Tabella 1: inibizione differenziale della risposta immunitaria a seguito del trattamento con WIN 55,212 in topi affetti da TMEV-IDD In conclusione, il trattamento con R(+)WIN 55,212 migliora effettivamente la progressione della patologia, da un lato inibendo la differenziazione dei Th1 e la secrezione di IFN-γ e dall'altro bloccando la secrezione delle citochine pro-infiammatorie necessarie per l'induzione e la progressione della demielinizzazione. Nelle ultime fasi della malattia, il cannabinoide non dimostra effetti inibitori sulla proliferazione dei linfociti T ma può limitare gli effetti dei danni assonali a livello centrale (Croxford J.L, Miller S. D. 2003). Questo studio ha provveduto a fornire un'evidenza preclinica del fatto che i cannabinoidi potrebbero essere agenti terapeutici per il trattamento delle patologie autoimmuni come la SM, esercitando una potente immunoregolazione contestualmente ad un giovamento di spasticità, dolore neuropatico e disfunzione vescicale. 5.2.3 Gli endocannabinoidi controllano la spasticità in modelli di SM

In questa sperimentazione di laboratorio (Baker D., Pryce G. 2001) sono stati utilizzati
modelli animali di encefalomielite cronica recidiva sperimentale (CREAE). Come controllo sono stati impiegati topi nei quali è stata indotta la patologia ma in cui tremore e spasticità non fossero manifesti. Nelle aree associate al danno neurologico, si sono riscontrati aumentati livelli di endocannabinoidi come anandamide (AEA), 2-arachidonoil glicerolo (2-AG) e palmitoiletanolammide (PEA), un congenere dell'AEA che agisce sui recettori PPAR-γ. I livelli di endocannabinoidi in individui sani non si discostano particolarmente da quelli riscontrati in animali CREAE privi di sintomi e risultano nettamente inferiori ai valori rilevati in topi patologici. A seguito della somministrazione esogena di PEA ed endocannabinoidi, inibitori del re- uptake ed idrolisi degli endocannabinoidi, gli autori dello studio hanno rilevato un miglioramento della spasticità pari a quello osservato a seguito della somministrazione di agonisti dei recettori dei cannabinoidi. Si è ipotizzato che i livelli di endocannabinoidi aumentino nel tentativo di compensare il deficit spastico. Tutte e tre le sostanze 2-AG, AEA e PEA hanno dunque capacità di migliorare la spasticità ma in differenti modi (Figura 21). Figura 21: riduzione della spasticità per azione di endocannabinoidi Tuttavia laddove AEA e PEA inibiscono la spasticità massimamente entro 10-30 minuti, la somministrazione esogena di 2-AG induce un'inibizione in tempi relativamente più brevi. Questa scoperta è stata sorprendente poiché generalmente i cannabinoidi sono soggetti ad una rapida disattivazione attraverso idrolisi enzimatica, in questo caso invece la loro attività permane a lungo. Inoltre, gli endocannabinoidi presentano tra loro differente farmacodinamica: il 2-AG favorisce l'inibizione della spasticità sia grazie alla riduzione della degradazione dell'altro cannabinoide AEA, sia poiché esso stesso è in grado di attivare i recettori CB2 molto più efficacemente rispetto ad AEA. Questo differente meccanismo di azione potrebbe spiegare il diverso profilo di inibizione della spasticità osservato per i due endocannabinoidi. PEA invece, nonostante non sia agonista selettivo per i recettori CB1 o CB2, è in grado di incrementare l'efficacia di altri cannabinoidi (Calignano A., La Rana G. et al. 1998). Tramite la somministrazioni di agenti bloccanti l'idrolisi da parte del FAAH (AM374) ed il re-uptake (VDM11 e AM404) degli endocannabinoidi, è stato possibile regolarne la concentrazione endogena con conseguente riduzione della spasticità. Come conseguenza, a seguito dell'iniezione di AM374 (1 mg/kg) ed AM404 (2,5 mg/kg), i topi affetti da EAE hanno manifestato una repentina riduzione della sintomatologia per alcune ore, seguite da una lenta riacutizzazione della stessa (Figura 22). Figura 22: riduzione della spasticità dopo somministrazione di agenti bloccanti l'idrolisi (AM374) e re- uptake cannabinoide (VDM11 e AM404) In conclusione, gli alti livelli fisiopatologici di endocannabinoidi nei topi EAE non sono tali da inibire sufficientemente la spasticità. Tale obiettivo risulta conseguibile unicamente grazie ad agonisti esogeni dei recettori CB somministrati in laboratorio o mediante la manipolazione dei livelli di endocannabinoidi endogeni (Baker D., Pryce G. 2001). 6. La sperimentazione clinica

Accanto agli studi di laboratorio, l'attività terapeutica dei principi attivi della Cannabis,
naturali o sintetici, è stata numerose volte dimostrata mediante sperimentazione clinica in pazienti affetti da sclerosi multipla. L'effetto riferito più frequentemente è un miglioramento soggettivo dei sintomi legati alla spasticità muscolare, la quale in alcuni casi si accompagna a un netto miglioramento delle prove di coordinazione motoria e ad una significativa riduzione del tremore muscolare (Figura 23). Di seguito saranno riportate alcune sperimentazioni cliniche effettuate a dimostrazione del possibile impiego terapeutico dei cannabinoidi. Figura 23: confronto tra il controllo dell'arto e del tremore prima e dopo l'assunzione di 5 mg di THC 6.1 Trattamento della spasticità nell'uomo con ∆-9-THC

La spasticità è uno degli aspetti sintomatici della SM maggiormente invalidante.
Successivamente all'inalazione di Cannabis in alcuni pazienti sono stati documentati netti miglioramenti a riguardo. In uno studio pilota a doppio-cieco, condotto negli anni '80 (Petro D.J., Ellenberger M.D. 1981), sono stati coinvolti 9 pazienti con spasticità presumibilmente di origine spinale o correlata a SM. L'osservatore ha controllato i soggetti in tre giorni separati, prima e ad intervalli di un'ora e mezza dalla somministrazione orale di una capsula da 10 mg, 5 mg o priva di THC di sintesi. L'assorbimento orale dell'attivo è ovviamente più lento di quello che si osserva in seguito ad inalazione: generalmente i livelli nel sangue e gli effetti psichici raggiungono il loro massimo dopo tre ore dall'ingestione. Per eseguire una valutazione dell'effetto, sono stati dati valori alla profondità dei riflessi del tendine, alla resistenza muscolare, alla distensione delle gambe ed ai riflessi anomali, ciascuno su scala da 0 (assenti) a 4 (aumentati in maniera anormale). Tali valori sono stati successivamente sommati ed il totale ottenuto, diviso per il numero di osservazioni ogni intervallo, è stato considerato come "punteggio di spasticità". I soggetti sono stati sottoposti ad EMG ed è stata osservata l'interferenza ripetuta del quadricipite durante la flessione del ginocchio da 0 a 90 gradi a diverse velocità. Inoltre, sono state valutate l'abilità locomotoria dei pazienti, la loro risposta soggettiva verso eventuali effetti collaterali ed infine ne sono stati misurati i parametri vitali. Conclusa la sperimentazione, i risultati ottenuti sono stati i seguenti:  dieci pazienti hanno ritenuto di sentirsi "sciolti" e di percepire miglioramenti successivi all'assunzione di 5 mg o 10 mg di THC;  la somma del punteggio dei gruppi trattati differisce notevolmente da quelli trattati con  il punteggio della spasticità di quattro pazienti è migliorato a seguito della somministrazione di 5mg o 10 mg di THC;  un solo paziente è migliorato in seguito al placebo;  l'indice di spasticità dell'EMG non è stato rilevabile su cinque pazienti: in tre la resistenza alla distensione era troppo elevata ed in due l'attività elettrica non era sufficiente per essere registrata;  in quattro pazienti il modello d'interferenza, con l'ispezione visiva, era diminuito dopo il trattamento rispetto al modello pre-trattamento;  per quanto concerne gli effetti collaterali, quelli di 5 mg o 10 mg sono stati minimi. Solamente un paziente ha affermato di sentirsi euforico con l'assunzione di 10 mg ed uno solo dopo placebo. La valutazione di questi risultati ha giustificato ed incrementato l'interesse verso il THC ed alcuni suoi derivati, come potenziale trattamento della spasticità in pazienti affetti da SM e non solo. 6.2 Dosi di Cannabis vaporizzata riducono il dolore neuropatico

Uno studio incrociato in doppio-cieco ha esaminato l'effetto analgesico della Cannabis
vaporizzata in pazienti affetti da SM presentanti dolore neuropatico ed insensibili alle cure di routine (Winsley B., Marcotte T.D. 2013). Sono stati scelti 39 pazienti con dolore neuropatico centrale e periferico sottoponendoli ad inalazione di dosi medie (3.53%) o basse (1.29%) di Cannabis e dosi di placebo. Si è preferito somministrare Cannabis tramite vaporizzazione e non inalazione poiché il fumo proveniente dalla combustione della sostanza avrebbe esposto i pazienti alla tossicità di alcuni composti di pirolisi sviluppatisi alla temperatura di combustione, motivo che potrebbe contribuire ad ostacolare il riconoscimento della pianta come medicamento. Raggiungendo la temperatura di vaporizzazione invece, si evita la genesi delle sostanze tossiche ma non si perde l'attività dei principi attivi. I pazienti hanno assunto una dose media, bassa o nulla di sostanza vaporizzata, mediante un particolare vaporizzatore, una volta al giorno ogni 3 giorni. Per evitare la contaminazione dei locali attigui, la sperimentazione clinica è avvenuta in locali dotati di impianto di areazione con costante ventilazione a temperatura di 22°C ed umidità pari al 40%-60%. L'assunzione della sostanza è stata standardizzata, inoltre i pazienti sono stati istruiti in merito alle tempistiche di inspirazione (5 secondi), ritenzione del vapore nei polmoni (10 secondi) ed espirazione, attendendo 40 secondi tra un ciclo e l'altro. I soggetti sono stati monitorati prima e nelle 6 ore successive al test e non è stato loro impedito di svolgere attività leggere. La riduzione soggettiva del dolore è stata valutata inizialmente mediante una scala da 0 (assenza di dolore) a 100 (dolore massimo). Successivamente, sono state stimate allodinia meccanica e termica. I pazienti sono stati anche chiamati a definire soggettivamente l'attività della sostanza assunta in una scala da 0 (nessuna attività) a 100 (attività estrema) e del loro stato psicologico (ansioso, frastornato, eccitato, bisognoso di ulteriore sostanza, indifferente, paranoico, confuso, nauseato o affamato). E' stata condotta una valutazione neurocognitiva dei pazienti in merito ad attenzione, concentrazione, apprendimento e memoria e, da ultimo, precisione nei movimenti. In base ai dati ottenuti, è risultato che l'acuità dell'infiammazione e l'intensità del dolore avvertite differivano a seconda delle dosi di sostanza inalate. La dose media e quella bassa avevano effetto sull'acuità del dolore maggiormente rispetto al placebo, tuttavia la dose media ed il placebo mostravano minor effetto sull'entità dell'infiammazione rispetto a quella bassa. Quest'ultima ha ridotto il dolore neuropatico maggiormente rispetto alla dose media, la quale lo ha comunque ridotto in misura maggiore rispetto al placebo (Figura 24). Figura 24: impressione globale della riduzione del dolore In conclusione, gli autori ritengono che la somministrazione di una bassa dose di Cannabis vaporizzata sia in grado di svolgere un'attività antinocicettiva, effetti collaterali non considerevoli e bassi effetti neuropsicologici (Winsley B., Marcotte T.D. 2013). 6.3 CBD e ∆-9-THC agiscono positivamente sulle disfunzioni vescicali

La maggioranza dei pazienti affetti da SM sviluppa dei fastidiosi sintomi nel basso tratto
urinario definiti con l'acronimo inglese "LUTS". Testimonianze anedottiche riportano che attivi estratti dalla Cannabis potrebbero alleviare questa spiacevole sintomatologia. Nel seguente studio è stata saggiata l'azione degli estratti della pianta in 21 pazienti affetti da SM e refrattaria LUTS. Estratti contenenti ∆-9-tetraidrocannabinolo e cannabidiolo (2.5 mg/inalazione) sono stati somministrati per un periodo di otto settimane. Concluse queste, i soggetti hanno assunto unicamente ∆-9-THC (2.5 mg/inalazione) per le successive otto settimane, poi a lungo termine. In seguito, gli autori hanno condotto valutazioni in merito a frequenza e volume della minzione, incontinence pad weights (test nel quale si ricava il quantitativo in peso di urina non trattenuta) e cistometria. L'analisi dei dati è stata condotta su 15 dei 21 pazienti arruolati. L'urgenza urinaria, il numero ed il volume di episodi di incontinenza, la frequenza e la minzione notturna sono diminuite nettamente a seguito del trattamento. Entrambe le sostanze estratte, CBD e THC, hanno in aggiunta comportato una riduzione delle evacuazioni totali e dell'incontinence pad weights. La valutazione soggettiva del dolore, la spasticità e la qualità del sonno sono migliorate significativamente con una continua decrescita del dolore, addirittura fino alle 35 settimane di trattamento. Per quanto concerne gli effetti collaterali, questi sono stati pressoché assenti o, se presenti, non considerevoli. Lo studio ha dunque dimostrato che i due principali componenti attivi della Cannabis sono sicuri e rappresentano un efficace trattamento dei problemi urinari, e non solo, nei pazienti in stadi avanzati di SM (Brady C.M., DasGupta R 2004). 6.4 L'estratto di Cannabis non ha effetti psicopatologici sui pazienti

Lo studio in questione (Aragona M., Onesti E. et al. 2009) si è incentrato sulla valutazione
di effetti cognitivi e psicopatologici positivi ed avversi indotti dall'assunzione di estratti di Cannabis: THC e CBD in rapporto 1:1. In una prova incrociata di otto settimane, a 17 pazienti sono stati somministrati estratti di Cannabis o placebo per tre settimane ciascuno. Concluso il periodo di trattamento, i ricercatori hanno eseguito delle valutazioni in merito a variabili relative a psicopatologie e capacità cognitive. I dati clinici rilevati non hanno mostrato significative differenze nei pazienti dopo assunzione di estratti di Cannabis e placebo. Una rilevante e positiva correlazione è stata trovata comunque tra il valore di THC ematico ed aspetti comportamentali quali ansia, aggressività e tendenze paranoidi. La somministrazione dell'estratto non ha provocato psicopatologie e nemmeno alterato le capacità cognitive. Solamente un paziente ha manifestato desiderio crescente della sostanza rasente la dipendenza. In conclusione, la somministrazione controllata di questo estratto di Cannabis non mostra né implicazioni psicopatologiche né ripercussioni cognitive, và tuttavia considerato che un eventuale abuso privo di supervisione medica potrebbe condurre a dipendenza o atteggiamenti aggressivo-paranoidi (Aragona M., Onesti E. et al. 2009). 7. La cura naturale
I cannabinoidi di sintesi hanno comportato alcuni aspetti spiacevoli che ne hanno in parte limitato la diffusione nell'uso clinico. Sebbene ogni individuo sia a sé stante e le sfaccettature della patologia innumerevoli, sono molti gli episodi di pazienti che, a seguito di notevoli effetti collaterali, si sono trovati obbligati a sospendere la terapia. A detta di numerose persone affette da SM i prodotti di sintesi avrebbero una maggiore incidenza in effetti collaterali rispetto a quelli naturali, a tutt'oggi preferiti da molti (Grinspoon L., Bakalar J.B 1997). La ragione della maggior efficacia dei prodotti naturali risiede anche nella modalità di somministrazione: l'inalazione permetterebbe di avere un effetto duraturo ed a rapida insorgenza rispetto all'assunzione per via orale. Sono tuttavia ancor più numerose le testimonianze di coloro che hanno accusato effetti avversi a seguito dell'assunzione di farmaci tradizionalmente prescritti per il trattamento della sclerosi multipla. Molti malati, per esempio, in terapia con Methotrexate®1 hanno riscontrato un brusco peggioramento della spasticità, disturbo rimasto nonostante la sospensione del farmaco. Durante la prima Cannabis Conference, tenutasi lo scorso 24 maggio a Lecce, alla quale hanno partecipato alcuni dei ricercatori più illustri ed organizzata dall'Associazione LapianTiamo di Racale (LE), il neurologo Alessio Mercurio ha affermato che la gran parte dei pazienti, sottoposti ad una monoterapia a base di infiorescenze di Cannabis, manifesta effetti collaterali nulli se paragonati a quelli provocati dai farmaci di sintesi assunti nelle medesime quantità. Il medico ha inoltre aggiunto che gli stessi pazienti, grazie a tale terapia, hanno riscontrato un netto miglioramento della qualità di vita e che, dalle risonanze magnetiche funzionali effettuate durante il periodo del trattamento, la progressione della malattia risultava pari a zero (risorsa elettronica 20). Recente è lo studio effettuato negli Stati Uniti ed in Canada e reso noto lo scorso agosto, secondo il quale, nei paesi in cui la Cannabis è legale, la mortalità da overdose da antidolorifici oppioidi (uno per tutti la codeina) è di molto ridotta (Nohlgren S. 2014). 1Chemioterapico ed immunosoppressore. Espleta un effetto benefico sulla frequenza delle ricadute e sulla progressione della patologia In primo luogo, l'utilizzo della pianta e dei suoi estratti naturali può sostituire del tutto o in parte l'effetto antidolorifico ricercato negli oppioidi, con effetti collaterali nettamente inferiori. In secondo luogo, la Cannabis è in grado di intervenire sul piano psicologico agendo come antidepressivo o anti-ansia in coloro che assumono benzodiazepine, barbiturici o altro. Secondo lo studio, la sostanza, grazie al suo effetto rilassante, potrebbe giocare un ruolo decisivo nell'evitare pericolosi cocktail di farmaci. La Ricerca sta conducendo nuovi studi e sperimentazioni, soprattutto ora che la cura naturale sta conseguendo numerosi successi e, nonostante opinioni contrastanti e diverse scuole di pensiero tra i medici stessi, i dati sono incoraggianti. Di seguito si tratterà dei principali prodotti naturali derivati da Cannabis Sativa e, a supporto dell'attività di uno dei due in particolare, verranno analizzati due casi clinici. 7.1 Il Sativex®

Il Sativex® è stato approvato in Italia, il 30 giugno 2013.
Nonostante il nome dal suono farmaceutico, si tratta di un prodotto formulato come spray-
orale da 5,5 ml (per 48 erogazioni) o da 10 ml (per 90 erogazioni), a base di composti naturali estratti da Cannabis: il THC ed il CBD. Il prodotto è destinato esclusivamente a coloro che soffrono di spasticità dovuta a SM e che dimostrano di non rispondere positivamente ai farmaci anti-spastici comunemente prescritti. Importante caratteristica del prodotto è la standardizzazione dei suoi componenti: ogni flacone di spray contiene lo stesso quantitativo di cannabinoidi in un rapporto di 1:1 (risorsa elettronica 19). Il Sativex® agisce sia sui recettori CB1 sia sui CB2. Il prodotto deve essere spruzzato nel cavo orale o all'interno della guancia o ancora sotto la lingua. Il numero di erogazioni necessarie varia da paziente a paziente in base all'entità del dolore. Nei primi giorni di trattamento, sono generalmente necessarie più somministrazioni quotidiane ed il loro numero và pian piano diminuendo con il proseguimento della terapia. La posologia massima è di 12 erogazioni al giorno e tra una somministrazione e l'altra deve intercorrere un periodo di almeno 15 minuti. Le prime erogazioni di Sativex® possono causare sensazioni di sonnolenza e capogiri che generalmente si affievoliscono col passare dei giorni. Questi effetti collaterali possono tuttavia essere ridotti diradando la frequenza delle erogazioni. Studi in pazienti affetti da SM, hanno riscontrato che l'interruzione del trattamento non comporta in alcun modo la manifestazione di crisi di astinenza da cannabinoidi. Inoltre, il prodotto non ha causato disturbi psicopatologici rilevanti di alcun tipo (SATIVEX- dossier scientifico 2013). Un importante studio condotto in Germania ha saggiato l'efficacia del prodotto nei pazienti affetti da una resistente spasticità dovuta a SM (KohelerJ., Fenenberg W. et al. 2014). La sperimentazione ha previsto il trattamento di 166 pazienti per un periodo massimo di 9 mesi, mediante 4 erogazioni al giorno. Tra gli arruolati, 120 pazienti hanno proseguito la cura per tutto l'arco di tempo, gli altri 46 hanno dovuto sospenderla dopo circa 60 giorni. Causa della sospensione sono state: vertigini, fatica o problemi al cavo orale (13,9%), perdita di efficacia (8.4%) oppure la necessità di un miorilassante (5.4%). Dei 120 soggetti che hanno proseguito il trattamento per tutti i 9 mesi, 95 hanno assunto il Sativex® come terapia complementare e solo 25 come monoterapia, al fine di conseguire il miglior risultato possibile. In base ai dati ottenuti si evince che, già nei primi 10 giorni di trattamento, per il 57% il punteggio nella scala decimale di spasticità (EDSS 0-10) si è abbassato da 7.0 a 3.0. Gli autori della sperimentazione hanno ritenuto che il prodotto sia efficace e ben tollerato sia come terapia complementare sia come monoterapia in un rilevante numero di pazienti affetti da SM con spasticità resistente (KohelerJ., Fenenberg W. et al. 2014). 7.2 Le infiorescenze di Cannabis
Sebbene il Sativex® agisca positivamente sulla spasticità, resta comunque un prodotto che si avvale solamente di 2 dei 400 principi attivi presenti nella pianta. Esistono prodotti completamente a base di infiorescenze di Cannabis che permettono, invece, di trarre beneficio dalla sinergia dei composti attivi della pianta, ottenendo migliori risultati. Grazie a tali prodotti, i pazienti affetti da diverse malattie, tra cui la SM, stanno riuscendo ad arginare sintomi e progressione della patologia . In base alla varietà di Cannabis medicinale si hanno differenti composizioni, concentrazioni in cannabinoidi ed effetti. Ci sono quattro varietà di Cannabis medicinali: Bedrocan®, Bediol®, Bedica® e Bedrobinol® (Figura 25). Il Bedrocan® (nome commerciale Cannabis Flos var. Bedrocan) è costituito dalla varietà sativa. Il contenuto in THC è di circa il 22% e quello in CBD è di 0,8%. Il Bediol®, (commercialmente chiamato Cannabis Flosvar. Bediol, granuli) è un incrocio tra due varietà di Cannabis ed è presentato sotto forma di infiorescenze finemente triturate dalle dimensioni di massimo 5 mm. Il Bediol® possiede il 6,5% di THC e circa l'8% di CBD, queste percentuali rendono la droga non psicoattiva. L'inalazione di Cannabis con un'alta percentuale di CBD fornisce un efficace trattamento degli spasmi muscolari nella sclerosi multipla. Da ultimo, grazie alle proprietà antinfiammatorie del CBD, questo prodotto è maggiormente efficace, rispetto ad altri, nel trattamento delle patologie infiammatorie. Il Bedica® è l'unica varietà indica. L'impiego del Bedica® è supportato dalla nota efficacia di questa tipologia nell'analgesia e nel rilassamento psicofisico. Il contenuto in THC è del 14% circa, mentre quello in CBD è inferiore all'1%. Il Bedica®, commercializzato in granuli triturati, ha un sapore differente rispetto agli altri tipi di prodotti menzionati in questo capitolo. La ragione di ciò è comportata dall'elevato quantitativo di terpeni che concorrono sinergicamente all'effetto terapeutico ed, in particolare, di mircene (contenuto anche in citronella, verbena e mango) noto per le sue proprietà calmanti. Il Bedrobinol® (nome commerciale Cannabis Flos var. Bedrobinol) è costituito da una dominanza sativa, il contenuto è di circa il 13,5% di THC mentre quello di CBD è inferiore all'1%. L'effetto del prodotto è lieve ed esso può essere consigliato in alternativa al Bedica® per il suo effetto rilassante ed antidolorifico. Ogni prodotto ha la propria composizione e concentrazione di principi attivi quindi, a seconda dei sintomi riportati dal paziente, potrà essere prescritta una varietà piuttosto che un'altra. Gli effetti dei prodotti, comunque, non dipendono solamente dai sintomi ma caratteristiche fisiologiche, età, sesso e peso del soggetto possono influenzarne la farmacodinamica. Il medico deve discutere quale varietà, quantità e che metodo di somministrazione siano le più indicate nel caso specifico (Romano L.). Figura 25: concentrazioni dei principali cannabinoidi nei prodotti a base di infiorescenze 7.2.1 Assunzione delle infiorescenze

Esistono diversi metodi per assumere i prodotti, tuttavia l'inalazione risulta il metodo maggiormente efficace: quando inalati i componenti attivi vengono assorbiti rapidamente dall'organismo. L'apice dell'effetto è raggiunto nel giro di 15 minuti e questo permane per 3-4 ore. Mediante l'inalazione, il paziente riesce a regolare la dose in maniera efficiente. Se non si raggiungono gli effetti desiderati si può scegliere di inalarne una dose maggiore, al contrario se si avvertono effetti collaterali o l'effetto desiderato è conseguito rapidamente, si può interrompere l'inalazione. L'assunzione mediante il fumo potrebbe essere il primo approccio, soprattutto da parte di coloro che hanno già utilizzato Cannabis a scopo ludico-ricreativo. Fumare le infiorescenze, permette un veloce assorbimento degli attivi ed un repentino alleviamento sintomatico, tuttavia questo metodo è sconsigliato a causa dei prodotti pirolitici nocivi sviluppatisi alla temperatura di combustione. Alternativa maggiormente salutare ed ugualmente funzionale, è invece la vaporizzazione. Mediante questa, il flusso di aria calda attraversa le infiorescenze estraendone i cannabinoidi, i terpeni e gli altri attivi. La percentuale di THC inalata mediante vaporizzazione equivale a quella assunta col fumo, analoga è anche la percentuale di THC esalato. Sul mercato esistono varie tipologie di vaporizzatori progettati a tale scopo (Romano L.). Da ultimo, l'ingestione del fitocomplesso è resa possibile da particolari preparazioni che sfruttano una componente lipidica in grado di estrarli. Per esempio, si possono realizzare frullati, burri e olii. Gli effetti di un'assunzione per via orale, tuttavia, si manifestano dopo circa 30-90 minuti e raggiungono l'apice dopo 2-3 ore, per poi svanire gradualmente. 7.2.2 Due casi clinici di SM trattati con infiorescenze

Alla prima Cannabis Conference, il Dott. Alessio Mercurio ha riportato due casi clinici da
lui trattati mediante la somministrazione di Bedrocan® (22% in THC e 0.8% in CBD). Caso clinico 1:donna di 32 anni affetta da SM dall'età di 19. In età pediatrica il soggetto non ha manifestato disturbi motori eccetto un unico episodio di versamento articolare all'età di12 anni. Anni dopo, la paziente ha accusato sindrome sensorimotoria, caratterizzata da parestesie e rigidità a carico dell'arto inferiore destro seguita da remissioni spontanee. Nel 2000 si presenta una ricaduta più importante con paraparesi a carico degli arti inferiori, disturbi urinari e della sensibilità. La paziente, a seguito di questo episodio, subisce un ricovero durante il quale viene diagnosticata una sclerosi multipla Recidiva-Remittente (RR). Inizialmente viene somministrata una terapia steroidea ad alto dosaggio. L'esame alla dimissione rivela un miglioramento del quadro clinico a seguito di terapia steroidea ad alto dosaggio, con un EDSS (Expanded Disability Status Scale) di 3.0. Dalla risonanza magnetica si riscontrano numerose aree cicatriziali (gliosi) a livello del corpo calloso. Successivamente, la paziente intraprende una cura con Interferon β-1a e Rebif 22 risentendo dei comuni effetti collaterali tra cui febbre, astenia e depressione. Sebbene la terapia arresti il decorso patologico, tra il 2000 ed il 2006, la sua qualità di vita è minata dai terribili effetti collaterali. Questi ultimi, purtroppo, risultano frequenti dal momento che i farmaci in questione richiedono iniezioni plurisettimanali. La cura inibisce la progressione della patologia ma non garantisce il benessere del soggetto. Nel marzo 2006 si presenta un nuovo episodio con sintomi cerebellari, tremori estesi e atassia cerebellare a causa del quale la paziente assume Solu-Medrol®, corticosteroide. L'EDSS è di 4.5. Viene sospeso il Rebif-22 a fronte dei suoi eccessivi effetti collaterali e viene intrapresa la cura con Interferon β-1b anch'esso dai notevoli effetti avversi. Successivamente viene sospeso il trattamento. Benché dal 2001 al 2006 la patologia non progredisca, la qualità di vita ne risente Nel febbraio 2001 viene prescritto alla paziente il Methotrexate®, chemioterapico immunosoppressore, a causa del quale, nell'aprile 2011 si manifestano episodi simil-epilettici con tremori estesi, cadute e perdita di coscienza. Da qui la paziente manifesta rigidità cervicale, parestesie, spasticità e necessità di deambulare con sedia a rotelle. Ora l'EDSS è 7.5. In ospedale, nel giugno 2011, viene prescritto il Bedrocan®, infiorescenze di Cannabis, come terapia sperimentale e discontinua. La paziente riprende a deambulare in pochi giorni con appoggio monolaterale per brevi tratti. La terapia consiste in 1 g di infiorescenze, pari a 220 mg di THC. La donna riferisce inoltre, miglioramento generale, soprattutto nell'urgenza urinaria e dei crampi notturni. L'EDSS torna 6.0. La terapia con Bedrocan® viene proseguita in maniera discontinua. Nell'agosto 2011 si ha un peggioramento dei sintomi e la paziente ritorna ad usufruire di un appoggio bilaterale per la deambulazione. Viene somministrata una terapia antinfiammatoria steroidea con beneficio parziale ma continua la necessità di deambulazione con appoggio bilaterale fino ad un ritorno alla sedia a rotelle. L'EDSS torna a 7.0. Dalle neuroimmagini tuttavia, la progressione della patologia sembra essersi arrestata anche con trattamento di Cannabis discontinuo ed a basso dosaggio. Nel gennaio 2013 viene aumentato il dosaggio a 440 mg di THC al giorno e si assiste ad un repentino miglioramento delle condizioni di salute della paziente. La deambulazione migliora, la donna necessita di un appoggio unilaterale per tratti relativamente brevi, riscontra una riduzione dell'astenia e l'EDSS torna a 6.5. Nel marzo 2013 la risonanza non manifesta né alterazioni del carico, né atrofia. I miglioramenti sono visibili e viene incrementato il dosaggio a 5 g al giorno. La paziente deambula nettamente meglio e trema meno, questi effetti sono notevoli sotto l'effetto del farmaco ma iniziano ad essere manifestati anche a lungo termine. Le neuroimmagini non appaiono differenti tra il 2011 ed il 2013 (periodo di trattamento con Bedrocan®) e non sono presenti peggioramenti a livello midollare. La monoterapia con Bedrocan® ha quindi dimostrato di arrestare il decorso patologico e, contestualmente, di favorire un miglioramento della qualità di vita della donna. Caso clinico 2: uomo di 36 anni affetto da SM. Dal 2004 al 2006 il paziente manifesta deficit deambulatori, diplopia e nistagmo. Successivamente soffre di parestesie e difficoltà nell'espressione verbale. L'uomo è costretto in maniera discontinua a deambulare mediante l'aiuto della sedia a rotelle. La risonanza magnetica evidenzia multiple lesioni encefaliche, elevato carico troncale e multiple lesioni midollari. Viene diagnosticata SM Primaria Progressiva (PP). Nonostante la prescrizione di Interferon-β, il paziente manifesta continua paraparesi unitamente ai chiari effetti collaterali del prodotto, che lo costringono a sospendere la cura. Nell'aprile del 2008, viene prescritto Natalizumab, utilizzato nella SM Recidiva- Remittente e nella SM Secondaria-Progressiva, ma si assiste ad un ulteriore peggioramento della patologia. Il trattamento viene sospeso. Le neuroimmagini rivelano un'ingente degenerazione assonale. Nel 2009 viene intrapreso il trattamento con Cannabis ad alto dosaggio con continuità terapeutica corrispondente a 2 g al giorno di infiorescenze pari a 440 mg di THC. Si verifica un miglioramento immediato della sintomatologia ed il paziente riprende a deambulare servendosi solamente dell'appoggio bilaterale. Nel 2011 la risonanza rivela una sovrapponibilità del quadro lesionale con la precedente e lo stesso avviene nel 2013: la terapia ha arrestato il decorso patologico. Il paziente riferisce un esteso miglioramento della qualità di vita. Si osserva riduzione del tremore, della spasticità e della parestesia. Dal 2009 al 2013 si è assistito ad un continuo miglioramento della qualità di vita. Le risonanze magnetiche del midollo degli anni 2010, 2011 e 2013 sono sovrapponibili, nessun peggioramento è rilevato. Attualmente il paziente deambula servendosi di un appoggio unilaterale e, solamente nei periodi di forte stress, di un appoggio bilaterale (risorsa elettronica 20). Alla luce di questi due casi clinici, è possibile ritenere che il fitocomplesso non agisca solamente sull'aspetto sintomatico (analgesia, riduzione della spasticità, miglioramento dell'umore) ma anche sul decorso patologico. Quest'ultimo aspetto è il più importante e prezioso, soprattutto in una patologia neurodegenerativa come la sclerosi multipla. Si può dunque concludere che è stato dimostrato il beneficio che la Cannabis ha regalato ai pazienti e la giustificata necessità di poter usufruire delle infiorescenze in toto sfruttando la sinergia degli attivi. 8. La legge in Italia

Il fatto che la Cannabis sia una pianta medicinale non è risaputo da tutti.
La possibilità di cura mediante l'impiego di cannabinoidi è considerata con estrema
prudenza, nel timore di poter incorrere in sanzioni e di somministrare una droga proibita (Risorsa elettronica 21). Sebbene in Italia tutti i medici, compresi quelli di base, possano prescrivere Cannabis per qualsiasi patologia (di cui vi sia almeno una testimonianza in letteratura scientifica), i pazienti hanno ancora molta difficoltà a trovare medici prescrittori. Nel 2006, con la legge n.49 (conosciuta anche come Fini-Giovanardi) è stata annullata di fatto la differenza tra droghe leggere e droghe pesanti. Tale distinzione era stata sancita dal Testo Unico sulla Droga del 1990. In sostanza, si è previsto, dal 2006, un inasprimento delle sanzioni per coloro che consumassero droghe leggere, per lo più Cannabis. E' stata inoltre invalidata la distinzione tra possesso per uso personale o per spaccio. Nel 2007, con un decreto ministeriale (n. 98 del 28 aprile 2007), l'allora Ministro della Salute ha riconosciuto l'efficacia terapeutica del THC e di altri due farmaci di origine sintetica: il Dronabinol ed il Nabilone. Queste tre sostanze, a seguito del Decreto Legge 36/2014, sono state inserite nella tabella del decreto del presidente della Repubblica n.309/90, oggi "tabella dei medicinali", nella quale sono classificate le droghe psicotrope aventi attività farmacologica e dunque terapeutica (Allegato 1; risorsa elettronica 22). Nel febbraio 2013 un ulteriore decreto (n.33 del 2013), firmato dal Ministro della Salute di allora, ha riconosciuto la liceità dell'uso farmacologico della pianta di Cannabis nella sua totalità. Se dunque, il decreto del 2007 aveva aperto la strada ai farmaci di sintesi, quello del 2013 ha ammesso anche quelli a base naturale (Sativex®). Questo provvedimento ha ottenuto l'approvazione anche dell'Istituto Superiore di Sanità, del Consiglio Superiore di Sanità e del Dipartimento politiche antidroga della presidenza del Consiglio dei ministri (Risorsa elettronica 21) . All'inizio del 2014, la legge Fini-Giovanardi è stata dichiarata incostituzionale ed è stata ripristinata la precedente Iervolino-Vassalli (Risorsa elettronica 23). Nonostante l'abolizione della Fini-Giovanardi, droghe leggere e pesanti restano ugualmente considerate nei divieti, a partire dal divieto di coltivazione (art 26 d.p.R 309/90). In deroga a tale proibizione però, il Ministero della Salute può rilasciare autorizzazioni in merito alla coltivazione per scopi scientifici e di ricerca, sia per l'impiego sia per un'eventuale trasformazione della materia prima Cannabis in medicinale (risorsa elettronica 21). Tale provvedimento introduce la possibilità di effettuare preparazioni galeniche a base di infiorescenze di Cannabis direttamente in farmacia. In questo caso non sarebbe necessaria la richiesta del medico di importazione della sostanza dall'estero, ma occorrerebbe solamente una ricetta bianca non ripetibile. Tuttavia, nella gran parte dei casi, i medicinali a base di Cannabis devono essere importati dall'estero, al costo di circa €8,00 al grammo, mediante un iter burocratico irto di ostacoli e di blocchi. Per ordinare dall'estero tali specialità medicinali, occorre seguire la procedura richiesta dall'art. 2 del DM dell'11 febbraio 1997 (Allegato 2). L'iter prevede che il medico curante (medico di famiglia, specialista ospedaliero, specialista che ha in cura il paziente) compili la richiesta di importazione su un apposito modulo predisposto dal Ministero della Salute. Tale richiesta deve essere inoltrata al Ministero della Salute Ufficio Centrale Stupefacenti, il quale dovrà rilasciare un "nulla osta" (risorsa elettronica 24). Esisterebbe in realtà, un ulteriore modo per poter accedere alle infiorescenze: concedere ai pazienti di poter coltivare la Cannabis da sé. Tale considerazione va comunque esclusa poiché in Italia non è permesso. Se da una parte la Legge italiana infatti riconosce lo statuto di farmaco alla Cannabis, dall'altra la possibilità di cura è ostacolata da numerosi divieti che riguardano tale sostanza. Primo fra tutti quello di coltivazione. Accanto alle difficoltà relative alle procedure di importazione, vi sono anche problemi sull'interpretazione di chi debba sostenere l'onere dei farmaci cannabinoidi. In particolare, secondo l'art. 5 del DM 11.2.1997: "L'onere della spesa per l'acquisto dei medicinali di cui all'art.1 non deve essere imputato ai fondi attribuiti dallo Stato alle regioni e provincie autonome per l'assistenza farmaceutica, tranne il caso in cui l'acquisto medesimo venga richiesto da una struttura ospedaliera per l'impiego in ambito ospedaliero. In quest'ultimo caso, fatti salvi i vincoli di bilancio e quelli inopportuni eventualmente posti da alcune normative regionali l'azienda ospedaliera potrà far gravare la relativa spesa nel proprio bilancio al pari dei farmaci in commercio in Italia e degli altri beni necessari per lo svolgimento delle prestazioni di assistenza sanitaria". Ottenere gratuitamente questi farmaci non è dunque semplice: solamente se forniti in regime ospedaliero (ovvero se prescritti da uno specialista ospedaliero e solo se erogati dalle farmacie ospedaliere in regime di day hospital/ricovero/percorso ambulatoriale) essi sono gratuiti per i pazienti. La rimborsabilità nei casi di impiego fuori dall'ambito ospedaliero è a discrezione del Servizio Sanitario Regionale (SSR) (Risorsa elettronica 24). Ad oggi è comunque esiguo (solamente 60) il numero di pazienti che hanno la possibilità di accedere alle infiorescenze importate dall'Olanda a carico dell'ASL, per un costo medio di €700 a paziente, se la posologia si aggira attorno ai 3-4 g al giorno. Gli altri malati (altrettanto esigui), qualora riuscissero a trovare un medico prescrittore, potrebbero acquistarla presso le farmacie galeniche che, dopo numerosi e lunghi iter, la venderebbero al prezzo di €35.00 al grammo, comportando una spesa mensile di migliaia di euro per il paziente. Rimangono in ogni modo estremamente lunghi i tempi di attesa per poter usufruire del prodotto (Risorsa elettronica 25). Risale agli inizi di settembre il provvedimento nazionale, mediante il quale, nel nostro Paese, i ministri della Difesa e della Salute, hanno considerato la possibilità di coltivare Cannabis terapeutica nello stabilimento chimico militare di Firenze. Lo stabilimento fiorentino è il centro che da oltre un secolo produce farmaci "orfani", cioè le terapie per quelle patologie considerate rare e non appetibili per le multinazionali farmaceutiche. Il centro effettuerà le operazioni di coltivazione e fabbricazione della sostanza attiva, per poi distribuirla alle farmacie territoriali secondo il fabbisogno delle regioni. Grazie a questa iniziativa, i pazienti semplicemente presentando una ricetta medica non ripetibile potranno accedere ai farmaci in maniera rapida ed a costi inferiori (Risorsa elettronica 26). Da quanto risulta da numerose fonti, entro la fine di ottobre (p.v) verrà definito un protocollo operativo per la programmazione delle operazioni da compiere, la quantificazione dei fabbisogni in relazione alle patologie da trattare, la fitosorveglianza da esercitare, le verifiche da effettuare e le tariffe da applicare ai prodotti. Tale protocollo verrà poi trasmesso all'Istituto Superiore di Sanità (ISS) che vigilerà sull'appropriatezza prescrittiva, le condizioni patologiche adatte alla terapia con Cannabis, nonché esprimerà le avvertenze, le precauzioni d'uso, eventuali interazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati. Questo primo passo determina un doppio beneficio: una riduzione delle attese per i pazienti ed un risparmio per la sanità che vede abbattere gli eccessivi costi per la fornitura dall'estero. I Ministri hanno comunque ritenuto necessario specificare che questo passo non è volto a sancire la possibilità di auto-coltivazione di Cannabis da parte dei malati, la qual cosa rimane quindi ancora proibita. 9. Intervista ad una donna affetta da SM

Lo scorso settembre, ho deciso di recarmi in Puglia per incontrare e conoscere di persona
L. (vedi caso clinico 1 paragrafo 7.2.2). All'incontro era presente anche il marito W. che da anni la sostiene nella sua battaglia. Per motivi di riservatezza è stato deciso di non scrivere nomi propri. Di seguito è riportata l'intervista svolta con la finalità di comprendere maggiormente quanto la terapia a base di Cannabis sia in grado di attenuare sintomi e progressione della sclerosi multipla e di migliorare la qualità di vita di chi è affetto dalla patologia. Racale (LE), 27 settembre 2014 L., oggi trentatreenne, a soli 18 anni ha scoperto di essere affetta da sclerosi multipla Recessiva Remittente. La donna riporta che, come da protocollo, all'esordio della patologia le è stata prescritta una tipologia di interferone da autosomministrarsi per via intramuscolare; terapia che non ha provocato alcun giovamento, anzi la donna racconta della sensazione di debolezza e febbre derivanti dall'uso di quel farmaco. Questi effetti collaterali la hanno pian piano condotta a perdere fiducia nella terapia farmacologica in questione. Dopo 5 anni infatti, interrompe la cura con interferone: "dal momento che il medico mi disse che la decisione di proseguire la cura con interferone dipendeva solamente da me, decisi di interromperla, anche perché già da tempo prolungavo gli intervalli tra un'iniezione di interferone e l'altra a causa degli effetti collaterali"; generalmente la somministrazione di interferone deve essere eseguita a giorni alterni (n.d.r). Nel 2010, anno in cui nella Regione Puglia è stata emessa la delibera sulla possibilità di utilizzare Cannabis ai fini terapeutici (Delibera n. 308 del 9 febbraio 2010), L. ha espresso la propria volontà di utilizzare tale sostanza per curarsi. La richiesta non è stata accolta dal suo medico, secondo il quale prima di poter accedere a terapie alternative sarebbe stato necessario utilizzare i farmaci di protocollo. Di conseguenza le viene prescritto un secondo tipo di interferone che tuttavia assume per pochissimo tempo. L. racconta che a seguito di un ulteriore peggioramento della patologia le è stata erroneamente diagnosticata una SMPP (sclerosi multipla Primaria Progressiva). La donna invece soffriva di una SMPS (sclerosi multipla Progressiva Secondaria). E' proprio a causa di questa errata diagnosi che le viene prescritto il Methotrexate®, immunosoppressore: "il Methotrexate® mi ha risvegliato delle lesioni cerebellari portandomi ad avere delle vere e proprie crisi epilettiche che io inizialmente confondevo con collassi. E' proprio a causa di questo farmaco che ora non riesco a mangiare da sola, afferrare oggetti da sola e che non sono operativa. Ora camminerei anche meglio". La donna ha scoperto in seguito che per il suo tipo di SM sarebbe stato meglio un altro farmaco, l'Azatioprina®. Tempo dopo L. ha rifiutato di assumere altri farmaci continuando a soffrire dei dolori comportati dalla patologia che la costringevano a letto. L'astensione terapeutica è continuata fino a quando è iniziata la sperimentazione di Bedrocan® in ospedale. L. riporta che all'epoca aveva già assunto Cannabis per la sua patologia, in Olanda, dove è legale. Data la sua tollerabilità al prodotto, sin dall'inizio le veniva somministrato 1 g al giorno, pari a 180 mg di THC (all'epoca il Bedrocan® aveva solo il 18% di THC rispetto al 22% oggi presente). La donna racconta che sin dal terzo giorno di trattamento ha iniziato a trarre benefici dalla terapia: "mi sono alzata dalla sedia a rotelle". Dall'inizio della sperimentazione, L. non ha mai più assunto farmaci di protocollo eccetto il cortisone che si autosomministra per 3 giorni al mese mediante iniezioni: "il cortisone ha una buonissima interazione con la Cannabis: la Canapa che è un miorilassante naturale, potenzia gli effetti del cortisone e allo stesso tempo ne riduce gli effetti collaterali, come l'eccessiva fame e l'ipertensione". Dal ricovero in ospedale, la donna ha gradualmente aumentato la posologia giornaliera di Cannabis senza mai avvertire importanti effetti collaterali, giungendo ai 7 grammi che assume oggi. Ovviamente l'aumento è stato sempre graduato, controllato dal medico e compatibile con la sua tollerabilità alla sostanza. Insieme al Bedrocan® assume anche il Bediol®, il cui buon contenuto di CBD le permette di contrastare le tensioni muscolari e di rilassarsi prima di andare a dormire. Il marito della donna racconta che il Bediol® è il prodotto maggiormente indicato per chi soffre di forme tumorali, di epilessia, per i bambini e per chi deve acquisire tollerabilità alla Canapa: "avendo una minore concentrazione di THC, il Bediol® risulta più sopportabile per coloro che non hanno mai fumato. Statisticamente è comunque provato che chiunque abbia fumato sigarette nella sua vita sia in grado di sviluppare una tollerabilità verso il Bedrocan®. Ovviamente, la prima volta che si fuma il prodotto, l'effetto viene percepito maggiormente, poi ci si abitua". Riguardo all'unico farmaco cannabinoide spray riconosciuto dall'AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), L. sostiene che la principale problematica del prodotto, sia l'esiguo numero di cannabinoidi in esso presenti: solamente THC e CBD. In tal modo non viene sfruttata la sinergia tra gli innumerevoli attivi presenti nella Cannabis come numerosi altri cannabinoidi, flavonoidi, terpeni ed altre importanti molecole. Inoltre aggiunge: "per avere l'effetto dell'infiorescenza fumata, si devono eseguire centinaia di inalazioni, ma la posologia raccomandata è di 12 al giorno". Anche se il prevalente metodo di assunzione impiegato da L. è l'inalazione del fumo di Cannabis, la donna racconta di aver provato i vaporizzatori in commercio: "alcuni hanno un effetto molto forte mentre altri sono comodi in quanto sono portatili. Utilizzavo molto il vaporizzatore quando, in passato, facevo fatica ad avere il farmaco. Dovevo centellinare a detta dei medici, quindi usando il vaporizzatore potevo riutilizzare la stessa infiorescenza più volte". Ora la donna riesce a ricevere dalla farmacia ospedaliera a spese del SSN i 42 barattolini di Bedrocan® che le permettono di avere una copertura mensile. Ma non è sempre stato così: la fornitura del farmaco per la maggior parte delle volte non era sufficiente a garantirle una terapia continuativa. Questa è la situazione in cui verte la maggior parte dei malati. Ora fortunatamente L. può sfruttare parte del Bedrocan® per ottenere una resina collosa estratta dalle infiorescenze: l'olio di Cannabis (se ne ricava 1 g ogni 5 g di infiorescenze). La donna racconta che la resina collosa ottenuta può essere mescolata in giuste proporzioni con l'olio di oliva, essere congelata e conservata oppure essere applicata sulla cartina e fumata. Grazie a questo estratto si augura che in futuro possano essere prodotte delle capsule che permettano di assumere un buon quantitativo di attivi in una sola volta, con lo scopo di trattare non solo la SM ma anche altre innumerevoli patologie. Mediante l'assunzione di capsule, l'effetto insorgerebbe più lentamente ma permarrebbe più a lungo: "per esempio se si dovesse trattare una massa tumorale, i cannabinoidi andrebbero ad agire sulle cellule tumorali in maniera efficiente". La Cannabis ha permesso a L. di avere una qualità di vita migliore non solo sul piano fisico ma anche su quello psicologico: "quando si sentono i dolori non si riesce a provare felicità né piacere di star in compagnia e non si ha voglia di uscire di casa. Io ho trascorso alcuni anni, dal 2009 al 2011, senza voler uscire di casa, stavo sempre male ed avevo grandi dolori. L'interferone mi abbatteva fisicamente e psicologicamente, ero molto dimagrita perché il farmaco toglie la fame. Non riuscivo più a capire come la gente attorno a me potesse essere felice. A causa di quel periodo anche il mio corpo ne ha risentito, avevo perso molto tono muscolare. Grazie alla fisioterapia però sono riuscita a riacquistarlo piano piano. Ora, invece, grazie alla terapia, posso star a parlare con te due ore tranquillamente, uscire con gli amici, andare al mare, basta fare la terapia.". L. riporta inoltre che da quando ha iniziato ad assumere il Bedrocan® continuativamente non solo non ha più avuto ricadute, ma la SM da PS è tornata ad essere SMRR. Nonostante infattinel 2011, poco dopo l'inizio della terapia ci sia stata una ricaduta, le risonanze magnetiche risultano paragonabili e sovrapponibili tra loro: "l'abbiamo arrestata!". La donna mi racconta di dover assumere Cannabis già al mattino appena sveglia, in maniera tale da potersi muovere da sola per casa con l'ausilio dei maniglioni e di non provare dolore. L. e W., insieme ad altri malati, nel 2013 hanno dato vita ad un'associazione no-profit che si occupa di facilitare l'accesso alla Cannabis terapeutica ad ogni paziente affetto da patologia (sclerosi multipla e non solo) ed offrire supporto, informazioni ed idee utili per affrontare il duro percorso della malattia. L'associazione si avvale della collaborazione di numerosi medici, avvocati, professionisti e sostenitori che ogni giorno operano senza fini di lucro e con la sola finalità di donare semplice speranza a chi è costretto ad una vita di sofferenze. Il 22 luglio 2014 il Consiglio regionale Pugliese ha approvato all'unanimità la produzione di Cannabis a fini terapeutici mediante un progetto pilota che sarà condotto dell'associazione stessa. Quest'ultima ha realizzato una s.r.l ad hoc, in grado di coltivare, confezionare e distribuire Cannabis terapeutica attraverso un sistema controllato e strutturato, tutelando i malati e mantenendo i prodotti a prezzi accessibili a tutti (€1.55 al grammo per le infiorescenze). Finalità di questo progetto sono da un lato vigilare soprattutto sulla Ricerca con il supporto di personale altamente qualificato: medici, farmacisti, biologi, erboristi, agronomi, consulenti, esperti ed altri membri; dall'altro coltivare piante di 80 tipologie genetiche differenti per poter ottenere infiorescenze curative. Oggi L., W. e gli altri membri dell'associazione non aspettano altro che l'autorizzazione da parte dello Stato per poter avviare il progetto pilota che permetterebbe ai malati di sclerosi multipla, morbo di Chron, sindrome di Tourette, fibromialgia, glaucoma, epilessia e molte altre patologie di poter accedere immediatamente e senza intermediari alla loro cura. 10. Considerazioni finali

La sclerosi multipla è classificata come una patologia autoimmune cronica
neurodegenerativa demielinizzante di natura idiopatica. Come tale, non esiste alcun modo di prevenirne la genesi e l'intervento terapeutico può essere solo o soprattutto mirato al trattamento della sintomatologia e della sua progressione. Negli ultimi decenni la Ricerca ha intrapreso un approccio fitoterapico verso tale patologia, mediante l'impiego della Cannabis e dei cannabinoidi in essa presenti. La sperimentazione in laboratorio, che ha visto l'utilizzo di modelli murini di sclerosi multipla, ha portato i ricercatori a risultati particolarmente incoraggianti. Essa ha di fatto permesso di impiegare i principi attivi della pianta come regolatori della risposta autoimmune organica, come neuroprotettori e come terapeutici per la spasticità. Esiti positivi sono stati in seguito ottenuti attraverso studi clinici che hanno visto l'impiego di cannabinoidi di sintesi ma soprattutto naturali, nello specifico il ∆-9-tetraidrocannabinolo ed il cannabidiolo. In particolare, è stato provato come la Cannabis possa essere una valida alternativa terapeutica alla terapia convenzionale nel trattamento sintomatico, senza comportare effetti psicopatologici ed evitando le spiacevoli reazioni avverse provocate dai farmaci di protocollo. Significativo mi è parso, da ultimo, il risultato della sperimentazione clinica che ha visto l'utilizzo di Cannabis flos nel trattamento di una donna affetta da sclerosi multipla, L. Tale sperimentazione ha dimostrato che le infiorescenze non solo siano in grado di ridurre la progressione della patologia, ma permettano anche di portare ad una regressione della stessa. Come riportato dalla donna nell'intervista che ho condotto lo scorso settembre, proprio grazie all'uso di infiorescenze di Cannabis la qualità della sua vita è di molto migliorata e la patologia è regredita. Di conseguenza, benché nel nostro Paese la definizione Cannabis terapeutica possa risuonare ostica alle orecchie di taluni, è importante riconoscerne scientificamente l'attività curativa per la sclerosi multipla e altre numerose patologie ed incoraggiare la Ricerca dalla quale dipende il benessere di milioni di pazienti. 11. Sitografia

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Allegato 1: sezione B della tabella dei medicinali. TABELLA MEDICINALI SEZIONE B MEDICINALI E SOSTANZE ATTIVE AD USO FARMACEUTICO Medicinali soggetti a prescrizione medica da rinnovarsi volta per volta: ricetta non ripetibile. DENOMINAZIONE COMUNE DENOMINAZIONE CHIMICA ALTRA DENOMINAZIONE idrossibutirrico acido 4- (GHB) idrossibutirrico Acido 5-etil-5- crotilbarbiturico 7-cloro-1,3-diidro- 5-fenil-1-(2,2,2- tifluoroetil)-2H-1,4- Alazepam benzodiazepin-2-one Allobarbital diallilbarbiturico 10-bromo-11b-(orto- fluorofenil)-2,3,7, 11b-tetraidroossazolo [1,4]benzodiazepin- Alossazolam 6(5H)-one 8-cloro-1-metil-6- triazolo[4,3-a] Alprazolam [1,4]benzodiazepina 7[(10,11-dididro-5H- dibenzo[a,d]cicloepten- 5il)amino]acido Amineptina eptanoico acido 5-allil-5- Aprobarbital isopropilbarbiturico Barbexaclone propilesedrina Barbital dietilbarbiturico dietilmalonilurea N-benzil-N,alfa- N-benzil-N- Benzfetamina dimetilfeniletilamina metilamfetamina acido 5-allil-5-(2- Brallobarbitale bromoallil)barbiturico 7-bromo-1,3-diidro- 5-(2-piridil)-2H- 1,4-benzodiazepin-2- 2-bromo-4-(orto- clorofenil)-9-metil- 6H-tieno[3,2-f]-s- triazolo [4,3-a] [1,4] Brotizolam diazepina acido 5-allil-5- Butalbital isobutilbarbiturico Butallilonale sec-butilbarbiturico sonbutal acido 5-butil-5- Butobarbitale etilbarbiturico ciclobutilmetil-3,14- Butorfanolo diidrossimorfinano 7-cloro-1,3-diidro- dimetilcarbamoil) 1-metil-5-fenil-2H- Camazepam 1,4-benzodiazepin-2-one 7-cloro-1-metil-5- benzodiazepin-2,4(3H, Clobazam 5H)-dione 5-(orto-clorofenil)- 1,3-diidro-7-nitro- 2H-1,4-benzodiazepin- Clonazepam 2-one acido 7-cloro-2,3- diidro-2-ossi-5- benzodiazepin-3- Clorazepato carbossilico metilamino-5-fenil- 3H-1,4-benzodiazepina metaminodiazepossido; Clordiazepossido 4-ossido clopossido 10-cloro-11b-(orto- clorofenil)-2,3,7,11b- tetraidro-ossazolo- [1,4]benzodiazepin- Clossazolam 6(5H)-one 5-(orto-clorofenil)- 7-etil-1,3-diidro- tieno[2,3-e]-1,4- Clotiazepam diazepin-2-one 7-cloro-5-(orto- clorofenil)-1,3- Delorazepam benzodiazepin-2-one clordemetildiazepam (6aR,10aR)-6a,7,8, 10a-tetraidro-6,6,9- trimetil-3-pentil- Delta-9- 6H-dibenzo[b,d]piran-
tetraidrocannabinolo 1-olo
dimetilamino-1,2- difenil-3-metil-2- Destropropossifene butanolpropionato 7-cloro-1,3-diidro- 1-metil-5-fenil-2H- 1,4-benzodiazepin-2- 8-cloro-6-fenil-4H- s-triazolo[4,3-a] Estazolam [1,4]benzodiazepina dell'acido 7-cloro-5- (2-fluorofenil)-2,3- diidro-2-ossi-1H- 1,4-benzodiazepin-3- Etilloflazepato carbossilico 1-etinilciclo- carbamato di 1-etil Etinamato esanolcarbamato cicloesile 4-(2-clorofenil)-2- etil-9-metil-6H- f][1,2,4]triazolo [4,3- Etizolam a][1,4]diazepina N-etil-3-fenil-2- 2-etilamino-3- Fencamfamina norbornanamina fenil-norcanfano acido 5-etil-5- Fenobarbital fenilbarbiturico metilfeniletil) Fenproporex amino]propionitrile 7-cloro-5-(orto- fluorofenil)-1,3- diidro-1-metil-2H- 1,4-benzodiazepin-2- Fludiazepam one (dietilamino) etil]-5- ( orto-fluorofenil)- 1,3-diidro-2H-1,4- Flurazepam benzodiazepin-2-one 11-cloro-8,12b- diidro-2,8-dimetil- [1,3]ossazino[3,2-d] [1,4]benzodiazepin- Ketazolam 4,7(6H)-dione (-)-N,N-dimetil- Lefetamina 1,2-difeniletilamina SPA 6-(orto-clorofenil)- 2,4-diidro-2-[(4- piperazinil)metilene]- 8-nitro-1H-imidazo [1,4]benzodiazepin-1- 7-cloro-5-(orto- clorofenil)-1,3- diidro-3-idrossi-2H- 1,4-benzodiazepin-2- 7-cloro-5-(orto- clorofenil)-1,3- diidro-3-idrossi-1- Lormetazepam benzodiazepin-2-one N-metillorazepam 7-cloro-2,3-diidro- 1-metil-5-fenil-1H- Medazepam 1,4-benzodiazepina Medicinali di
origine vegetale a
base di Cannabis
(sostanze e
preparazioni
vegetali, inclusi
estratti e tinture).
N-(3-cloropropil)- Mefenorex metilfeniletilamina estere dicarbamico 2-metil-2-propil- del 2-metil-2- 1,3-propandiol propil-1,3- Meprobamato dicarbamato propandiolo acido 5,5-dietil-1- Metarbitale metilbarbiturico acido 5-etil-1- Metilfenobarbitale fenilbarbiturico 3,3-dietil-5-metil- Metiprilone piperidin-2,4-dione 8-cloro-6-(orto- fluorofenil)-1-metil- 4H-imidazol[1,5-a] Midazolam [1,4]benzodiazepina 3-(1,1-dimetileptil)- 6,6a,7,8,10,10a- esaidro-1-idrossi-6, dibenzo[b,d]piran-9- Nabilone one 9
1,3-diidro-1-metil- 7-nitro-5-fenil-2H -1,4-benzodiazepin- Nimetazepam 2-one 1,3-diidro-7-nitro- 5-fenil-2H-1,4- Nitrazepam benzodiazepin-2-one 7-cloro-1,3-diidro- 5-fenil-2H-1,4- desmetildiazepam; Nordazepam benzodiazepin-2-one nordiazepam 7-cloro-1,3-diidro- 3-idrossi-5-fenil- Ossazepam benzodiazepin-2-one 10-cloro-2,3,7,11 b- tetraidro-2-metil-11 b-fenilossazolo[3,2- d][1,4]benzodiazepin- Ossazolam 2-one 1,2,3,4,5,6-esaidro- 6,11-dimetil-3-(3- metil-2-butenil)- Pentazocina benzazocin-8-olo 7-cloro-1,3-diidro- propinil)-2 H-1,4- Pinazepam benzodiazepin-2-one 1,1-difenil-1-(2- Pipradrolo piperidil)-metanolo 1-(4-metilfenil)-2- (1-pirrolidinil)-1- Pirovalerone pentanone (ciclopropilmetil)- 1,3-diidro-5-fenil- Prazepam benzodiazepin-2-one Propilesedrina metilaminopropano fluorofenil)-1,3- diidro-1-(2,2,2- trifluoroetil)-2H- 1,4-benzodiazepin-2- acido 5-sec-butil-5- Secbutabarbital etilbarbiturico 7-cloro-1,3-diidro- 3-idrossi-1-metil- 5-fenil-2H-1,4- N-metilossazepam; Temazepam benzodiazepin-2-one 3-idrossi diazepam diferbarbamato) cicloesen-1-il)- 1,3-diidro-1-metil- Tetrazepam benzodiazepin-2-one Trans-delta-9-
tetraidrocannabinolo Dronabinol
8-cloro-6-(orto- clorofenil)-1-metil- 4H-s-triazolo[4,3-a] Triazolam [1,4]benzodiazepina Vinilbital vinilbarbiturico cianopirazolo [1,5- Zaleplon etilacetamide N,N-6-trimetil-2- (4-metilfenil)- imidazo[1,2-a]piridin- Zolpidem 3-acetamide estere 6-(5-cloro-2- piridinil)-6,7- diidro-7-ossi-5H- pirrolo-[3,4-b]- pirazin-5-ilico dell'acido 4-metil-1- Zopiclone piperazincarbossilico I sali delle sostanze iscritte nella presente tabella, in tutti i casi in cui questi possono esistere. Allegato 2: DM 11 febbraio 1997 DECRETO 11 febbraio 1997
Modalità di importazione di specialità medicinali registrate all'estero.
IL MINISTRO DELLA SANITA'
Visto il decreto legislativo 25 maggio 1991, n. 178, e in particolare l'art. 25,
comma 7, lettera b);
Considerato che la vigente normativa non prevede una specifica autorizzazione
ministeriale per l'introduzione in Italia di medicinali posti regolarmente in vendita
in Paesi esteri, ma dei quali non è autorizzata l'immissione in commercio sul
territorio nazionale, purchè l'introduzione stessa avvenga in conformità delle
disposizioni da emanare con apposito decreto del Ministro della sanità ai sensi
dell'art. 25, comma 7, lettera b), del decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178;
Acquisito al riguardo il parere favorevole del Consiglio superiore di sanità il
quale, peraltro ha fatto voti affinchè venga adeguatamente regolamentato anche
l'uso terapeutico di medicinali non ancora approvati ma già sottoposti ad
avanzata sperimentazione clinica sul territorio italiano o in Paesi esteri;
In attesa di poter regolamentare anche tale problematica la quale è tuttora allo
studio per le sue particolari complessità;
Ravvisata pertanto l'esigenza di stabilire le modalità per la corretta applicazione
del citato art. 25, comma 7, lettera b), del decreto legislativo 29 maggio 1991, n.
178, limitatamente ai medicinali già registrati all'estero;
1. Le disposizioni del presente decreto riguardano i medicinali posti regolarmente in vendita in Paesi esteri ma non autorizzati all'immissione in commercio sul territorio nazionale, spediti su richiesta del medico curante. 1. Qualora il medico curante ritenga opportuno sottoporre un proprio paziente al trattamento terapeutico con un medicinale, regolarmente autorizzato in un Paese estero ma non autorizzato all'immissione in commercio in Italia, è tenuto ad inviare al Ministero della sanità - Ufficio di sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, nonchè al corrispondente ufficio doganale, ove sono espletate le formalità di importazione, la seguente documentazione ai fini dell'importazione in Italia del medicinale medesimo: a) nome del medicinale, sua forma farmaceutica; b) ditta estera produttrice; c) titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio; d) dichiarazione che il medicinale in questione è regolarmente autorizzato nel Paese di provenienza; e) quantitativo di cui si chiede l'importazione nel territorio nazionale, con la precisazione che lo stesso corrisponde a un trattamento terapeutico non superiore a trenta giorni; f) indicazione delle generalità del relativo paziente; g) esigenze particolari che giustificano il ricorso al medicinale non autorizzato, in mancanza di valida alternativa terapeutica; h) consenso informato del paziente a essere sottoposto a tale terapia; i) dichiarazione di utilizzazione del medicinale sotto la propria diretta responsabilità; 1. La dogana ove sono espletate le formalità di importazione, acquisito il parere favorevole del Ministero della sanità - Ufficio di Sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna, consente l'importazione nel territorio nazionale del quantitativo del medicinale di cui all'art.2, proveniente da Paese non appartenente all'Unione europea. Se il medicinale proviene da altro Paese dell'Unione europea l'importazione del prodotto nel territorio nazionale è consentita previo rilascio di nulla osta da parte del competente Ufficio di Sanità marittima, aerea, di confine e dogana interna. 1. Gli uffici di Sanità marittima, aerea, di confine e di dogana interna del Ministero della sanità comunicano ogni tre mesi al Dipartimento per la valutazione dei medicinali e la farmacovigilanza del Ministero medesimo l'elenco dei medicinali ed i relativi quantitativi riferiti al numero dei pazienti importati in territorio nazionale ai sensi dell'art.3. 1. L'onere della spesa per l'acquisto dei medicinali di cui all'art.1 non deve essere imputato ai fondi attribuiti dallo Stato alle regioni e provincie autonome per l'assistenza farmaceutica, tranne il caso in cui l'acquisto medesimo venga richiesto da una struttura ospedaliera per l'impiego in ambito ospedaliero. In quest'ultimo caso, fatti salvi i vincoli di bilancio e quelli eventualmente posti dalla normativa regionale, l'azienda ospedaliera potrà far gravare la relativa spesa nel proprio bilancio al pari dei farmaci in commercio in Italia e degli altri beni necessari per lo svolgimento delle prestazioni di assistenza sanitaria. Il presente decreto entra in vigore a partire dopo il quindicesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 11 febbraio 1997 Il Ministro: BINDI Registrato alla corte dei conti il 19 marzo 1997
Successive modifiche
Premessa
(Decreto del Ministero della salute, 20 aprile 2005)
IL MINISTRO DELLA SALUTE
Visto il decreto legislativo 25 maggio 1991, n. 178, come modificato dal decreto
legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, art. 25, comma 7, lettera b);
Visto il decreto ministeriale 11 febbraio 1997 «Modalità di importazione di
specialità medicinali registrate all'estero», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27
marzo 1997, n. 72, ed in particolare l'art. 2, comma 1, lettera e), che prevede,
nell'ambito della documentazione da inviare al Ministero della salute per ottenere
l'autorizzazione all'importazione di una specialità medicinale registrata all'estero,
la richiesta da parte del medico curante di un quantitativo corrispondente ad un
trattamento terapeutico non superiore a trenta giorni;
Ritenuto necessario assicurare la continuità del trattamento terapeutico nei
pazienti affetti da patologie croniche, evitando che possa venire compromessa
dai tempi di approvvigionamento dei farmaci richiesti;
Visto l'art. 27, comma 1, lettera f) della legge 21 dicembre 1999, n. 526;
Decreta:
Articolo 1
Al decreto ministeriale 11 febbraio 1997, richiamato nelle premesse, è apportata
la seguente modifica:
All'art. 2, comma 1, lettera e) la parola «trenta» è sostituita da «novanta».
Articolo 2
Il presente decreto entra in vigore a partire dal quindicesimo giorno successivo a
quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
DECRETO MINISTERIALE 31.01.2005 G.U. 14.03.2006 N.061
GAZZETTA UFFICIALE SERIE GENERALE PARTE PRIMA
MINISTERO DELLA SALUTE
DECRETO 31 gennaio 2006
Modificazioni al decreto 11 febbraio 1997, recante: "Modalita' di importazione di
specialita' medicinali registrate all'estero".
IL MINISTRO DELLA SALUTE
Visto il decreto legislativo 25 maggio 1991, n. 178, come modificato dal decreto
legislativo 18 febbraio 1997, n. 44, art. 25, comma 7, lettera b);
Visto il decreto ministeriale 11 febbraio 1997 recante "Modalita' di importazione
di specialita' medicinali registrate all'estero", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
27 marzo 1997, n. 72, e successive modificazioni;
Considerato che, anche in base alle valutazioni tecnico-scientifiche espresse dal Consiglio superiore di sanita' nel parere reso nel corso della seduta del 20 dicembre 2005, il ricorso a farmaci non autorizzati deve essere rigorosamente subordinato ai soli casi di concreta, effettiva necessita'; Ravvisata l'esigenza di apportare modifiche alla disciplina dell'importazione di medicinali gia' registrati all'estero ma non autorizzati all'immissione in commercio sul territorio nazionale, per evitare anomali impieghi in situazioni non giustificate da oggettivi caratteri di necessita' e di urgenza; Decreta: Art. 1. 1. All'art. 2 del decreto ministeriale 11 febbraio 1997, citato in premesse, dopo il comma 1 e' aggiunto il seguente: "1-bis. L'importazione di cui al comma 1 e' giustificata da oggettivi caratteri di eccezionalita' e l'impiego del farmaco deve avvenire nel rispetto, oltre che della normativa in vigore in Italia delle condizioni di uso autorizzate nel paese di provenienza. Nel caso in cui le richieste dello stesso medicinale risultino eccessive rispetto a periodi precedenti, il competente ufficio di sanita' marittima, aerea e di frontiera - Ministero della salute, in fase istruttoria, ai fini degli adempimenti di cui agli artt. 3 e 4, e' tenuto, ad eccezione dei farmaci orfani e dei farmaci innovativi, a chiedere alla struttura sanitaria e al medico, oltre alla documentazione prevista dal comma 1, ulteriori delucidazioni in merito alla motivazione clinica ed epidemiologica idonea a giustificare nel caso concreto la richiesta.". 2. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 31 gennaio 2006, Il Ministro: Storace Ringrazio il mio relatore, il Chiar.mo Professor Franco Maggi per la disponibilità e la fiducia dimostratemi e per avermi affiancata durante la stesura di questo delicato ma importante progetto. Ringrazio di cuore i miei genitori, a cui dedico questo elaborato di tesi, mia sorella Monica e Federico perché grazie al loro amore incondizionato, alla fiducia che hanno sempre riposto nei miei confronti ed al loro supporto in qualunque momento, ho potuto concludere questo percorso. Ringrazio la mia famiglia allargata, nonna Elvira, Franco, Lina, Annachiara, Diego, Giuseppe e Davide, sempre presenti ed indispensabili per il raggiungimento di questo traguardo estremamente significativo. Grazie in particolare a Lucia Spiri, presidentessa dell'associazione LapianTiamo di Racale (LE) ed al marito William Verardi che hanno contribuito alla realizzazione di un capitolo fondamentale di questo lavoro. Grazie di cuore a Nicola, al suo amore prezioso, per esserci stato ieri ed esserci oggi, per non aver mai smesso di credere in me e per avermi supportata in ogni singolo istante. "I tell young people: Do not think of yourself, think of others. Think of the future that awaits you, think about what you can do and do not fear anything." Rita Levi-Montalcini

Source: http://www.lapiantiamo.it/download/Tesi%20di%20Laurea%20-%20Giulia%20Cortese.pdf

Cherv2000

Doklady Biological Sciences. Vol. 375, 2000. pp. 590-591. Translated from Doklady Akademii Nauk. Vol. 375. No. 5, 2000. pp. 703-704.Original Russian Text Copyright © 2000 by Chermva, Lapshin. Opioid Modulation of Pain Threshold in Fish L. S. Chervova and D. N. Lapshin Presented by Academician P.V. Simonov February 23, 2000 Received March 14. 2000

research.uchc.edu

HAZARDOUS DRUG SAFETY AND HEALTH PLAN FOR HANDLING ANTINEOPLASTIC OTHER HAZARDOUS DRUGS IN CLINICAL ENVIRONMENTS Introduction Drugs have a successful history of use in treating diseases and are responsible for many medical advances over the past century. However, virtually every drug has side effects associated with their use in treating patient illnesses. It follows that both patients and Health Care Workers (HCW) are at risk of developing these side effects. Side effects to patients are due to administration of the drugs and effects in workers are due to incidental exposure in preparation, handling, administration and disposal of drug residues. Drugs are classified as hazardous if studies in animals and/or humans indicate that exposures to them have a potential for causing cancer, developmental or reproduction toxicity or harm to body organs. It should be realized that the therapeutic benefits of hazardous drugs administered to ill patients outweigh the risks of side effects. However, HCW's exposed during handling of these drugs are at risk for the side effects without any therapeutic benefit. HCWs may be exposed to a drug throughout the life cycle from manufacture/preparation, transport, distribution, administration and disposal. The Occupational Safety and Health Administration (OSHA) requires that employees potentially exposed to hazardous drugs (chemicals) be informed of the risks and protective measures to be taken to avoid exposure. This is detailed in the Hazardous Communication Standard 29 CFR 1910.1200. The OSHA Technical Manual, Section VI, Chapter 2, "Controlling Occupational Exposure to Hazardous Drugs" also provides guidance for controlling such exposures. This Hazardous Drug Safety and Health Plan was developed utilizing the information provided in the following publications: OSHA Technical Manual "Controlling Occupational Exposures to Hazardous Drugs" NIOSH Alert "Preventing Occupational Exposures to Antineoplastic and Other Hazardous Drugs in Health Care Settings, 2004" The Online Journal of Issues in Nursing, "Safe Handling of Hazardous Drugs", American Society of Health System Pharmacists, "ASHP Technical Assistance Bulletin on Handling Cytotoxic and Hazardous Drugs" Oncology Nursing Forum, Vol. 36, No. 6, November, 2009, "American Society of Clinical Oncology/Oncology Nursing Society Chemotherapy Administration Safety Standards" Responsibilities Individuals are responsible for following these procedures to ensure their risks from exposure to hazardous drugs are kept to a minimum Program Directors, Nurse Managers and Supervisors are responsible for implementation and enforcement of this plan and ensure that all staff are trained and obtain a medical exam as required by this policy. In addition, they must ensure that any procedures that could produce an aerosol be pre-approved by the Office of Research Safety. Office of Research Safety will provide waste containers, pickup hazardous drug waste and provide chemo spill kits to appropriate areas. The Office of Research Safety will provide safety information and be available for emergencies. The Office of Research Safety will develop a specialized training program for those HCWs potentially exposed to hazardous drugs. The Office of Research Safety staff will train "trainers" to provide training.